L’antico mondo cristiano

Introduce il vescovo Tisi che esprime i saluti di rito e l’accoglienza nella Diocesi di Trento. Il sottotitolo “dibattito sul cristianesimo” è di grande attualità il che rimanda ad una visione più ottimista, di cambiamento e di sviluppo che per natura è un corpo vivo che si plasma e si struttura sui volti dei credenti e nel tempo.

Interviene Cecilia Frida Nadalini che discute una relazione illustrativa sul libro i cui primi passaggi sono stati pubblicati sull “Osservatore romano” tra il 2007 e il 2018 e che ha ricevuto finora una discreta attenzione nella presentazione di Marco Rizzi su Avvenire e recentemente da Roberto Antonelli nella prolusione alla Sapienza di Roma. Siamo di fronte a pagine giornalistiche e scentifiche che si caratterizzano per la solidità della dottrina e che vanno dritto al cuore del primo mondo cristiano: quello dell’esperienza culturale orientale e quello occidentale che hanno una radice comune. A tal proposito l’autore utilizza l’etichetta di “esperienza culturale cristiana” e non “cultura cristiana” perché il cristianesimo è una mentalità, uno stile di vita e non una dottrina. Nei primi contributi Simonetti dimostra che l’antichità cristiana è divenuta una disciplina autonoma a partire dal secondo dopoguerra grazie al superamento del confronto tra Stato Italiano e Stato del Vaticano e ciò fu alla base della creazione dell’Istituto patristico “Augustinianum” con lo scopo di dare al mondo cristiano un percorso di studi rinnovato con l’elaborazione di un nuovo linguaggio con alcune scelte lemmatiche che riscrivono o aggiungono le voci già esistenti, es. la “matristica” al posto della “patristica”. Sull’onda di tali trasformazioni Simonetti fa luce su alcuni studi di Jean Danielou che nel 1946 introduce una linea interpretativa improntata alla “nouvelle theologie” che ritorna alle fonti del primo cristianesimo che è in primo luogo dettata dalla “civilitas” al superamento del tomismo e dell’orientamento tradizionale che imperversava negli studi seminaristici dell’epoca. Acquista importanza la componente giudeo-cristiana, la cultura greca e i romani che è diverso dal sincretismo cui tendono gli studi storici perché in questa lettura prevale la dimensione dinamica e quindi non l’apprezzamento di elementi che tendono a fondere le culture ma a separarle, es. “l’impero romano e il popolo ebraico” in cui ebrei e palestinesi trovarono nei romani una sorta di protezione mediante la concessione di privilegi a tutela dell’esercizio del culto. In “Esegesi ed erudizione” Simonetti dice che l’allegoria supera gli intendimenti del testo cui si riferisce sebbene il significato allegorico si sovrappone a quello letterale senza sopprimerlo. Il testo apocrifo (falso) è strumento di interpretazione o di enfasi di qualcosa ritenuto vero mentre l’allegoria pone l’interprete vicino all’idea umanistica del testo autorevole e non ancora autentico. Una seconda chiave di lettura è la riflessione dell’esistenza di molti cristianesimi che posero il problema dell’ortodossia cattolica nel cui ambito si pone il problema dello gnosticismo che si è insinuato in molti movimenti moderni americani. In “Senza macchia e senza ruga” Simonetti ricostruisce l’antico mondo cristiano, la struttura originale delle omelie dei Padri della Chiesa e il metodo interpretativo improntato all’equilibrio tra interpretazione letterale e allegorica. In “Quella rivoluzione che ribaltò la questione del potere” Simonetti analizza la nascita della teologia politica e la relazione tra cristianesimi e potere politico. I cristiani sono persone di speranza in un Dio trascendente e giudice dell’umanità alla fine della storia del mondo che si può ammirare in “L’antico mondo cristiano”.

Interviene Chiara Curzel che discute una relazione su quattro saggi di Manlio Simonetti. Dall’ottobre 2007 sono apparsi una serie di articoli sull’Osservatore Romano su Origene Adamantio vissuto nel III secolo che appartiene agli apologeti greci. In “Le traversie di un’opera anomala” parla del “De principiis” dove l’autore fissa i punti principali della sua riflessione dottrinale. Il trattato fu subito oggetto di aspre polemiche perché il “De principiis” conteneva la dottrina dell’apocatastasi per la quale tutti, anche i malvagi, si sarebbero salvati. Tale teoria costrinse Origine a discolparsi di fronte al vescovo di Roma Fabiano che però non gli evitò la condanna post mortem per eresia perché aveva ristretto la sua dottrina in un sistema chiuso. A Simonetti si deve anche l’avvio degli studi origeniani che per lunghi secoli erano stati abbandonati e la cura dell’edizione critica del “De principiis”. Simonetti sottolinea il carattere “zetetico” (da zeteo = cercare) perché Origene partiva dal presupposto dell’eternità della Scrittura e dalla necessità di trovare lì le risposte alle domande di senso della vita. Il pensiero origeniano invece diventa ortodosso quando la sua ricerca diventa libera e lo studio originale su Origene si caratterizza per la sete di ricerca e per la libertà dell’uomo. Fare teologia significa partire da una conoscenza rigorosa e puntuale della scrittura dove anche uno “iota” può dare vita a nuovi significati e non per nulla il metodo di trattazione è quello delle “questiones” e delle “responsiones”. Questo misto di rigore ed efficacia rientra nello stile di Simonetti che è stato insignito del premio “papa Ratzinger” nel 2011 con la motivazione che aveva aperto i Padri della Chiesa al pubblico facendoli uscire da uno studio di nicchia, confessionale e apologetico, il che ha permesso agli origeniani di riprendersi un posto di onore negli studi patristici degli ultimi 15 anni. Un ultimo passaggio riguarda la riscoperta delle 29 omelie sui salmi ritrovati nel giugno 2012 a Monaco di Baviera sottolineando che solo una biblioteca laica poteva sancire il diritto di cittadinanza ad Origene ed anche l’università statale assume un ruolo importante perché dà la possibilità agli studenti di studiare la teologia.

Interviene Emanuele Curzel che discute una relazione sulla rivoluzione che ribaltò la questione del potere. Ogni epoca si interroga sul passato che dà senso al presente e quindi cerca di capire il linguaggio e le espressioni nella convinzione che si può trovare la verità e la Chiesa ha cercato di tornare alle sue origini (Carlo Magno, Umanesimo, Concilio di Trento) specialmente nella speranza di mantenere le tradizioni orali conservate in successione continua. Nel ‘700 poi si è voluto mettere in discussione quelle dottrine riprendendo quei padri che erano stati integrati nel metodo scolastico e lo stesso Origene lo dimostra. Ciò non toglie che lo stesso fenomeno possa ripresentarsi oggi. In “Interstellar” si parla di un’umanità divisa in due classi, gli gnostici (scenziati) e il popolo (schiavi) dove i primi devono giustificare la propria conoscenza senza lasciare spazio a interpretazioni. In altre parole la lotta per la sopravvivenza non è sentito utile come lottare in sé e oggi i nostri contemporanei giudicano utile questa esistenza di chi cerca di spiegare i meccanismi della vita e le leggi scentifiche. Per parafrasare Origene che è il seminatore ignaro si può dire che generare futuro significa fare come il protagonista del film chiamata a salvare l’umanità. Quella rivoluzione risale agli anni ’60 per rispondere ad un’altra accusa che era stata formulata da Celso che nel II secolo accusa i cristiani di aver abbandonato le leggi patrie. La Chiesa italiana nel XIX secolo con l’intento di recuperare i cattolici persi a causa del modernismo risponde che “l’amore per la patria” è figlia della stessa fonte della religione da cui consegue che un dovere non può essere in competizione con l’altro. All’indomani dei moti del ’48 il papa negò qualsiasi accordo con i partiti anticattolici e non stupisce che in mote famiglie l’educazione cattolica si conciliava con l’avventura coloniale in Libia e in Eritrea. Perfino papa Leone XIII, durante la prima guerra mondiale, invita a deporre la spada senza perdere il senso nazionale. Nel 1923 don Sturzo attaccò i deputati del partito popolare che avevano accettato di sostenere il fascismo (“la nazione non è un ente spirituale ma il complesso storico di un popolo che esperisce le sue energie in una forma ordinata”). Secondo Origene le nazioni sono governate da entità spirituali, gli archonti, capaci di insegnare agli uomini ma inferiori a Gesù per cui il servizio dei cristiani si estende a tutto il mondo mentre il sacrificio di Cristo si configura come liberazione e redenzione che vanno tradotte come qualcunque orizzonte universalista non si può raggiungere con le sole forze umane.

Interviene Diego Quaglioni che discute una relazione sull’impero romano e il popolo ebraico. Quali sono le origini dell’antisemitismo romano e cristiano? Spesso si parla di Simonetti nell’ambito di un clima accademico ricco e variegato sviluppatosi negli anni ’60 e ’70 in cui non si insegnava solo la medievalistica ma anche la storia della Chiesa, l’archeologia cristiana, la morale cattolica, etc. In quegli anni c’erano personaggi quali Giulio Battelli, Raffaele Morghen, Raul Manselli, Agostino Pallavicini, il che faceva presagire ad un apprendistato per i giovani che oggi manca. Questo libro è pieno di pagine vivissime che rispecchiano quell’ambiente di ricerca ma anche di relazioni. Pertanto così come lo studio della teologia viene da una tradizione che si tramanda da maestro ad allievo, tanto il maestro giudaico ha trasmesso qualcosa all’allievo cristiano che riguarda l’amore per la ricerca di Dio. Dei Padri della Chiesa si è detto di tutto ed anche che fossero antisemiti, es. Giovanni Crisostomo è un ottimo omileta ma quando fu posto a capo della Chiesa constantinopolitana iniziò a combinare guai. In “Teologia nella crisi dell’occidente” Simonetti dimostra il ruolo unificatore dell’impero romano anche sul piano dottrinale mentre l’ebraismo viene circondato da una diffidenza già insita nel mondo greco. In “Falsi letterali giudaici e cristiani” si può continuare a vedere come Simonetti scava in questi problemi storiografici e, contraddicendo ad alcune suggestioni, si appiglia fortemente alle fonti tradizionali tra cui Giuseppe Flavio che è stato accusato di plagio ma che dimostra l’attaccamento di uno storico alla verità dei fatti. L’attribuzione delle epigrafi nel mondo cristiano induce Simonetti a riformulare delle ipotesi su possibili intrecci di carattere sincretistico.

Conclude Gian Maria Vian che discute una relazione sul mestiere di teologo. Qualche anno fa poteva capitare di trascorrere un anno di rubrica giornalistica su Avvenire per scrivere ogni settimana due pagine sul mondo antico classico e cristiano e l’ultimo saggio di Simonetti sulla speranza è in realtà una ripubblicazione postuma tratta da un libretto già edito. Oggi un grande teologo può insegnare a scuola che è il luogo privilegiato per trasmettere la cultura del nostro paese. Manlio Simonetti, insieme a Paratore e Marselli, è tra i più grandi studiosi del cristianesimo. Quando gli giunse la proposta di scrivere su Avvenire pensò a come unire il mondo pagano con quello cristiano e pensò di arricchire gli articoli con delle corpose introduzioni in modo da facilitarne la comprensione ad un pubblico più variegato possibile. Una volta ai preti si insegnava la retorica e Simonetti dice che i Padri della Chiesa come Agostino e Crisostomo avevano nel loro uditorio anche molti pagani che erano affascinati dal loro modo di parlare e, insieme ai Padri Cappadoci, sono gli autori prediletti dai bizantini. Oggi non si studiano più le cose che Simonetti ha insegnato sebbene ogni epoca ha i suoi caratteri e i suoi limiti, es. il corso sul vangelo secondo Giovanni spiegato da Rudolf Bultmann in un’epoca in cui non si credeva più ai miracoli.

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