L’assistenza sociale agricola. Rivista mensile di infortunistica e assistenza sociale. Edita dalla Federazione Nazionale Casse Mutue Malattie per i lavoratori agricoli e dalla Federazione Enti Mutui per l’Assicurazione Infortuni sul Lavoro in Agricoltura, Società Anonima Tipografica Luzzatti, via Fabio Massimo 45 Roma. Direttore responsabile: Giuseppe Montemurri.
Vicedirettori: Luigi Razza, Roberto Roberti (dal 1930); Biagio Borriello, Giuseppe Tassinari (dal 1931). Comitato di redazione: Roberto Roberti, Giuseppe Montemurri, Ettore De Nicola. Collaboratori: Giovanni Allevi, Lorenzo Bardelli, Augusto Busacchi, Francesco Carnelutti, Vittoriano Cavara, Antonio Cazzaniga, Roberto D’Andrea, Giovanni De Francisci Gerbino, Francesco Delitala, Guido Gentile, Filadelfo Insolera, Antonio Marozzi direttore generale della CNFA, Pietro Niccolini, Arnaldo Pieraccini, Gustavo Pisenti, Silvio Rameri, Vincenzo Ricchioni, Paolo Thaon di Revel, presidente della FPSFA di Torino, Carlo Todesca di Castellazzo e Vittorio Zevi.
Il periodico, pubblicato a cadenza bimestrale, si componeva di una parte dedicata agli articoli (assistenza, previdenza, infortunistica) ed una parte alle rubriche (Fatti e commenti, Riviste e giornali, Notiziario bibliografico, Dottrina e giurisprudenza); dal 1935 la giurisprudenza appare in appendice all’ultimo fascicolo per ogni annata per ritornare come prima nel 1940. Gli editori comprendevano inizialmente la Federazione Nazionale Casse Mutue Malattie per i lavoratori agricoli e la Federazione Enti Mutui per l’Assicurazione Infortuni sul Lavoro in Agricoltura a cui si aggiunsero il Patronato Nazionale per l’Assistenza Sociale Agricola e la Confederazione generale dei lavoratori agricoli:
«La Previdenza è una alta manifestazione del principio di collaborazione – Il datore di lavoro e il prestatore di opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di essa – Lo Stato mediante gli organi corporativi e le Associazioni professionali, procurerà di coordinare e di unificare quanto è più possibile il sistema e gli Istituti della Previdenza (…) Lo sviluppo della Previdenza, insieme a quello dell’Agricoltura con la sempre più intensa e diffusa adozione delle macchine e degli altri mezzi della coltura intensiva a tipo industriale, vanno ogni giorno di più preparando i nostri agricoltori ad accogliere in pieno le provvidenza assistenziali, mentre lo sviluppo dell’organizzazione sindacale ne facilita il mezzo, ne indica il modo, ne aiuta la elaborazione (…) Il programma di questa Rivista, che ha modeste ma oneste pretese, è perciò propagandare da un lato valorizzandole con la maggior precisione possibile, leggi e dottrine; rappresentare dall’altro le necessità e le opportunità che l’esperienza assistenziale nel campo agricolo andrà ogni giorno mostrando» (Editoriale, 1928, 1, pp. 1-2).
Obiettivo dell’assistenza non era solo quello di seguire il lavoratore nei suoi problemi ma organizzare la sua vita anche nell’eventualità di non averne più bisogno:
«Bisogna convincersi che il mondo rurale è un mondo non separato da tutto il resto dell’umanità ma che convive con il resto, rimanendo però aderente a certe sue spiccate e singolarissime caratteristiche, che sono il prodotto di secoli e secoli di tradizioni, di costumanze, di arte, anche e perché no? Di pensiero» (Pesce G., Appunti per un programma di assistenza sociale agricola, 1928, 2-3, p. 5).
Nell’ideologia fascista l’agricoltura è già assistenza in quanto si pensava che la terra, adeguatamente lavorata, potesse fornire tutto ciò di cui aveva bisogno la società. In altre parole l’agricoltura era intesa non più come economia di sussistenza ma come ideale di vita per tutta la famiglia:
«La terra e l’infanzia. Queste due vergini cose ci vien fatto di porre oggi a contatto e diremmo in funzione reciproca in scambievole azione a proposito del problema che il Governo Nazionale ha avuto il merito di porre fra quelli che trovansi al primo piano della nostra attività di Nazione: il problema dell’Assistenza Sociale. L’assistenza sociale si pone oggi anch’essa come problema di organizzazione e di minimo mezzo. E virtù del minimo mezzo è quella di risolvere contemporaneamente e con gli stessi mezzi più di un problema. Che anzi sovente la soluzione di un problema è data da altri problemi sol che essi siano messi a contatto. È questo precisamente il caso della nostra Terra e della nostra Infanzia. Bisognosa quella di veder le nuove generazioni associarsi a lei con rinnovato amore. Tendente questa a ritemprarsi tutta nel seno della Grande Madre. D’altro canto la fondamentale impostazione del problema tecnico assistenziale, che è di reintegrazione di tutte le capacità e possibilità dell’individuo umano, trova la sua migliore applicazione sociale nei riguardi ed in funzione dell’infanzia espressione della giovinezza, della continuità dell’avvenire della Società nazionale ed umana (…) l’assistenza all’infanzia – sopratutto dell’infanzia abbandonata, deficiente e tarata – può ricevere impensate soluzioni se messa in rapporto alle possibilità della coltivazione della terra, allo stesso modo che l’intero problema assistenziale può essere avviato ad una soluzione più logica ed integrale attraverso l’assistenza dell’infanzia: una soluzione alla radice» (Montemurri G., Agricoltura e assistenza all’infanzia, 1928, 7, p. 403).
L’unità economica ed ergonomica principale era costituita dalla colonia agricola:
«Il numero degli orfani in rapporto colla condizione sociale del padre è dato in una cifra totale di 355.370 nati (tra il 1902 e il 1918) di cui 221.232 figli di contadini ciò dimostra che i contadini hanno dato il massimo tributo di sangue alla patria (…) la legge 18 luglio 1917 riconosceva l’Opera come Istituto nazionale per l’assistenza agli orfani di guerra» con il compito di «mantenere alla terra gli orfani dei contadini e anzi di ridarli ad essa dotati delle capacità per meglio coltivarla (…) i comitati provinciali per legge decidono i ricoveri agli orfani stabilendo il pagamento di una retta: si ottenne che le Colonie Agricole fossero tenute sempre presenti, inspirandosi al criterio che l’assistenza all’orfano deve completarsi colla sua istruzione professionale: gli orfani dei contadini devono diventare provetti agricoltori (…) l’attività dell’Opera e dei Patronati provinciali è stata ed è notevole e multiforme: sussidi in denaro, in oggetti di corredo, in medicinali, invio alle Colonie marine e montane degli orfani gracili, impianto di Laboratori per orfani, costituzione di Colonie Agricole, delle quali parleremo in capitolo a parte, e istituzioni di Corsi temporanei di istruzione agricola (…) per colonia agricola non intendiamo né la scuola pratica di agricoltura né il palazzo col relativo orto e campo sperimentale: noi intendiamo essenzialmente un’azienda agraria, dotata di terreno coltivabile sufficiente a permettere l’esercizio normale dell’agricoltura. I piccoli orti sperimentali, i piccoli campicelli, che rappresentano l’agricoltura “a pillole”, sono più atti a dare una idea falsa dell’azienda agraria che a formarne una razionale. Vogliamo un’azienda agraria dunque completa in tutte le sue parti, non solo nella quantità proporzionata di terreni ma altresì nel tipo della casa e nello svolgimento della vita di quelli che vi dovranno crescere e vivere (…) l’insegnamento agricolo dovrà essere fatto sui campi, nell’azienda: gli orfani, a seconda della loro età e della loro capacità, dovranno eseguire le operazioni richieste: ai più piccoli verrà riservato il lavoro nel pollaio, nel porcile, nella conigliera, nell’apiario, ai più grandi sarà assegnato il lavoro nei campi, nella stalla (…) le colonie agricole sono a tutt’oggi in numero di 45» (G.M., Agricoltura e assistenza dell’Infanzia, 1928, 8, pp. 474-481).
La nuova colonia agricola a Cividale del Friuli:
«Fra le principali realizzazioni del Regime nel campo dell’assistenza sociale agricola va segnalato il compimento nel gennaio di quest’ano dei lavori iniziati nell’aprile 1929 per la costruzione di una nuova colonia agricola a Cividale del Friuli che è certo uno dei maggiori per capienza di fabbricati, per numero di presenza giornaliere, per organizzazione economica, finanziaria, tecnica e didattica che vanti l’Italia e il Friuli ha il maggior numero di orfani ed assimilati (13 mila 334 unità pari al 21,33 per mille della popolazione). Il podere è provvisto di un orto, un frutteto, un vigneto, un gelseto e di una area per le culture di cereali. La Colonia è frequentata da 40 allievi che ogni giorno di più dimostrano il più vivo attaccamento alla sana vita rurale. La specializzazione è già iniziata. A seconda delle varie tendenze gli allievi si indirizzano particolarmente ai vari allevamenti, ed è con vera soddisfazione che i preposti notano i progressi notevolissimi della loro istruzione rurale. Gli allievi sono ammessi in via di apprendistato al decimo anno di età e cioè quando ancora non hanno compiuta l’istruzione elementare. Passano così i primi due anni come osservatori e piccoli assistenti nelle varie operazioni pratiche giornaliere. Ottenuta la licenza elementare si iscrivono alla Scuola di avviamento al lavoro e dopo tre anni di corso si licenziano da detta Scuola in possesso di una notevole quantità di cognizioni pratiche e teoriche utilissime nella loro vita futura di contadini specializzati od anche di bravi castaldi. I migliori di essi, quelli che danno affidamento per qualità intellettuali e morali potranno continuare gli studi nelle scuole di grado superiore» (Fatti e commenti, 1930, 3-4, pp. 175-176).
Interessante articolo sulle radici cristiane dell’agricoltura:
«Il 27 aprile nel padiglione della nostra confederazione alla Fiera di Milano l’on. Gino Cacciari ha tenuto l’annunciata sua conferenza su “San Benedetto e la restaurazione agricola” (…) L’abbazia Benedettina non è soltanto il pilastro fondamentale di una organizzazione civile; ma anche di un’organizzazione civile; ma anche di un’organizzazione economica nella quale i concetti fondamentali della carità cristiana e della civiltà si fondono con quelli della gerarchia e della disciplina nella produzione agricola. San Benedetto, disciplinando le Abbazie e guidando le masse rurali verso il miglioramento della produzione, creò il primo nucleo del libero Comune che era profondamente rurale; e restaurando le sorti agricole d’Italia, non operò un miracolo immediato; ma ottenne il successo perché la sua dottrina racchiudeva in sé stessa i germi necessari per gli ulteriori sviluppi: egli fu restauratore perché fu legislatore e sentì che, in un mondo avvilito e corrotto quale era quello del suo tempo, bisognava incominciare col far agire la potente leva dei valori morali, riabilitando il concetto della dignità del lavoro, avvicinando l’umile fatica manuale alle più nobili forme della spirituale attività. Il suo monastero, fin dalle origini, riproduce il classico tipo della villa romana ed è centro di attività agricola dove la vita attiva si congiunge alla contemplazione, il pensiero all’azione; dove al lavoro manuale è assegnato un tempo doppio di quello dedicato alla preghiera; dove sono accomunati, nella stessa fatica, nobili e umili. Benedetto fu legislatore ed organizzatore perché, al dissolvimento sociale operatori con l’avvento dell’individualismo germanico, contrappose l’associazione disciplinata della comunità monastica gerarchicamente costituita e facente capo all’autorità dell’Abate (…) Scendendo nei secoli al periodo comunale, l’oratore prosegue illustrando come l’ordinamento politico del Comune abbia trasformati i concetti fondamentali del diritto feudale: alla soggezione è sostituita l’associazione; alla dipendenza dei singoli da un signore è sostituita l’unione di intere classi che si reggono e si guidano nel proprio interesse l’opera dei monasteri compie il suo ciclo di incivilimento rendendo liberi gli uomini asserviti, dominando i barbari, riunendo gli uni e gli altri in un unico elemento dal quale scaturisce una civiltà improntata agli elementi ed ai concetti eterni della romanità: e dove la funzione delle Abbazie giunse a dominare la decadenza medioevale, l’agricoltura acquistò tali forme progredite da differenziare da tutte le altre le zone sottoposte all’opera dei monaci e da perdurare anche oggi» (Notiziario, 1929, 5-6, pp. 387-388).
L’assistenza sociale non era intesa come beneficenza (come lo era stata nei governi liberali) ma come compito precipuo dello Stato per livellare le diseguaglianze sociali:
«L’assistenza sociale attuata dal Fascismo è uno degli aspetti forse il più originale ed il più interessante, con il quale si manifesta nella odierna vita sociale italiana il principio della collaborazione fra le classi, riconciliate sul terreno comune della Nazione (…) In base a tali principi ed obbedendo alle supposte considerazioni, la Carta del Lavoro, che regola la nuova vita sociale italiana considerata da un punto di vista strettamente unitario ha dedicato all’assistenza sociale quattro delle sue dichiarazioni: gli organi corporativi sorvegliano perché siano osservate le leggi sulla prevenzione degli infortuni e sulla polizia del lavoro da parte dei singoli soggetti alle associazioni collegate (XXV); la previdenza è un’alta manifestazione del principio di collaborazione (XXVI); lo Stato Fascista si propone il perfezionamento dell’assicurazione infortuni, maternità, disoccupazione involontaria e forme speciali dotalizie per giovani lavoratori (XXVII); è compito delle associazioni di lavoratori la tutela dei loro rappresentati (XXVIII). Di tale legislazione sociale merita menzione particolare il RDL 03.01.1926 n. 79 col quale fu istituita l’Associazione nazionale per la Previdenza degli infortuni sul lavoro delle quali fanno parte tutte le imprese industriali e agricole (…) il RD 14.04.1927 n. 503 al quale debbono osservanza tutte le aziende industriali, commerciali e agricole che impiegano nel lavoro persone rimunerate (…) la L. 24.09.1924 n. 2157 relativa alla Cassa di maternità avente lo scopo di sussidiare le operaie tanto in caso di parto che in quello di aborto (…) la L. 10.10.1925 n. 2277 (istituzione dell’Onmi) la quale si propone i fini inerenti la diffusione delle norme e dei metodi scientifici relativi alla gestazione, al puerperio, all’igiene pre e post-natale, nelle famiglie e negli istituti, all’istituzione di ambulatori per la sorveglianza e la cura delle gestanti, con speciale riguardo alle lue ed alle altre malattie sociali, all’istituzione di scuole teorico-pratiche di puericoltura e corsi popolari di igiene materna e infantile, in collaborazione con le istituzioni esistenti in tema di assistenza sociale (…) Altra istituzione che merita di essere specialmente menzionata è il Patronato Nazionale per l’Assistenza Sociale la cui attività ridonda ad onore e vanto dell’assistenza sociale quale viene attuata dalle leggi fasciste. Creato nel 1925 dalle Associazioni sindacali è stato ulteriormente perfezionato, aggiornando la sua costituzione ed il suo funzionamento, coi principi scaturiti dalla costituzione dell’ordinamento sindacale e corporativo e dalle enunciazioni contenute nella Carta del Lavoro. I compiti riservati dalle leggi nostre al Patronato le cui prestazioni sono gratuite si riferiscono in special modo all’assistenza per gli infortuni agricoli per quelli industriali, per le pensioni di invalidità e vecchiaia, agli assegni di maternità, di disoccupazione e di superstiti. Inoltre è opportuno ricordare che il Patronato ha anche istituito degli uffici medici e legali né si è mai rifiutato dall’esplicare altre funzioni assistenziali non attribuitegli per legge. L’importanza del Patronato è manifesta, quando si pensi che ha un suo proprio rappresentante in seno al Comitato intersindacale centrale presieduto dal Capo del Governo. L’attività del Patronato, in continuo incremento come ha comunicato di recente il suo presidente in seno al predetto Comitato, segna già per l’anno in corso un notevolissimo miglioramento rispetto all’anno precedente. Altra importantissima forma di assistenza sociale è quella degli Uffici di Collocamento in attuazione della legge del 29.03.1928 n. 1003 e del regolamento relativo ad essa seguito (…) Appare evidente che il Fascismo non considera l’assistenza sociale come una forma di concessione o di beneficenza pubblica ma come un compito dello Stato il quale interviene in nome della sua stessa funzione ad adempiere la sua missione nel campo dell’Assistenza Sociale e ciò in conseguenza dei principii storici, etici e morali ai quali lo Stato stesso si ispira in tutti i suoi atti» (Ronchi E., L’assistenza sociale nella concezione e nelle leggi del Fascismo, 1929, 11-12, pp. 726-731).
Uno degli slogan più frequenti fu di “sbracciantizzare” l’agricoltura e “contadinizzare” le masse lavoratrici:
«Allo scopo di alleggerire in modo sempre più concreto e definitivo la pressione che questa massa di avventizi della terra esercita sull’agricoltura il Gran Consiglio ritiene necessario che unità familiari di braccianti siano collocati nei terreni di nuova bonifica nell’Italia centrale, meridionale e insulare; che dovunque sia possibile e redditizio sia attuato lo stralcio delle terre o un contratto di partecipazione onde offrire un lavoro normale e un guadagno sicuro alle famiglie di braccianti; che sia organizzata su più vasta scala l’emigrazione all’interno delle masse dei braccianti padani; che i dirigenti sindacali dei prestatori d’opera tengano conto nella stipulazione dei contratti collettivi non solo del fattore salario ma soprattutto del fattore continuità del lavoro (…) difatti il contratto di lavoro in agricoltura non solo ha lo scopo di determinare il salario e dirimere le vertenze ma ha il compito di “sbracciantizzare” l’agricoltura e “contadinizzare” le masse lavoratrici agricole, facendo sì che il contratto di lavoro divenga sempre più uno strumento della nuova realtà politica ed economica da creare e perfezionare (…) il bracciante non legato alla terra doveva costituire la massa di manovra per l’azione politica del socialismo ed i mezzadri ed i compartecipanti lo erano per i socialisti sufficientemente rivoluzionari (…) il compartecipante infatti lavora tutto l’anno benefica del raccolto dei prodotti ha il pane assicurato ed ha la sua casa» (Fatti e commenti, 1930, 3-4, pp. 171-172).
Nel 1928 furono aperti i primi Uffici di Collocamento:
«Con RD 29 marzo 1928 n. 1003 e RD 6 dicembre 1928 n. 3222 com’è noto sono stati istituiti gli Uffici di Collocamento gratuito di tutte le categorie di lavoratori dell’Agricoltura e in tutta Italia gli uffici hanno funzionato egregiamente (…) Di essi sono già in pieno funzionamento 81 uffici provinciali e prossimi ad essere istituiti i rimanenti 11 uffici provinciali (…) proseguendo nello sviluppo delle sue opere assistenziali l’Associazione Fascista del Pubblico Impiego sta studiando la possibilità di organizzare, alle proprie dirette dipendenze, una serie di convitti nei quali i figli degli impiegati dello Stato e degli Enti parastatali e locali possano essere accolti e avviati agli studi mediante il pagamento di una modesta retta mensile» (Fatti e commenti, 1930, 3-4, pp. 173-175).
Il Patronato Nazionale per l’Assistenza Sociale era l’ente parastatale che assumeva le competenze assistenziali dei lavoratori. Nella relazione conclusiva per il 1929 vi sono alcuni dati che danno un’idea del bacino di utenza e delle capacità finanziarie di questo ente: liquidazione infortuni industriali oltre 100 milioni di lire; liquidazioni infortuni agricoli 22 milioni e 500 mila lire; pensione di invalidità 2 milioni e 500 mila lire; pensione vecchiaia 4 mila 250 lire; assegni di morte un milione 580 mila lire. La Regione virtuosa era la Lombardia che da sola offriva il 60% delle liquidazioni complessive (Un anno di lavoro del Patronato Nazionale per l’Assistenza Sociale, 1930, 1-2, pp. 76-77).
«Dal 2 ottobre è entrato in vigore il nuovo statuto del Patronato Nazionale per l’Assistenza Sociale che secondo la dichiarazione XXIX della Carta del Lavoro è l’organo tecnico a mezzo del quale le Confederazioni Nazionali Fasciste dei Lavoratori adempiono alla funzione di assistenza e di tutela dei propri rappresentati nelle pratiche amministrative e giudiziarie relative alle assicurazioni e previdenza sociali in genere. Il nuovo statuto dispone che il Patronato avente sede in Roma ed esplicante attività in tutto il territorio del Regno ha personalità giuridica. Il Patronato nell’ambito delle leggi e dei regolamenti sopra riportati presta la sua assistenza a qualsiasi lavoratore anche se non inscritto ad associazioni professionali legalmente riconosciute. Le sue prestazioni in qualunque forma e sede sono gratuite (…) Sono organi del Patronato: la Presidenza, il Consiglio di Amministrazione, il Comitato esecutivo e il collegio dei Sindaci. Il Presidente è nominato con decreto dal Ministero delle Corporazioni. Il Patronato esplica la sua azione sia direttamente sia a mezzo di uffici regionali e provinciali» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1930, 10, pp. 389-390).
Tra i servizi offerti vi era l’assistenza medica e legale:
«È stata pubblicata la relazione dell’on. Barenghi sull’efficienza e sull’attività del Patronato nazionale per l’assistenza sociale di cui egli è direttore generale (…) Operai assistiti per infortuni industriali e agricoli: 102 mila 093 nel 1929 e 128 mila 624 nel 1930. Indennità liquidate per infortuni industriali e agricoli: nel 1928 lire 93,637,125; nel 1929 lire 124,137,607; nel 1930 lire 148,016,035. Operai assistiti per altre forme di assicurazione (invalidità, vecchiaia, tubercolosi, superstiti e maternità): nel 1928 n. 31,540; nel 1929 n. 30,416; nel 1930 n. 41,224. Indennità liquidate per le stesse forme di assicurazione: nel 1928 lire 6,473,289; nel 1929 lire 5,588,561; nel 1930 lire 11,205,778 (…) L’on. Barenghi si occupa inoltre del funzionamento del servizio legale e del servizio medico del patronato sia al centro che alla periferia. L’Ufficio legale centrale è diretto dalla medaglia d’oro on.avv. Amilcare Rossi; l’ufficio medico dall’on. Ermanno Fioretti. Negli ultimi tre anni sono state eseguite 365,277 visite mediche: 104,306 nel 1928; 125,193 nel 1929; 135,778 nel 1930» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1931, 5, p. 248).
La crisi del ’29 si fa sentire anche in Italia:
Al 31 agosto 1930 i disoccupati in Italia risultano ammontare a 375 mila 548 dei quali 130 mila usufruiscono del sussidio di disoccupazione (…) Il numero maggiore spetta alla regione Puglia con 27 mila 197 disoccupati mentre la più virtuosa è l’Abruzzo e il Molise con 5 mila 985 (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1930, 10, pp. 390-391).
La politica sociale faceva gola alla concorrenza:
«Una commissione di medici sovietici georgiani, composta dei signori dott. Keniashwill, Frangulian e Mcdlezzo si è recata negli uffici dell’Opera nazionale maternità e infanzia per prendere notizie del funzionamento di questa massima istituzione fascista per l’incremento della razza. La commissione accompagnata dal comm. Tommasi Crudi del Ministero dell’Interno e dal Consigliere dell’Ambasciata sovietica si è trattenuta negli uffici dell’Opera circa due ore prendendo numerose note ed appunti sul funzionamento dell’Istituto. Accompagnata dai dirigenti dei servizi sanitari dell’Opera, la commissione ha visitato quindi varie istituzioni nelle quali sono messi in pratica i postulati dell’assistenza fascista. I delegati sovietici hanno manifestato a più riprese il loro favorevole giudizio sulla politica sociale così vigorosamente seguita dal Governo Fascista per l’azione morale e culturale del nostro paese» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1930, 10, p. 399).
Un po’ di statistiche:
«Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Agenzia “L’Italia Oggi” risulta che il gettito dei contributi delle assicurazioni ammonta attualmente a un miliardo 195 milioni 677 mila 060 lire. Concorrono a formare tale somma: l’assicurazione invalidità e vecchiaia nelle sue varie forme per il 42.7%; l’assicurazione infortuni nelle industrie per il 27,9%; l’assicurazione tubercolosi per l’11,3%; l’assicurazione disoccupazione infortuni agricoli per il 2,9%; l’assicurazione per malattie nuove provincie per il 2,5%; l’assicurazione gente di mare per il 0,7%; l’assicurazione maternità per il 0,6%; l’assicurazione malattie professionali per il 0,2%. Il costo complessivo delle assicurazioni sociali supera dunque il gettito delle imposte fondiarie (lire 1.056.754) e rappresenta il 7 per cento del totale carico tributario italiano valutato in circa 17 miliardi. Contribuiscono alle assicurazioni per la maggiore percentuale i datori di lavoro. La parte da essi versata ammonta complessivamente a lire 787.989.744 delle quali 550 milioni provenienti dai contributi corrisposti dagli industriali e il rimanente dal commercio, dall’agricoltura e dai trasporti marittimi. L’Agenzia ricorda a questo proposito che i contributi per le assicurazioni obbligatorie contro l’invalidità e vecchiaia, la disoccupazione, la tubercolosi e le malattie sono a carico uguale per i datori di lavoro e i lavoratori: sono invece a carico esclusivo dei datori di lavoro le assicurazioni contro gli infortuni nell’industria e nel lavoro, le assicurazioni contro gli infortuni nell’agricoltura e malattie professionali e la assicurazione malattie della gente di mare (…) L’Agenzia conclude affermando che del miliardo e 200 milioni che costituisce il costo delle assicurazioni sociali, il 65% è versato dai datori di lavoro, il 33,9% dai lavoratori e il 0,2% dallo Stato» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1931, 3, p. 102).
Gli orfani di guerra beneficiavano di una speciale tutela (ONOG):
«Gli orfani di guerra nella Provincia di Napoli risultano nel 1930 in numero di 11 mila 793 con una diminuzione di 533 in rapporto agli iscritti del precedente anno. I fondi messi a disposizione del Comitato provinciale dall’Opera Nazionale Orfani di Guerra furono di 1 milione 215 mila 358 lire di cui 30 mila lire per le colonie marine e 22mila 725 lire per borse di studio (libri scolastici, buoni, sussidi, abbonamenti ferroviari e tramviari). Attraverso laboriose trattative con l’Opera Nazionale Combattenti nel 1930 si ottennero nel sorteggio avvenuto il giorno 2 ottobre circa 900 lotti di terreno da distribuirsi fra orfani a mezzo dei legali rappresentanti (…) Nei mesi di luglio, agosto e settembre furono inviati al mare n. 500 orfani di cui 300 in colonia permanente a Pozzano (Castellammare di Stabia) presso l’Orfanotrofio Stabiano e 200 in colonia diurna a S.Giovanni a Teduccio, su spiaggia riservata, con baraccamento proprio del Comitato e con servizio fisso quotidiano di un vigile, concesso dal Comune (…) ai tubercolotici o predisposti alla tubercolosi che purtroppo rappresentano la grande maggioranza si distribuiscono i necessari indumenti di lana, i medicinali e il latte e si tenta di ricoverarli in appositi luoghi di cura. Si tenta perché i Consorzi antitubercolari rifiutano l’assistenza agli orfani di guerra rimandandola a questo Comitato» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1931, 5, pp. 241-242).
I reduci della Grande Guerra avevano diritto alla terra:
«L’avvenimento di alta e commovente significazione svoltosi il 10 maggio a Carditello non troverebbe adeguato rilievo nel semplice resoconto della cerimonia che riuscì peraltro solenne: la terra ai combattenti a quelli che l’hanno difesa a quelli che l’hanno contesa con ogni sacrifizio irrorandola del proprio sangue all’invadenza nemica (…) queste terre già suddivise in appezzamenti varianti per estensione, data la difformità delle zone in gran parte ancora boschive, erano state date in fitto a vari conduttori; ma questo stato di cose non consentiva la integrale bonifica (…) il 10 maggio dunque si giunse alla firma del contratto di cessione dei detti terreni ai 1059 agricoltori» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1931, 5, p. 243).
La cinematografia è l’arma più forte:
«Per la trattazione cinematografica i films di carattere sociale si possono dividere in due gruppi: soggetti che si prestano ad essere trattati come films di propaganda, tecnici e scientifici; soggetti la cui trattazione non può farsi che con la sceneggiatura. Nel primo gruppo rientrano i films sulle malattie professionali, nel secondo gruppo i films sulla ruralizzazione, sulla cooperazione e la mutualità. Esaminando il primo gruppo abbiamo: che i films sulle malattie professionali riescono meglio del film di propaganda (…) i films sulle piccole industrie rurali possono considerarsi alla stregua dei films tecnici e di propaganda (…) i films d’igiene rurale partecipano anch’essi del film di propaganda e tecnico (…) i films sulla cooperazione anch’essi partecipano, almeno per quel che riguarda le cantine e latterie sociali, gli essiccatoi cooperativi, ecc, sia del film di propaganda che tecnica (…) i films sulla prevenzione degli infortuni agricoli possono considerarsi di carattere eminentemente tecnico» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1931, 9, pp. 520-521).
Confronto tra Stato democratico e Stato fascista:
«Niuna parte dell’organismo sociale può essere prospera e potente, se tale non è il tutto, lo Stato; né questo può essere prospero e potente, se ciascuna delle parti non vi tiene organicamente il proprio posto che è la condizione prima per la grandezza dell’agricoltura italiana. Nello Stato democratico, che affidava alle elezioni la scelta della classe dirigente, il mondo rurale era eliminato dalla classe politica dirigente; costretto a vivere in margine alla vita dello Stato cioè a non vivere ma vegetare. Fu un errore del liberalismo il ritenere che l’unico possessore del diritto di rappresentanza dello Stato (sovranità) fosse il collegio elettorale nelle sue varie forme di costituzione. La sovranità dello Stato veniva così frazionata e polverizzata e la pretesa sovranità generale di Rousseau, irrealizzabile per l’eterogeneità elettorale, andò a finire nelle mani dei partiti e dei loro gregari i quali presero il posto delle vecchie baronie feudali, accampate contro lo Stato, con la pretesa assurda di essere svincolate da ogni soggezione al suo governo. Il regime liberale democratico mise necessariamente capo a un regime di plutocrazia demagogica, regime per eccellenza antirurale (…) Nei rurali è il nerbo della produzione nazionale. Su 29 milioni 678 mila 234 italiani da dieci anni in su, aventi un’occupazione professionale, 11 milioni 736 mila 891 (39,5%) sono agricoltori e contadini» (Notiziario bibliografico, 1931, 9, pp. 521-523).
Le parole d’ordine per raggiungere gli obiettivi del Regime erano pianificazione e prevenzione:
«L’attività del tecnico agronomo nel campo dell’igiene rurale non deve sovrapporsi alle funzioni del medico igienista. Il problema che più da vicino deve interessare il tecnico agronomo è precisamente la bonifica ed il risanamento dei centri rurali ed i metodi più efficaci e più economici per realizzarla. Questo risanamento interessa l’approvvigionamento dell’acqua, il trattamento dei materiali di rifiuto, il problema dell’abitazione, in esso compreso le condizioni d’abitazione degli operai agricoli ed i miglioramenti fondiari (…) sarà lui che potrà dirigere le misure di precauzione contro la malaria, servendosi della sua autorità sui contadini per ottenere un migliore risultato in quest’opera di miglioramento. Sarà il tecnico-agronomo che dirigerà i piani di costruzione, di colture di trasformazione, sorvegliando perché i locali destinati alla trasformazione dei prodotti agricoli siano conformi a tutte le esigenze dell’igiene razionale, per assicurare la buona salute degli operai agricoli e per eliminare tutte le cattive influenze che determinano la diminuzione della capacità produttiva del contadino e quella delle nascite fra la popolazione rurale» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1931, 10, p. 591).
L’assistenza sociale in Africa:
«Le facilitazioni che il Governo concede sono numerose. Vanno dai sussidi in denaro all’appoggio morale e materiale col quale si assistono tutte le iniziative che possono contribuire allo sviluppo economico delle due Colonie Libiche (…) L’ultima statistica del dicembre del 1929 dava 455 famiglie (1778 persone) immesse sulle concessioni e proprietà che usufruiscono dei contributi; durante il 1930 si sono aggiunte altre 279 famiglie (1036 persone). Ma occorre tener presente per quanto riguarda l’ambiente civile che l’attrezzatura della Colonia, la quale è già rilevante, non permette esperimenti molto vasti (…) Per la Cirenaica la situazione è meno buona a causa delle sfavorevoli condizioni politico-militari oggi superate in seguito all’occupazione dell’oasi di Kufra (…) Se in Libia un popolamento di masse è consentito in un domani prossimo, quando cioè l’attrezzatura economica sarà completa, nell’Africa orientale italiana bisognerà limitarsi ad una politica di sfruttamento, alla quale di certo non potrà far seguito una politica di alta demografia. Il Governatore dell’Eritrea ha difatti dichiarato che la Colonia primogenita non è colonia di popolamento agricolo per la stessa posizione geografica e per la sua configurazione interna» (Fatti e commenti in Italia e nel mondo, 1931, 10, pp. 591-592).
Differenza tra villaggi, colonie e altre bonifiche:
«La razionale lavorazione delle terre richiede l’impiego di una mano d’opera proporzionata alle esigenze dei lavori, il che porta un corrispondente assestamento nella distribuzione della popolazione lavoratrice. (…) Una realizzazione in questo senso, di cui egli si è reso efficace divulgatore, si è avuta col R.Decreto 28 novembre 1928 concernente le costruzioni dei villaggi agricoli. Il provvedimento è così congegnato. Qualora le opere, per le quali è richiesto largo e continuativo impiego di lavoratori migranti, quali le bonifiche, le grandi trasformazioni fondiari, le sistemazioni dei corsi d’acqua, la costruzione di strade ordinarie e di ferrovie, siano eseguite in località spopolate o malsane del Mezzogiorno e delle Isole, gli alloggiamenti degli operai possono avere carattere di stabilità. Le costruzioni devono eseguirsi in modo da essere, ad opera compiuta, rapidamente adattate a villaggi agricoli per alloggio delle famiglie coloniche e in genere per gli usi di campagna. Il preventivo per la costruzione dei villaggi agricoli deve contenere anche le spese per la provvista di acqua potabile, per le fognature, per la protezione meccanica contro la malaria, per la scuola, per la chiesa, per la caserma dei carabinieri, per l’ambulatorio medico, per il dopolavoro e inoltre le spese per la dotazione di un appezzamento di terreno da destinare a coltivazioni orticole e a frutteto, di circa un terzo di ettaro per ciascuna famiglia alloggiata. Un primo e razionale esperimento di colonizzazione mediante agricoltori migranti è stato intrapreso dalla Società per le bonifiche sarde, con la creazione della colonia di Terralba ove convergono floride aziende perfettamente attrezzate, ricche di case che ospitano anche famiglie coloniche del continente, e costituiscono col “Villaggio Mussolini” un nuovo centro di civiltà rurale, che rappresenta la più felice e razionale soluzione del problema delle migrazioni interne» (Camanni V., La politica edilizia rurale in Italia, 1932, 1, pp. 3-18).
Igiene, Previdenza ed Assistenza Sociale:
«Dal 1875 al 1900 circa sono state compiute in Italia alcune importanti inchieste ufficiali e private e pubblicati numerosi e pregevoli studii sulle condizioni economiche, igieniche e sanitarie dei contadini. I risultati degli uni e delle altre si possono riassumere nella triste conclusione che i lavoratori rurali percepivano i salarii più bassi fra tutte le classi operaie (…) l’emozione destata nella opinione pubblica da simili rivelazioni e più ancora il fatto che i contadini emigravano ogni anno abbandonando la patria matrigna per cercare in altre terre i mezzi di sussistenza, indussero i governi ad emanare alcune provvidenze legislative e i proprietari a modificare i patti colonici ed i salarii in guisa da rendere meno penosa la vita di questi lavoratori. Appartengono a quel periodo le leggi sulla pellagra, sulla risicoltura, sulla tutela degli emigranti, sulla bonifica agraria e molte disposizioni sull’igiene degli abitanti e delle abitazioni rurali inserite nelle Leggi Sanitarie (…) L’organizzazione corporativa, imponendo la stipulazione dei contratti collettivi di lavoro, farà il resto e non avverrà quindi più che il lavoro non possa sfamare il lavoratore, perché le due parti contraenti possono discutere i loro interessi in un regime di parità assoluta (…) Ancora nel 1911 le classi rurali rappresentavano circa la metà della popolazione totale e le principali produttrici della ricchezza nazionale (tuttavia) l’Agricoltura ha sempre fatto la parte della Cenerentola nella divisione dei benefizii derivanti dalle provvidenze di Igiene, di Previdenza e di Assistenza Sociale (…) è noto infatti che l’assistenza sociale presenta dirò così due piani di applicazione. Il primo riguarda appunto le grandi questioni della organizzazione generale sanitaria, di quella igienica ed in parte di quella economica, problemi che sono di competenze dei Governi oppure degli istituti assicuratori dei Comuni e di altri Enti statali o parastatali. Sotto questo punto di vista l’assistenza sta in tutto alla pari con l’igiene e con la previdenza. Essa forma, insieme a questi soggetti, la triade delle provvidenze sancite dalla Legislazione sociale degli Stati moderni più civili per la protezione della salute e della capacità produttiva dei lavoratori e per la riparazione biologica ed economica dei danni in questi prodotti tanto dal lavoro, quanto dalle condizioni di vita derivantidall’ambiente sociale specifico in cui il lavoro li costringe a vivere. Il secondo comprende invece tutte le istituzioni di benessere (Welfare Work) le quali hanno funzioni integrative del trattamento economico, della protezione igienica e sanitaria, della istruzione, della educazione, ecc e che sono state escogitate per creare nelle maestranze la contentezza del loro stato e per aiutarle a sollevarsi ad una atmosfera migliore, fisicamente e moralmente. Questo vasto, attraente programma forma appunto il compito di quella istituzione che si è convenuto di chiamare il servizio sociale il quale secondo la definizione che ne è stata data nella prima Conferenza internazionale del 1928 (Parigi) è l’insieme degli sforzi che si propongono di alleviare le sofferenze derivanti dalla miseria (assistenza palliativa) di restituire gli individui e le famiglie nelle condizioni normali di esistenza (assistenza curativa), di prevenire i flagelli sociali (assistenza preventiva), di migliorare la condizione sociale e di elevare il livello dell’esistenza (assistenza costruttiva). È facile intendere quale immenso sviluppo possano avere praticamente le applicazioni di questi concetti che ho ampiamente illustrati altre volte appena si rifletta alla infinita varietà di bisogni individuali o collettivi delle classi agricole. L’industria si è già da molto tempo messa sulla buona via, preparando per molti dei suoi lavoratori benefiche provvidenze. Con solerzia e perseveranza lodevolissime essa ha contribuito al benessere economico dei suoi salariati creando dormitorii e case di abitazione, mezzi di trasporto da e per la fabbrica, cucine economiche ,spacci di generi alimentari e di oggetti di ordinario consumo, forniture a prezzi di costo di stoffe, di calzature di biancheria, facendo assegnazioni di appezzamenti di terreno per ridurli ad orti a giardini e poi ancora aprendo presepii, asili infantili, ecc. Per il loro benessere intellettuale e morale ha istituito sale di lettura, biblioteche ambulanti, conferenze e corsi di cultura generale e specifica, scuole per adulti e per ragazzi, cinematografi, ricreatorii e così via. Ha completato poi specialmente questa forma di assistenza con la istituzione delle visitatrici di fabbrica le quali hanno fra i loro compiti principali la propaganda igienica e quello di aiutare i lavoratori nella soluzione dei numerosi bisogni che si allacciano alla vita di relazione personale ed a quella delle loro famiglie (rapporti con uffici pubblici, con scuole, etc.). L’industria cura infine il loro benessere fisico con la istituzione di campi di giuochi, con le escursioni, con gli sports, con le vacanze pagate, con le case di villeggiatura e poi ancora con le colonie marine e montane per ragazzi, con l’insegnamento della ginnastica medica, ecc. Tutte le su indicate istituzioni hanno, come si vede, carattere di istituti preventivi, e di difesa contro i mali fisici o morali, ossia presentano tutti gli attributi e le finalità di istituzioni igieniche e non di istituzioni di previdenza o di terapia. L’industria ha bensì provveduto anche a creare infermerie, ambulatorii, consultazioni e cure gratuite a domicilio, ossia mezzi atti a curare le malattie (…) Questa breve ed incompleta rassegna delle istituzioni preventive di benessere mostra quanto ancora resta da fare (…) vero è che la posizione complessiva delle due categorie di lavoratori, agricoli ed industriali, è ben diversa, che le difficoltà di applicazione di tutte le forme dell’assistenza a favore dei primi sono molto maggiori di quelle a favore dei secondi, che diverse sono tanto le località di dimora quanto gli usi, i bisogni, i salarii, l’istruzione, ecc (…) In larghe zone dell’Italia meridionale e delle isole il bracciantato agricolo presenta condizioni favorevoli ad una efficace assistenza igienica perché non vive isolato in aperta campagna ma è agglomerato in grandi centri, alla pari del bracciantato industriale di molte zone dell’Italia settentrionale (…) E, se non mi inganno, ho esposto convincenti ragioni per dimostrare che invece di completare e perfezionare l’assistenza sanitaria, alla quale provvedono già sufficientemente lo Stato, i Comuni, gli Enti parastatali e gli Istituti di beneficenza, sia più conveniente e più utile di sviluppare ampiamente l’assistenza sociale (servizio sociale) per far partecipare, almeno in parte, la classe lavoratrice agricola ai grandi benefizii che già ritraggono dalle istituzioni di benessere i lavoratori industriali» (Loriga G., Assistenza sanitaria od assistenza igienica?, 1932, 3, pp. 180-189).
L’Ente Opere Assistenziali fu un primo esperimento di consorzio di opere sociali:
«Un alto principio di solidarietà umana e sociale ha ispirato la attività assistenziale del Partito che va svolgendo da alcuni anni con crescente ampiezza (…) questa azione ha inizio nel 1925 con l’istituzione dei Fasci femminili e raggiunge il suo pieno sviluppo con la creazione dell’Ente Opere Assistenziali di cui fanno parte i rappresentanti dei Fasci femminili, dell’Opera Nazionale Balilla, della Federazione Provinciale dell’ONMI, del Consorzio Provinciale Antitubercolare, della Croce Rossa Italiana, dell’Associazione Nazionale Combattenti, nonché il Medico provinciale e, caso per caso, i delegati di altre organizzazioni di beneficenza. Riassumiamo brevemente il formidabile bilancio di opere (numero di prestazioni eseguite):
Cucine economiche n. 39.513.329
Viveri in natura n. 49.359.139
Indumenti n. 1.243.940
Combustibili n. 289.400
Ricoveri in dormitorio n. 131.980
Famiglie sfrattate assistite n. 21.907
Medici e mediciniali n. 157.401
Sussidi in denaro n. 55.480.197
Befana fascista n. 1.243.371
Mondariso n. 200.000
Colonie (marine, montane, elioterapiche) n. 250.000
Infine bisogna riportare i dati dell’assistenza in favore delle madri italiane rimpatriate temporaneamente dall’Estero per dare alla luce in Patria la propria creatura: dal 1 settembre 1928 all’8 giugno 1932 ben 7731 madri e la somma ascende a L. 1.365.750. Bisogna aggiungere che tutte le sedi dei Fasci hanno funzionato ininterrottamente in quasi tutte le ore del giorno, secondo i bisogni locali dell’assistenza, che le donne fasciste hanno svolto la più assidua azione di assistenza e di conforti direttamente presso gli umili a mezzo delle Visitatrici Fasciste, assistenza intesa ad ottenere il beneficio anche senza diretta erogazione di soccorso materiale; come ad esempio provocare provvedimenti presso le autorità e le amministrazioni degli Istituti di beneficenza per il ricovero di infermi, di bambini, di gestanti, di deficienti, espletamento di pratiche relative all’iscrizione nell’elenco dei poveri, alle domande di ammissione ai Patronati scolastici, all’esonero di tasse in favore dei lavoratori disoccupati, alle dilazioni di pagamento delle pigioni, ecc. Senza poi contare laboratori e laboratori scuola per le operaie disoccupate, centri di assistenza per le operaie e le impiegate disoccupate, uffici di collocamento per le impiegate, le operaie e le donne di servizio, corsi di perfezionamento e di avviamento professionale, scuole e corsi di economia domestica, centri di assistenza ed istituzioni sanitarie per le madri e per i bimbi poveri, refezioni scolastiche ai bimbi poveri, refettori materni. Inoltre molte Delegazioni si occupano di fornire lavoro a domicilio alle operaie disoccupate favorendo il ritorno alle piccole industrie regionali e rimettendo in attività alcuen lavorazioni rustiche oggi quasi in disuso; quest’attività dei Fasci femminili si svolge in collaborazione con l’Ente delle Piccole Industrie» (Alessandri A., Le opere assistenziali del Partito, pp. 435-440).
L’agricoltura intesa come “ritorno alla terra”:
«Il momento è buono. Si comincia a capire che nei tempi non facili che corrono, in campagna, nonostante tutto, si sbarca il lunario alla meno peggio. Si riconosce che questa povera agricoltura, vecchia come l’umanità, non dà le grandi ricchezze, è vero, non offre la seduzione degli altissimi dividendi, perché ha dei conti da fare col Cielo che un anno su tre è poco propizio. L’agricoltura già poco, impone la sobrietà; ma è buona, è fida, è sana. Dà miglior respiro e maggior pace agli uomini e alla società. Ed è bella, sempre bella. Parla alla mente e ala cuore. Questo per gli intellettuali. Ma perché dunque il contadino, artefice primo di questa ricchezza lenta ma sicura per la Nazione, strumento che si muove entro questo spettacolo di bellezza, tende, appena po’, a cambiar mestiere? Si dice che il contadino è pagato poco, è scarsamente rimunerato; il suo lavoro è il più duro di quanti si conoscano; la sua opera non dà soddisfazioni allo spirito. Nessuna di queste cose è vera. Non la rimunerazione. (…) La casa, l’orticello, il maiale, la legna sono piccoli redditi monetabili. (…) Nelle forme di agricoltura evoluta e industrializzata (frutticoltura, orticoltura) la mano d’opera contadinesca ritrae compensi che poco hanno da invidiare alle industrie cittadine. Lavoro duro, fatica enorme? Ma in campagna c’è lavoro fisiologicamente adatto a tutti. Nessuno è chiamato a fare sforzi incompatibili o esagerati per le proprie forze. V’è lavoro adatto per l’uomo nel vigore delle forze e pel debole; ve n’è per il vecchio per il ragazzo e per la donna. Tutti hanno il loro tipo di faccende adatto e nessuno impone sforzi superiori. Poi l’aria libera dà maggiore agilità alle membra, la varietà dei movimenti da alternare il lavoro delle varie parti del corpo. Il tempo e le vicende dei lavori lasciano forzatamente a riposo per soste più o meno lunghe. E per parecchi lavori fatti a mano un tempo, sussidia oggi la macchina (…) Ritorno alla terra? Si, ma sono necessari la preparazione dello spirito nelle classi medie intellettuali e il profondo incidere nella cultura e nell’animo della gente campagnola se vogliamo davvero i nuovi rurali degni della missione grandissima che li attende, dell’amore e della fiducia che per essi ha il Capo. Questo sarà l’orgoglio rurale del Fascismo» (Fatti e commenti, 1932, 8-9, pp. 590-591).
Tra i primi ruoli del personale tecnico si segnala l’igienista ambientale:
«Nacque a Roma il 1 gennaio del 1889 la Scuola di perfezionamento nell’Igiene pubblica, alla quale convennero, spettacolo veramente imponente, centinaia di laureati di ogni parte d’Italia, quelli che poi divennero i fili conduttori della Legge sanitaria del Centro alle provincie ed ai Comuni, il lievito fecondo che dette potente vita all’opera da Crispi affidata agli igienisti italiani. Scuola la cui organizzazione fu oggetto di ammirazione da parte di Roberto Koch e altri illustri stranieri che visitarono la scuola che dopo una lunghissima parentesi di circa mezzo secolo di attività rivedrà la luce nell’erigendo Istituto della Sanità in Roma a perpetuare nel tempo il pensiero e l’azione di Luigi Pagliani» (Fatti e commenti, 1933, 2, p. 179).
Non meno impegnativo era il ruolo delle assistenti sociali di fabbrica:
«La Scuola Superiore Fascista d’Agraria, la Scuola di Assistenza sociale e la Scuola d’Economia domestica rappresentano tre iniziative realizzate con programmi e materie diverse, ma con un fine unico: l’elevazione delle classi popolari, l’assistenza considerata come una funzione sociale, l’agricoltura valorizzata al massimo, capace di dare non solo pane ai lavoratori, ma soddisfazioni morali e vita spirituale, la famiglia base di tutto l’organismo sociale con al centro la donna madre e massaia, richiamata alla sua eterna missione e posta in grado di svolgerla con competenza, con amore con comprensione. Mancava in Italia una scuola che potesse dare personale capace di assistere i lavoratori nelle loro piccole e grandi contrarietà della vita, un Istituto che formasse delle insegnanti rurali veramente idonee a coprire questi posti oggi divenuti importantissimi, una scuola che creasse delle insegnanti dell’economia domestica, esperte non soltanto nel lavoro o nella cucina ma anche conoscessero tutta la vasta e complessa organizzazione di una famiglie e potessero dare norme precise e sicure di puericoltura, di igiene, di economia razionale. Il Partito Nazionale Fascista ha colmato questa lacuna: ha studiato la creazione di questi istituti sotto gli aspetti più vari e più complessi ed ha creato queste Scuole Convitto, con un internato rigoroso e austero, necessario per raggiungere lo scopo che ciascuna di esse si prefigge.
I – La scuola di S.Alessio per le maestre rurali (…)
II – La scuola superiore di economia domestica al Celio (…)
III – La scuola di S.Gregorio per le assistenti di fabbrica
Poco tempo fa S.E. il Capo del Governo ebbe occasione di compiacersi del contributo che all’attività delle Confederazioni Fasciste dei datori di lavoro e dei Sindacati dei lavoratori dell’Industria danno le assistenti fasciste di fabbrica diplomate dalla Scuola creata e gestita dalla Direzione del Partito per sviluppare ed attuare l’assistenza sociale. Due magnifiche istituzioni fasciste, la Scuola di San Gregorio a Roma, per le assistenti sociali di fabbrica e l’assistenza sociale fascista di fabbrica, avevano nel compiacimento del Duce il più ambito premio alla loro azione quotidiana spesa in silenziosa disciplina per il fine nobilissimo di tutelare e di aiutare i lavoratori nelle loro quotidiane contingenze, di alleviare i disagi e le miserie, di sorreggerne lo spirito ed il morale con la espressione di quella fattiva solidarietà fraterna, generosa e disinteressata, che nel nuovo clima di vita fascista avvince tutti i membri della famiglia nazionale, al di sopra di ogni differenza di ceto e di condizione sociale. E l’alta parola del Duce è sprone ed incitamento a diffondere la conoscenza di questa azione, ad illustrarne i fini ed i mezzi, a porne in rilievo, le benemerenze affinchè sia sempre più e sempre meglio posta nel suo grande valore e da un maggiore apprezzamento della sua utilità possa conseguire ancor più vasti e più proficui risultati. Il compito assegnato alle Assistenti fasciste di fabbrica, esige particolari doti morali ed una speciale cultura. Non bastano la buona volontà e gli ottimi propositi, per quanto ne siano elementi indispensabili. Occorre anzitutto una linea di dignità femminile non disgiunta da un senso vivo e pronto di gentilezza. L’operaio italiano è buono, istintivamente buono; apprezza il bene che gli si fa ed è grato a chi glielo porge. Ma è fiero pur nel suo bisogno, che non è miseria accattona ma disagio immeritato; accetta con grato animo, con sincera riconoscenza la mano che gli sia tesa in atto schiettamente fraterno ma accoglie con diffidenza ed ostilità chi, per mancanza di tatto e misura lo umili o sembri umiliarlo nel momento stesso del soccorso. Le nostre Assistenti fasciste – appunto perché fasciste – fin dall’inizio hanno saputo conquistarsi la fiducia e la stima degli operai e diventarne le consigliere buone e ascoltate; appunto perché hanno saputo porsi all’unisono con l’anima del popolo e comprenderne i palpiti generosi ed i bisogni morali pur nell’ora del duro bisogno materiale. Occorre poi che le Assistenti non siano estranee ai problemi del lavoro e delle fabbriche, alle leggi che disciplinano, che regolano il campo della produzione alle questioni dell’assistenza e dell’assicurazione sociale, a quanto insomma si riferisce in modo particolare a quel mondo del lavoro nel quale esse agiscono e prestano la loro opera a diretto contatto con la realtà e con le sue esigenze. Questo compito può essere svolto solo da donne colte, opportunamente preparate al servizio sociale con programma di insegnamento teorico pratico. I titoli di studio che si richiedono quindi per l’ammissione alla Scuola Superiore di Assistenza Sociale sono: laurea o diploma di Scuola Superiore od anche di Scuola media superiore; in questo caso un esame di cultura generale, con prove scritte e orali, permette quella selezione rigorosa e necessaria, usata per ciascuna scuola. E qui si delinea tutto il singolare valore e la caratteristica fisionomia della Scuola Superiore Fascista di Assistenza Sociale creata a Roma dalla Direzione del Partito Fascista e da essa guidata, ispirata e diretta. Non si improvvisano le assistenti sociali; non chiunque può essere un’assistente sociale. Bisogna possederne l’attitudine morale e spirituale, ma non basta. Bisogna altresì possedere tutto un corredo di cognizioni specifiche, grazie alle quali l’assistente possa compiere la sua missione con piena consapevolezza dei suoi fini non soltanto (giacchè in Regime fascista l’assistenza non è più come nel passato, una forma di filantropia quacchera e stilizzata secondo gli umori, le mode e i costumi del momento, bensì costituisce un’azione di difesa della razza sotto il controllo dello Stato), ma anche dei mezzi diremo quasi tecnici che ne assicurino il maggiore rendimento in quantità ed in qualità, in estensione ed in efficacia. Per la preparazione programmatica e tecnica delle assistenti sociali di fabbrica, il Partito ha fondata un’apposita scuola. La severità scientifica dell’indirizzo che si è proposta la Scuola, balza evidente dal programma delle materie insegnate nei suoi corsi:
Legislazione fascista del lavoro, ordinamento politico e sindacale, ordinamento amministrazione sanità italiana, nozioni di economia politica e sociale, assicurazioni sociali, infortunistica
Politica sociale, organizzazione scientifica del lavoro sotto aspetto medico, malattie sociali (tubercolosi, etilismo, sifilide o celtica, tracoma, etc.)
Nozioni di anatomia fisiologia igiene generale, fisiologia del lavoro, patologia del lavoro, puericultura, infermieristica, nozioni di economia domestica, nozioni di psicologia psichiatria sociale pediatria e pedagogia sociale
Origini e storia del servizio sociale, essenza ed organizzazione del servizio sociale, il servizio sociale in Italia e all’estero, metodologia del servizio sociale, orientamento pratico del servizio sociale, pratica e tirocinio
Visite agli istituti di beneficenza/assistenza, ricoveri diversi, scuola di rieducazione per anormali psichici e fisici, casa di correzione, riformatorio, visite ambulatoriali preventori e dispensari, religione, conferenze di cultura generale e cultura fascista.
Il corso viene integrato e completato con visite ad Istituti di beneficenza e di assistenza, a scuole di rieducazione per anormali fisici e psichici, a case di correzione maschili e femminili, a istituti per ciechi, ecc. a policlinici del lavoro, ad ospedali sanatoriali, a infermerie di fabbrica, ad asili nido, a scuole all’aperto, a consultori materni, a dispensari per la maternità e infanzia, con un periodo di tirocinio che si svolge presso i più importanti stabilimenti industriali dell’Urbe sotto la guida delle Assistenti fasciste di fabbriche già in servizio. Accompagnate dalle Assistenti sanitarie della Croce Rossa o dalle Maestre della Scuola Magistrale Ortofrenica, dalle Ispettrici dell’Opera Nazionale per la protezione della Maternità ed Infanzia, le allieve visitano le famiglie più bisognose. Vengono inoltre condotte dalla insegnante del servizio sociale ad assisterne alle udienze del Tribunale e della Pretura dei minorenni, onde potersi occupare anche dell’assistenza dei minorenni traviati. Terminato il corso vengono assunte dalla Confederazione dell’Industria per il servizio sociale negli stabilimenti industriali. Per uno speciale accordo intervenuto in qust’ultimo anno anche la Cassa Nazionale di Assicurazioni Sociali se ne varrà per la propaganda dell’assistenza ai suoi assicurati e alle loro famiglie, e a tale scopo è stato aggiornato il programma con materie speciali sull’infortunistica e l’organizzazione scientifica del lavoro. Né sembri troppo complesso questo programma d’insegnamento o superiore alle pratiche esigenze del compito affidato alle assistenti. Se la conoscenza di molte materie comprese nel programma è utile per lo svolgimento efficiente di tale compito, delle altre l’assistente deve acquisire e possedere i principii fondamentali per essere in grado di comprendere e di fondere lo spirito animatore della sua opera, meno utile e meno modesta di quel che sembri in apparenza. Ed a questo fine superiore ha mirato e mira la Scuola Fascista di San Gregorio. L’assistente non è soltanto la tecnica o la perita di discipline assistenziali, non interviene soltanto nel momento del bisogno materiale. Attraverso l’opera sua di tecnica e di perizia può avere cura dei corpi non solo ma anche delle anime, consigliera autorevole, soccorritrice delicata, amica pronta e sicura, può, se sa, spendere parole preziose di educazione morale e spirituale in mezzo all’unica folla e volgerne le menti e gli spiriti ad una migliore, più elevata concezione della vita singola e collettiva. D’altra parte, la sua stessa attività quotidiana, il suo continuo intervento nei molteplici casi che richiedono la sua opera, porgono all’assistente l’occasione continua e propizia di far conoscere e di spiegare ai lavoratori le istituzioni del Regime, le leggi emanate dal Fascismo a vantaggio del popolo (leggi, spesso non abbastanza conosciute da quegli stessi, a beneficio dei quali son ostate fatte), tutto quel complesso ormai imponente di previdenze e di provvidenze che nell’Italia fascista tutelano la gente del lavoro. Ecco perché la Scuola Fascista di S.Gregorio può essere considerata ance una scuola di propagandiste nel senso più alto della parola; essa prepara le assistenti ad una forma di propaganda, di istruzione, di educazione, che è più efficace di tutte le altre: quella che trae i suoi motivi ed i suoi elementi dai fatti, dalla realtà, dalla pratica fascista del bene» (G.A., Tre tipiche scuole istituite in Roma dal P.N.F., 1933, 6, pp. 400-409).
Infine, una sorta di evoluzione dell’assistente sociale di fabbrica, il Regime creò la figura dell’assistente fascista del lavoro specializzato nel settore dell’infortunistica:
Il PNF, in accordo con l’Istituto Fascista Infortuni industriali, ha istituito in Roma una Scuola Convitto per la preparazione tecnica di idonei elementi femminili da adibire presso l’Istituto Infortuni stesso e per i bisogni esclusivamente del settore industriale, in qualità di assistenti particolarmente esperte nei servizi assistenziali per gli infortuni e le malattie professionali. Le allieve, che al termine del corso avranno superato le prove di esame, conseguiranno il diploma di “Assistente fascista del lavoro” e saranno assunte dall’Istituto Fascista Infortuni industriali secondo le esigenze di questo nelle sue organizzazioni sanitarie e in quelle tecnico-sociali a seconda che le allieve siano o meno in possesso della abilitazione alla professione dell’infermiera (I corsi per le assistenti fasciste del lavoro, 11-12, 1939, p. 431).
Le commissioni di assistenza potevano accedere ad uno schedario comune per tutti gli assistiti:
La Confederazione dei lavoratori dell’agricoltura ha istituito in ogni provincia uno schedario dei lavoratori agricoli destinato a raccogliere tutte le notizie di carattere professionale e sindacale che riguardano i lavoratori stessi. Collegato con quello della Confederazione, si avrà presso ogni Unione provinciale un completo documentario sui lavoratori agricoli. Sarà così possibile conoscere con esattezza le loro necessità, le loro capacità professionali ed altri elementi utili per determinare casi particolari (Lo schedario dei lavoratori agricoli, 9-10, 1939, p. 382).
Nel 1935 l’Italia si candidò per ospitare la terza Conferenza internazionale di assistenza sociale:
«Sotto la Presidenza del dott. Sand si è tenuta in Roma, nella Villa Aldobrandini, gentilmente concessa dall’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato, una prima adunanza in preparazione della prossima Conferenza Internazionale di assistenza sociale che si terrà nel mese di luglio 1936. Alle costituzioni del Comitato organizzatore italiano hanno aderito i principali Enti Statali e Parastatali; ed alla presidenza di esso venne eletto per acclamazione il Governatore di Roma S.E. il prof. Giuseppe Bottai» (La prossima Conferenza internazionale di assistenza sociale, 5-6, 1935, p. 239).
Ancora sull’assistenza sociale in Africa:
«La vastità delle opere civili, in corso nell’Africa Orientale dimostra l’imponenza dello sforzo compiuto dall’Italia, non solo per l’organizzazione del sistema delle operazioni belliche, ma anche per l’inizio di una vita civile in terre, che sono rimaste finora estranee ad ogni forma di progresso. I lavoratori italiani, ai quali si vengono aggiungendo le altre migliaia di operai che saranno impiegati in Eritrea ed in Somalia nelle prossime settimane, hanno trasformato l’ambiente coloniale. Nuove strade sono sorte, acquedotti sono stati impiantati, edifici sono stati costruiti; in pochi mesi la penetrazione civile si è attuata con un ritmo insolito in queste contrade. L’intensificarsi dei traffici ha richiesta un’attrezzatura dei vari servizi che si è potuta conseguire, anche perché i lavoratori hanno saputo impiegare le loro migliori energie nell’apertura delle strade e nel rapido trasporto delle merci. Gli operai italiani sono stati degni dei loro camerati che hanno combattuto e con i quali molto spesso hanno diviso le sorti, allorché hanno alternato il fucile agli strumenti del lavoro pacifico. Uno dei pilastri della nostra odierna azione nell’A.O.I. è costituito perciò dal contributo instancabile ed appassionato dei lavoratori, i quali sentono il profondo significato civile della missione loro affidata. Il riconoscimento concreto di questa missione A nella politica di assistenza, elio il Governo Fascista svolge nei confronti degli operai. Tutte Io necessità di questi prestatori d’opera, che combattono anch’essi la loro guerra, tengono soddisfatte. Speciali provvidenze sono state concretate per favorire il lavoro Italiano nell’A.O.I.; gli organismi di assistenza, che operano in Italia, estendono la loro azione anche all’Eritrea ed alla Somalia, perché ai lavoratori sia assicurata, anche oltre il mare, la tutela di cui godono in Italia. Il Regime è vigile e pronto per tutti i prestatori d’opera: i provvedimenti finora presi confermano questa cura assidua che lo Stato manifesta in tutte le occasioni per i bisogni del lavoro, e dimostrano che nel piano di questa campagna coloniale il fattore lavoro non è stato mai trascurato, ma tutelato e posto nel maggiore valore. Le campagne coloniali degli altri Paesi, invece, ci offrono precedenti diversi, anche perché non sorgevano da sistemi e da ragioni sociali, come quelli che operano alla base della nostra impresa. Lo svolgimento del lavoro, nell’A.O.I., risponde in tutte le sue manifestazioni ad una disciplina, che non si è improvvisata, ma che è stata attentamente studiata, per adeguarla in tutto alle esigenze del momento e dell’ambiente. La vastità dell’impresa ha richiesto o richiede un ingente numero di lavoratori, che in una prima fase ha avuto il compito di preparare il terreno alla spedizione, e che ora dove consolidare le posizioni raggiunte per sostenere l’ulteriore nostra avanzata, nel campo delle conquiste civili. Il Commissariato per le migrazioni interne convoglia queste masse di lavoratori verso le due nostre colonie orientali. Si tratta di un flusso demografico, che non ha precedenti nella nostra vita coloniale e che ha richiesta la soluzione di molti problemi. Uno dei primi compiti è quello di una selezione fisica e tecnica della mano d’opera in relazione alle esigenze da soddisfare. Il Commissariato per le migrazioni, con l’ausilio degli Uffici di collocamento, ha potuto operare con risultati favorevoli questa selezione, che è stata all’altezza dei bisogni. Tanto ò vero che i rimpatri raggiungono una proporzione poco elevata, e più che da malattie od insufficienza sono determinati dalla fine contrattuale del rapporto di lavoro. Una delle necessità più urgenti è stata rappresentata dalla disciplina dei rapporti di lavoro. Questi rapporti si svolgono sulla base dei principi e degli istituti esistenti sul territorio metropolitano. Diverse sono, invece, le modalità, perché la tutela del lavoratore non è attribuita alle associazioni sindacali ma agli organi locali del Commissariato per le migrazioni interne, del Partito e del Patronato. A Mogadiscio esiste un Ufficio del Lavoro, istituito con provvedimento del Governatore del 15 luglio 1935; ad Asmara, presso la Federazione Fascista, opera uno speciale servizio sindacale, che disciplina e coordina la complessa materia dei rapporti di lavoro. L’azione di questi organismi è varia, e si svolge secondo le speciali norme fissate dal Governatore Generale per le Colonie dell’Africa Orientale, in materia di assunzioni, di orario di lavoro, di trattamento economico, di vitto ed alloggio, e di eventuale rimpatrio. L’orario di lavoro è studiato ed attuato in relazione alle necessità da soddisfare. Ma le ore lavorative non sono superiori a dieci e comportano delle soste da dedicarsi al riposo; nelle pomate festive, poi, il lavoro è ridotto a cinque ore, mentre è sospeso in quelle giornate nelle quali le prestazioni operaie, a causa del clima, non si possono svolgere con la necessaria normalità e con un rendimento adeguato. Il salario oscilla intorno alle 20-35 lire giornaliere, fino a giungere — per talune prestazioni qualificate — fino a 40 lire, e ISO lire per taluni lavori particolarmente gravosi. Gli scaricatori del porto di Massaua venivano retribuiti in questa misura nel periodo di maggiore congestionamento di quel porto, allorché l’abilità e la buona volontà dei lavoratori erano poste a dura prova per assicurare un più celere andamento dell’imbarco e dello sbarco delle merci. Particolari trattamenti di favore sono assicurati a determinate categorie di prestatori d’opera, come pure premi di varia misura sono concessi ai lavoratori alla fine del periodo d’ingaggio. I datori di lavoro hanno anche l’obbligo di assicurare l’alloggio agli operai. Questi alloggi soddisfano tutte le necessità igieniche, sono dotati di tutti i servizi — dallo spaccio viveri alle cucine, agli impianti di acqua, ecc. — e formano oggetto di assidui controlli da parte delle autorità sanitarie. In ogni cantiere vi sono dei medici, delle piccole infermerie, dei depositi di medicinali, che rendono possibile un rapido intervento sanitario a favore di quegli operai che bisognano di cure. Quegli ammalati che richiedono un’assistenza sanitaria più accurata, vengono avviati verso gli ospedali e le infermerie, che le autorità di Governo sono venute costituendo nei principali centri delle due Colonie e nei territori occupati. Per quanto, invece, riguarda l’alimentazione degli operai, va rilevato che questa e indirizzata dagli organi competenti verso quei cibi, che più degli altri si adattano alle necessità climatiche ed alle caratteristiche di lavoro degli operai. La disponibilità alimentare è qualitativamente, oltre che quantitativamente, rispondente ai bisogni. Lo sviluppo assunto dagli impianti idrici assicura, poi, il fabbisogno di acqua necessario ai lavoratori, i quali ovunque dislocati — anche quelli dei centri più lontani — godono di un’autonomia di rifornimenti idrici, dovuta al particolare piano di opere tempestivamente predisposto dalle nostre autorità. Le vertenze che possono sorgere a causa dei rapporti di lavoro sono conciliate attraverso gli organi più sopra ricordati; Fazione di questi uffici si manifesta veramente provvidenziale, per l’applicazione delle vigenti leggi sociali, dei patti di lavoro, ecc. Con aggiornati schedari detti uffici seguono l’andamento del locale mercato di lavoro j le successive dislocazioni degli operai sono registrate, come pure di ogni variazione del rapporto di lavoro è presa nota da parte degli organi competenti per lo svolgimento di quell’azione assistenziale, con la quale il Regime fa sentire al lavoratore la sua presenza vigile ed illuminata. In Somalia, in base all’applicazione di uno speciale contratto-tipo, l’arbitrato dell’Ufficio del Lavoro è inappellabile per quei prestatori d’opera e quei datori di lavoro clic presentano al suo esame determinate vertenze. In questa maniera le forme di tutela assicurate al lavoratore hanno anello il pregio della tempestività, in quanto non subiscono l’intralcio di procedure complesse e dilatorie. L’ambiente coloniale ed il particolare momento hanno reso possibile un siffatto sistema, che in pratica è apparso realmente soddisfacente. Le condizioni nelle quali si svolge il lavoro nell’A.O.I. sono, dunque, studiate in modo da attenuare le difficoltà proprie dell’ambiente e di assicurare il prestatore d’opera una sufficiente remunerazione ed un tenore di vita sano. A ciò concorrono sopratutto il tipo di vitto, l’orario di lavoro, le precauzioni igieniche finora prese, ed anche quelle misure di assistenza che entrano in azione allorché il lavoratore si ammala od è comunque impedito dall’adempiere alle consuete prestazioni. Rapida è stata pertanto l’azione del Governo nel campo assistenziale e previdenziale. Particolari forme di previdenza sono entrate in atto con una tempestività che può ritenersi senza precedenti, dato che sia l’Eritrea che la Somalia erano nuove all’applicazione, a basi così larghe e per contingenti così vasti di lavoratori, dei principi che sono alla base dell’assistenza sociale fascista. Non solo è stata necessaria l’emanazione di particolari nonne, ma hanno dovuto entrare rapidamente in azione delle filiazioni, in Eritrea ed in Somalia, dei nostri due maggiori istituti di assistenza, e cioè dell’istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale e dell’istituto Nazionale Fascista per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Questi due organismi hanno finora svolta un’ampia azione, che ha già dato frutti notevoli e che è valsa a dimostrare, sin dai primi mesi, la necessità di queste forme di assistenza, che nell’ambiente coloniale trovano un campo particolarmente adatto di applicazione. Evidentemente molte sono le difficoltà al funzionamento pratico della previdenza, data sopratutto la dislocazione dei lavoratori, nonché l’impossibilità in molti casi di procedere a quei controlli, connessi all’esplicazione della funzione assistenziale. Ma queste difficoltà sono state superate, specie in questa seconda fase di assestamento, dalla strutturo organizzativa appositamente creata sul luogo, per soddisfare i bisogni dei lavoratori ed assicurare il normale svolgimento di servizi, così vitali per la difesa e la protezione del Lavoro. Numerose sono le norme che già disciplinano il trattamento assicurativo concesso ai lavoratori Sin dal giugno dell’anno scorso venivano estese alla Somalia, con opportune modifiche, le nonne per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro già vigenti in Eritrea. Il 26 luglio si provvedeva inoltre all’emanazione di norme concernenti l’assicurazione degli operai delle due Colonie per i casi di morte per febbre perniciosa o malattia tropicale. Nei casi di decesso, fortunatamente non numerosi, l’assistenza del Regime per le famiglie è stata rapida ed amorevole: particolari indennità sono stato subito corrisposte per alleviare le necessità delle famiglie colpite. Lo Stato ha dimostrato tangibilmente la sua solidarietà, non solo predisponendo con gli organismi competenti il necessario piano di assistenza, ma anche intervenendo con tempestività in tutti i casi che richiedevano la sua partecipazione. Altre nonne sono in via di formazione per soddisfare le varie esigenze che si presentano. Anche in Africa l’assistenza sociale dell’Italia è all’avanguardia di tutte le altre forme di assistenza vigenti negli altri territori. La politica sociale coloniale si viene costituendo in un sistema completo, costituito di un complesso provvidenziale di leggi e di organismi, che pur operando da poco tempo nell’ambiente coloniale mostrano la loro efficienza anche nell’esplicazione dei nuovi compiti. Anche in Eritrea ed in Somalia vi sono, dunque, nome regolamentari per l’assicurazione obbligatoria contro l’invalidità o la vecchiaia, per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ecc.; e più ancora esistono le stesse forme di tutela che, nel campo assicurativo, vediamo affidate al Patronato Nazionale. L’estensione dell’attività di quest’organismo all’A.O.I. è molto significativa, oltre che da un punto di vista tecnico, anche dal punto di vista morale; perché dimostra che gli organi creati dal Regime per la tutela del lavoro sono ad operare, ovunque il lavoro è a combattere le sue battaglie. Di particolare rilievo sono, inoltre, le misure prese per l’assistenza malattie agli operai. Com’è noto, il Comitato Corporativo Centrale ha approvato, nella sua ultima tornata un provvedimento, con il quale viene istituita una Cassa Malattia per gli operai al lavoro in Africa Orientale, affidandone la gestione alla Federazione delle Casse Mutue dell’industria. II Reprime si è preoccupato» sopratutto della condizione in cui viene a trovarsi, all’atto del ritorno nel Regno, il prestatore d’opera colpito da malattia Il bisogno di prestazioni economiche e sanitarie, che derivano al lavoratore dal suo particolare stato, non può essere, infatti, soddisfati) se non con speciali provvidenze. A ciò tende il provvedimento approvato dal Comitato Corporativo Centrale, allorché stabilisce che si debba concretare un’adeguata organizzazione assistenziale, avente come base un contributo paritetico — versato dalle imprese e dagli operai — nella misura del 5 % dei salari. Il gettito dei contributi sarà versato ad un fondo speciale gestito dalla Federazione delle Casse Mutue dell’industria. I/attività da svolgere in questo campo si concreterebbe nel l’assistenza medico-chirurgica e farmaceutica, compreso il ricovero ospedaliero, dall’inizio della malattia e per la durata di 180 giorni; nella corresponsione di una indennità giornaliera, all’assicurato malato, od alla sua famiglia in caso di ricovero ospedaliero, in misura proporzionata al salario, e per la durata di 180 giorni; nel rimpatrio gratuito quando non sia a carico dei datori di lavoro; in un assegno funerario in caso di morte. La durata e le forme di assistenza non si limitano a quanto abbiamo rapidamente ricordato, perché apposite norme prevedono anche la possibilità per determinati casi della protrazione delle prestazioni assistenziali per un ulteriore periodo, anche se in misura ridotta. Tali misure soddisfano le esigenze che si presentavano in questo campo, e ohe erano state tenute nella massima considerazione nel noto accordo intervenuto fra le due Confederazioni dell’industria per assicurare le prestazioni delle Casse Malattie dell’industria agli operai già iscritti alla Casse stesse che ritornano dall’Africa Orientale. Intanto, le misure deliberate dal Comitato Corporativo Centrale stanno per essere applicate in tutta la loro estensione, e quanto prima inizierà il suo funzionamento quella che già viene definita “Cassa Mutua A.O.I.”. In attesa di detto funzionamento, i lavoratori reduci ammalati sono assistiti dalle Casse, secondo le modalità previste dall’accordo interconfederale più sopra ricordato. Si è parlato qui di malattie. È da notare però che le misure preventive prese dalle autorità civili e militari delle due Colonie hanno ridotto al minimo detti casi. La difesa sanitaria si esercita su larghissima scala, come abbiamo visto, ed ha permesso di conseguire risultati veramente inconsueti nelle campagne d’Africa. Pur essendo enormi le difficoltà ed i disagi, i lavoratori li sanno sopportare ed affrontare con alto spirito e con corpo saldo: la morbilità (del 2.5%) è notevolmente inferiore alla morbilità media nel Regno. È in questo dato la migliore conferma dell’ottimo stato fisico dei nostri lavoratori, e la più netta smentita alle vociferazioni di taluni ambienti sanzionisti che si valgono della menzogna e della calunnia. Tutte queste realizzazioni, sociali, che siamo venuti ricordando, sono state possibili perché la nostra organizzazione corporativa e sociale è matura. In altri tempi gravi in” convenienti sarebbero derivati dal movimento di così vaste masse di mano d’opera, sia per quanto riguarda la selezione, il rendimento dei lavoratori, il loro equipaggiamento, l’osservanza dei patti di lavoro. Gli organismi esistenti hanno tutti risposto degnamente ai compiti loro affidati: dal Commissariato per le migrazioni interne al Patronato, dalle Confederazioni agli Istituti di previdenza e di assicurazione contro gli infortuni. I lavoratori, sulla base di queste organizzazioni, hanno potuto formare un altro esercito, al seguito di quelli operanti sui fronti somalo ed eritreo. La loro disciplina, temprata nel clima eroico della Rivoluzione, è valsa a creare un blocco di energie, al quale dobbiamo attribuire una parte non secondaria delle vittorie che accompagnano lo svolgimento delle operazioni nell’A.O.I. Sin dal 28 settembre, all’inizio delle operazioni, il Consiglio dei Ministri esprimeva questo alto riconoscimento: “Il Consiglio dei Ministri addita alla gratitudine della Nazione gli operai, che hanno col loro lavoro di pochi mesi ed in condizioni estremamente difficili, compiuto la preparazione logistica delle nostre due colonie dell’Africa Orientale”, Queste elevate parole di encomio sono l’incitamento e la consegna di oggi. Nel piano di assistenza sociale predisposto dal Regime, nell’Africa Orientale, un particolare rilievo va attribuito al trattamento fatto ai lavoratori indigeni. E’ noto che i nativi forniscono alte percentuali di mano d’opera, che andavano disciplinate non solo in quanto riguarda la loro convivenza con gli operai metropolitani, ma anche per ciò che si riferisce agli orari di lavoro, ai salari, alle forme assicurative, ecc. In Somalia l’Ufficio del Lavoro estende la sua azione anche ai nativi. Il metodo finora seguito nel regolamentare il mercato del lavoro indigeno ha favorito il flusso di lavoratori indigeni verso le imprese che ne bisognavano. Nel passato, invece, gli indigeni rifuggivano dal lavoro, che — come è noto — ritenevano indegno della Loro indole guerriera. Le misure prese dal Governo in fatto di remunerazione e di alimentazione della mano d’opera indigena, hanno permesso di raggiungere risultati notevoli. I salari sono in relazione alle capacità lavorative del prestatore d’opera, ed oscillano fra le 16 e le 20 lire: si tratta di cifre insolite per i lavoratori indigeni, che in molte colonie straniere compiono le loro prestazioni in Regime di lavoro obbligatorio è forzato. Un, altro elemento, che favorisce l’afflusso degli indigeni al lavoro e che assicura un maggiore rendimento delle loro prestazioni, costituito dal miglioramento delle condizioni di vita dei nativi. L’alimento e adeguato alle esigenze fisiche ed ambientali, e non si esaurisce in quei cibi tradizionali, che molto spesso hanno determinata la denutrizione del lavoratore indigeno. SÌ è visto che integrando questi cibi tradizionali con alimenti più completi, il rendimento di lavoro dei prestatori d’opera è notevolmente aumentato. In base ad esperimenti compiuti in questi ultimi mesi, si nota che la resistenza al lavoro è notevolmente aumentata negli individui nutriti con farinacei e carni; tant’è vero, che mentre taluni di essi riuscivano a trasportare prima un peso di trenta chili, oggi spostano pesi fino ad un quintale. Oltre che del vitto, le autorità si sono interessate del miglioramento dei ricoveri che accolgono i lavoratori, di assicurare alle varie imprese che impiegano mano d’opera indigena la presenza di sanitari, e di favorire il sistema di rifornimenti idrici necessari ai lavoratori ed alle loro famiglie. Tutte queste provvidenze, oltre ad accrescere l’efficienza del lavoro indigeno, hanno migliorate le condizioni fisiche di notevoli masse, sviluppando quella azione di bonifica umana che l’Italia conduce nelle quattro sue Colonie. 1 risultati conseguiti hanno una notevole importanza, anche sperimentale, perché stanno ad indicare in maniera concreta il metodo che occorre applicare per elevare moralmente e fisicamente le popolazioni. Le Potenze coloniali straniere, le quali vantano in questo campo benemerenze e tradizioni superiori alla realtà, debbono prendere atto dei risultati da noi conseguiti nel lavoro indigeno per la revisione dei principi che oggi informano la loro azione in questo campo. Nell’Africa Orientale italiana, ad esempio, viene garantita agli indigeni la mezza paga per gli infortuni leggeri, oppure una somma d’indennizzo quando si tratti di grave infortunio. Si tratta di un significativo principio che l’Italia non ha esitato ad applicare nei confronti dell’indigenato; mentre altrove si professa una politica “umanitaria”, che non si è ancora tradotta in fatti reali. E’ anche qui la nostra concezione coloniale che si oppone a quella degli altri. Mano mano che le nostre operazioni ci assicurano il controllo ed il possesso di nuovi territori, i servizi di assistenza sociale predisposti dalle autorità italiane estendono la loro azione. Le popolazioni delle terre occupate godono delle stesse forme di assistenza, assicurate agli indigeni delle nostre Colonie. Gli indigeni liberati dalla secolare schiavitù — e sono diverse migliaia — sono avviati al lavoro, e sono compensati come tutti gli altri lavoratori. Gli ospedali e le infermerie, dislocati in ogni centro, assicurano le cure necessarie alle popolazioni, che mai prima di oggi sono state difese dalle malattie più consuete in queste regioni, dalla tubercolosi alla sifilide. Ospedali sono sorti ad Adua, a Macallè, ecc., a pochi giorni dall’occupazione. Unità sanitarie mobili percorrono il territorio, e vanno incontro alle vaste necessità che si manifestano nei centri più lontani. Ingenti quantitativi di medicinali sono distribuiti giornalmente; la prevenzione sanitaria si viene attuando con regolarità tanto che in poco tempo si sono raggiunti risultati soddisfacenti. Oltre che dell’assistenza sanitaria, le autorità si vengono preoccupando delle condizioni di vita dei nativi. Indumenti, viveri, sussidi sono distribuiti ai più bisognosi; depositi di granaglie sono stati aperti per soddisfare le esigenze di consumo di masse di individui, ridotte all’indigenza dalle razzie e dalle confische di vario genere perpetrate dal Governo etiopico. L’Economia indigena, sotto la spinta dei provvedimenti del Governo Fascista, si viene rapidamente riprendendo. Talune correnti del traffico carovaniero, che erano state interrotte a causa della malsicura situazione delle contrade etiopiche, si stanno mano mano attivando, portando il benessere a popolazioni che nel traffico trovavano e trovano la loro occupazione. Anche le colture indigene sono in via di sviluppo, anzitutto perché le autorità italiane vengono razionalizzando i sistemi di coltivazione, secondariamente perché i prodotti trovano uno sbocco remunerativo negli acquisti compiuti dall’Italia. Lo sforzo dell’Italia per il miglioramento delle colture indigene si attua sistematicamente, e soprattutto con la sostituzione degli antichi strumenti di lavoro con altri tecnicamente più adatti. Nelle scorse settimane, ad esempio, cento aratri di tipo appositamente studiato, sono stati distribuiti agli agricoltori indigeni del Tigrai. Altre iniziative sono in corso con Io stesso scopo. Un nuovo tipo di molino da dura è in via di costruzione, per assicurare alla macinazione dell’alimento fondamentale dell’indigeno un sistema più rapido e meno costoso. Anche nel campo scolastico, a pochi mesi dall’occupazione, l’Italia ha conseguito nei nuovi territori risultati veramente significativi. In politi giorni è stata istituita ad Adua una scuola, che accoglie centinaia di indigeni e che propaga !a conoscenza della nostra lingua. È la prima volta nella storia delle campagne coloniali che i maestri avanzano, con lo stesso passo delle truppe, per affermare la civiltà e dare subito un volto di pace e di tranquillità ai territori occupati. Queste manifestazioni della nostra politica indigena hanno un elevato contenuto sociale, che è ormai uno dei caratteri distintivi della nostra guerra coloniale, che non è stata di distruzione, ma di bonifica umana e territoriale. Da questo complesso di provvidenze, che abbiamo illustrato, derivano notevoli vantaggi materiali per i lavoratori e le loro famiglie, che si vedono tutelati nell’A.O.I. da forme di assistenza che si ispirano agli stessi principi applicati in Italia. La realtà, anche in questo campo, dimostra che fra il territorio coloniale e quello metropolitano non vi sono soluzioni di continuità, e che ovunque sventola la nostra bandiera 1e conquiste sociali del lavoratore vengono difese e migliorate. Ma accanto al significato materiale dell’assistenza sociale dei lavoratori dell’A.O.I., bisogna porre il suo valore morale, che si traduce in un’attiva solidarietà del Regime per tutti coloro che oggi, con gli strumenti di guerra e pace, concorrono all’ascesa della Nazione» (Pistolese G.E., L’assistenza sociale nell’Africa Orientale, 5-6, 1936, pp. 145-150).
Nel 1941 fu pubblicata una legge fondamentale sull’assistenza degli orfani dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro che sarebbe diventata qualche anno più tardi l’ENAOLI (Campese E., L’EAOLI, Ente per l’assistenza degli orfani dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro, pp. 192-201):
È stato istituito in virtù della legge 27 giugno 1941-XIX, n. 987. II suo statuto non ancora è stato approvato; pure è prossimo il funzionamento dell’Ente. Scopi dell’Ente sono:
а) provvedere al mantenimento ed alla educazione degli orfani dei lavoratori morti per infortunio sul lavoro, mediante la istituzione e la gestione di propri collegi-convitti, o concorrendo alla gestione di collegi-convitti e di istituti analoghi, già esistenti, che rispondano alle finalità della legge stessa;
b) curare, d’intesa col Comando Generale della Gioventù Italiana del Littorio, l’avviamento professionale, nonché l’educazione fisica e morale degli orfani predetti;
c) agevolare, d’intesa con le competenti Confederazioni fasciste dei datori di lavoro e dei lavoratori, il collocamento degli orfani assistiti.
Hanno titolo all’assistenza dell’Ente, nei limiti di età che saranno stabiliti dallo statuto, gli orfani dei lavoratori morti per infortunio sul lavoro o per malattia professionale compresi nell’assicurazione di cui al R. decreto 17 agosto 1935-XIII, n. 1765 (assicurazione dei lavoratori dell’industria e del mare), ed al decreto-legge Luogotenenziale 23 agosto 1917, n. 1450 (assicurazione dei lavoratori dell’agricoltura).
L’Ente può estendere la propria assistenza anche ai figli dei grandi invalidi del lavoro, quando lo consentano le disponibilità finanziarie.
L’Ente dispone dei seguenti mezzi:
a) un contributo a carico degli istituti assicuratori contro gli infortuni sul lavoro, lu cui misura sarà stabilita annualmente con decreto del Ministro per le Corporazioni, di concerto con quello per le Finanze, su proposta del Consiglio di amministrazione dell’Ente;
b) le quote di rendite spettanti agli orfani ricoverati del settore industriale e marittimo;
c) le donazioni, i lasciti e le elargizioni.
Le Minime necessarie per la costruzione, rimpianto e l’arredamento degli stabili per i collegi-convitti, sino alla concorrenza di L. 30.000.000, sono erogate dall’istituto nazionale fascista infortuni, con prelevamento dei propri fondi di riserva. Per l’avviamento degli orfani all’esercizio di un mestiere potranno essere istituiti nei collegi-convitti appositi laboratori, opportunamente indirizzati secondo le altitudini degli allievi e le condizioni di ambiente e di lavoro delle famiglie degli orfani. Le competenti Confederazioni fasciste e l’Ente nazionale fascista della cooperazione daranno la loro assistenza affinché gli allievi dei collegi-convitti dell’Ente possano frequentare stabilimenti industriali, aziende agricole o altri luoghi di lavoro, e prestare opera di apprendisti. Ferma restando la competenza del Ministero dell’Educazione nazionale sui collegi-convitti e sulle scuole, l’Ente è posto sotto la vigilanza e la tutela del Ministero delle Corporazioni.
II — Con l’istituzione dell’E.A.O.L.I. il Regime completa armonicamente le sue strutture assistenziali a favore: dei lavoratori infortunati e delle loro famiglie. Si manifesta chiaro un parallelismo: fra le opere assistenziali istituite a favore dei gloriosi caduti in guerra e le opere assistenziali istituite a favore dei caduti sul lavoro. All’istituto delle Pensioni di guerra fanno riscontro gli istituti assicurativi per gli infortuni nell’esercizio dell’industria, della navigazione, dell’agricoltura. All’Opera Nazionale per la Protezione ed Assistenza degli invalidi di guerra fa riscontro l’Ente per l’assistenza ai Grandi Invalidi del Lavoro. All’Opera Nazionale per gli Orfani di guerra fa riscontro l’Ente assistenziale per gli orfani dei lavoratori morti per infortuni sul lavoro. Il parallelismo trae la sua ragion d’essere da motivi etici schiettamente fascisti: nel quadro delle provvidenze assistenziali splendono in piena luce le figure dei raduni, dei mutilati, degli orfani di guerra: accanto ad esse, nobilmente sono adombrate le figure dei raduni, dei mutilati degli orfani per Infortunio sul lavoro. Le nazioni plutocratiche accumulano e convogliano in sotterranee città-forzieri gelosamente custodite la ricchezza oro, e su nelle basi poggiano e fanno leva al fine di perpetuare l’esclusivismo ed il prepotere. Le nazioni fasciste disciplinano potenziano e difendono, nella cerchia di armoniche provvidenze assistenziali, la ricchezza lavoro, che costituisce, e più costituirà dopo la guerra, la base incrollabile della loro supremazia economica e morale.
III — Le rappresentanze dell’agricoltura., chiamate a collaborare per un razionale ordinamento dell’E.A.O.L.I., hanno espressa tutta la loro simpatia per la nascente istituzione. Il contributo che essa chiede all’agricoltura non è lieve. Ma, di fronte ad una iniziativa così umanamente pietosa cedono tutte le considerazioni d’indole finanziaria. Ben venga anche il nuovo onere per il funzionamento deIl’E.A.O.L.I., affinché siano sempre più protetti i virgulti della razza. Il numero degli orfani minorenni degli infortunati in agricoltura nel Regno supera i 13000). Supera gli orfani degli infortunati nell’industria. Enormemente distanzia gli orfani degli infortunati marittimi. L’agricoltura, di orfani di infortunati sul lavoro ne conta 2159 nella circoscrizione del Compartimento assicurativo di Napoli: 1133 in (fucilo di Bologna; 1003 in quello di Bari: 914 in (fucilo di Ancona; 866 in quello di Milano: 863 in quello di Roma; 855 in quello di Verona; 776 in quello di Venezia; 713 in quello di Torino; 697 in quello di Palermo; 628 in quello di Catanzaro; 492 in quello di Chieti; 482 in quello di Firenze; 429 in quello di Trieste; 369 in quello di Messina; 306 in quello di Cagliari; 284 in quello di Arezzo; 259 in quello di Vercelli.
V’era motivo ben fondato, dunque, per chiamare le rappresentanze dell’agricoltura ari esprimere il loro pensiero nel momento in cui si predispone l’ordinamento del nuovo Ente assistenziale.
Sotto il punto di vista del nuovo carico costitutivo sono stati espressi i seguenti voti;
— che il contributo dell’agricoltura sia determinato in base al criterio di ripartire le spese proporzionalmente por settore in rapporto al «liniero liofili orfani effettivamente assistiti: dell’agricoltura, dell’industria, del mare;
— che, pel primo anno rii esercizio sia corrisposto dagli Enti assicuratori un acconto, nella cifra prudenziale che il Ministero delle Corporazioni crederà di stabilire sulla base di ragionevoli previsioni, salvo conguaglio alla chiusura dell’esercizio stesso;
— che sia precisata la posizione contributiva ricali orfani dell’agricoltura; della quale la legge tace, mentre per gli orfani dell’industria e del mare ha stabilito che le quote di rendita spettanti agli orfani degli infortunali siano, in caso di ricovero versate all’E.A.O.L.I.
IV — Diremo ora sull’ordinamento dell’ente sotto il punto di vista sociale; che di gran lunga sovrasta gli interessi economici delle categorie rurali. Premessa fondamentale è, elle l’assistenza agli orfani degli infortunati agricoli debba essere orientata verso un’educazione professionale ohe, lungi dal distoglierli (dall’ambiente agricolo, maggiormente inculchi e rafforzi in essi il convincimento della nobilita e dell’utilità del lavoro dei campi. Per ciò, non unicità ili attuazioni per i vari settori ma specificazioni segnatamente per quanto riguarda il settore agricolo. « Bisogna ruralizzare l’Italia, anche se occorrono miliardi e mezzo secolo ». « Bisogna fare del Fascismo un fenomeno prevalentemente rurale ». La legge istituzionale dell’E.A.O.L.I. prevede che gli allievi dei collegi-convitti dell’ente possano frequentare stabilimenti industriali aziende agricole o altri luoghi di lavoro, e prestarvi l’opera di apprendisti. La disposizione, in verità, non ci soddisfa, noi dell’agricoltura. Non è fuori. Ma entro Io stesso ambito del convitto che l’orfano del rurale deve sviluppare ]e sue attitudini professionali. Per ciò, non aziende agricole esterne, bensì aziende agricole annesse allo stesso convitto. È lì, nello stesso convitto che li ospita, elle i giovani debbono apprendere l’arte dei campi; sotto Io sguardo dei loro tutori, stimolati dall’emulazione, penetrati sempre più della passione per l’azienda collegiale che li ospita; passione che trasferiranno poi, divenuti adulti ed esperti, sulla terra che sarà ad essi affidata. Nella scuola agraria per gli orfani degli infortunati stia l’alunno il meno possibile sui banchi; il più possibile nei campi. Sia la scuola eminentemente pratica, e si occupi specificamente delle colture proprie del luogo. Scuola che raggiungerà fini di altissimo interesse sociale, quando avrà convinto il contadino, con l’evidenza dei risultali praticamente ottenuti, dell’antieconomicità di molti vecchi usi, di molte vecchie tradizioni, «li molti vecchi sistemi; e quando avrà tratti dalla stessa schiera «lei contadini gli specializzati per l’innesto, la potatura, la conduzione delle macchine, il caseificio, l’oleificio ecc, gli eletti, cioè, della piccola tecnica agraria. Qui a Roma, cara ai Romani, è una vecchia fondazione, rinverdita «lai Fascismo: la colonia scuola «Orti di pace», sul Gianicolo, nella meravigliosa chiostra dei secolari pini di Villa Pamphili. Mi piace parlarne, anche perché sempre l’ho amata. «Orti di pace» è collegata strettamente ad altre due Colonie scuole: l’Ospedalone di San Francesco in Collestrada, presso Assisi; la «Paterna domus» in Città di Castello. Tutte tre le Colonie, costituiscono le «Colonie dei giovani lavoratori». È una originale organizzazione di educazione rurale integrale. Nelle Colonie i convittori frequentano le cinque classi elementari; poi le tre classi della scuola secondaria di avviamento: infine uno o due corsi annuali di pratica professionale specializzata. Annesse alle Colonie sono le aziende agrarie: specializzazione orticola, floreale, frutticola. Tante cose avrei da dire sul come si formano e selezionano i giovani rurali. Voglio accennare soltanto ad un originale sistema di addestramento istituito nell’Ospedalone di S. Francesco » e negli « Orti di pace ». Prime in Italia, vi funzionano le « Famiglie cooperative scolastiche di lavoro ». Esse sono costituite dagli allievi più meritevoli — (soci aspiranti, soci apprendisti, soci effettivi) — i quali gestiscono la Cooperativa giovanile, così come una qualsa6Ì cooperativa di adulti: consiglio di amministrazione, libri amministrativi e contabili, meccanismo dello smercio dei prodotti sul mercato ecc. Gli utili sono destinati a fondo riserva, a fondo previdenza, a spese per gite d’istruzione, e dividendo fra i soci e — lo dico per ultimo, perché l’idea manifesta in pieno il cuore dei giovani nostri rurali — al mantenimento di altri giovani che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità di pagare la retta ricovero: i a fratelli adottivi». Ho voluto una risposta precisa alla mia domanda, quassù sul Gianicolo negli « Orti di pace », ove sembra che naturali meravigliose bellezze ed indimenticabili ricordi storici attraggano tutto il fascino adesivo della Città eterna. Ho voluto, dicevo, una risposta precisa: « Quanti dei vostri ricoverati provenienti dalla campagna resistono all’attrattiva d’inurbarsi? ». Risposta: «Tutti. Anzi, non pochi dei ricoverati provenienti dalle città e ultimati i corsi, si trasferiscono in campagna e si dedicano permanentemente « all’agricoltura » (E perché, sfruttando l’occasione, non dovrei fare un’opera buona? a Le Colonie». non hanno rendite patrimoniali. 1 Consiglieri di amministrazione, invece di ricevere, danno. Un dormitorio degli « Orti di pace » di recente è stato costruito e donato da uno di estri. Me ne vorrebbe, se ne faceti il nome. Giorni fa un incendio ha distrutto il padiglione della «Famiglia Cooperativa » e la Biblioteca della Colonia, l’indirizzo lo avete, uomini di buona volontà).
V — Chiudo la lunga ma non oziosa parentesi, la quale conferma, attraverso la pratica conoscenza di un esperimento lodevolissimo ed i cui risultati non sono dubbi, il principio base delle nostre osservazioni: doversi completare, mediante norme statutarie, il precetto della legge; fulcro dell’istruzione professionale agraria dover essere l’azienda annessa al convitto. Sorge, ora, quasi come corollario, una domanda: quale l’organizzazione di un convitto destinato ad ospitare giovani che provengono dai campi, che sono abituati a vivere nell’ambiente rurale e che dalla tradizione familiare, se raccomandabile, non debbono essere distolti? Rispondiamo: l’ordinamento collegiale deve essere tale da rispecchiare il più fedelmente possibile l’ambienti» e se raccomandabili, le tradizioni rurali. Così, consolidando nei giovani orfani la passione per una sana e fruttuosa vita campestre, si evitano o per lo meno si attenuano tendenze urbanistiche. Apro un’altra parentesi, poiché il ricordo di fatti non troppo lontani, mi sembra possa riflettere luce sulla tesi. Allorché una nobilissima iniziativa — la lotta contro la tubercolosi — fu avocata a se dal Regime e dotata di potenti mezzi finanziari, l’entusiasmo dei primi organizzatori fu tale, che molti ritennero si trasmodasse. Giusto ed umano, certo, era concedere ai ricoverati tutti i più moderni presidi della specializzazione assistenziale. Ma, furon viste sale da pranzo che facevano ricordare l’albergo di montagna piuttosto clic il refettorio sanatoriale; tavoli per singoli e per gruppi, servizi porcellanati, alpacche rilucenti, stilizzati vasi fioriti. Molti modesti impiegati, nella loro casetta arredata stentatamente col frutta di sudati risparmi, avrebbero realizzato il loro sogno se avessero potuto accaparrarsi un po’ di quella roba. Ed il sogno divenne realtà, quando le ditte fornitrici offrirono agli impiegati dell’istituto di acquistarne al medesimo prezzo pattuito per l’arredamento sanatoriale…Ma, l’operaio squalificato, il bracciante agricolo, il piccolo artigiano, quando sostò le prime volte in quegli ambienti, si sentì disambientato e quasi mortificato. Poi vi si abituò, poi se ne compiacque, poi osò desiderare meglio e di più. Infine, quando guarito clinicamente, tornò al suo appartamentino popolare, alla camera in subaffitto, alla casetta rurale, ne sentì tutto il disagio e talvolta la miseria. Prima era contento di quel poco o pochissimo che era suo. Ora, a malincuore e sdegnato, stentava ad adattarsi. Che voglio dire con ciò? Forse che debba essere negato agli orfani dell’agricoltura, il conforto di un ambiente sano gioioso e rispendente, così come sana gioiosa e risplendente vorremmo la loro adolescenza? Tutt’altro. Vorremmo soltanto che i convitti specializzati che stanno per sorgere non fossero modellati sul tipo di quelli destinati ad ospitare i candidati all’esercizio professionale ed agli impieghi, provenienti dal ceto medio cittadino, la G.I.L. ne ha istituito di cosi perfetti che migliori non si potrebbero desiderare; ma non sono essi i più idonei per l’orfano dell’agricoltura. I convitti specializzati per gli orfani dell’agricoltura, dovrebbero avere caratteristiche proprie. L’adolescente, tratto in lutto dall’ambiente domestico, dovrebbe quasi non sentirne il distacco allorché giunge nella casa collegiale a lui destinata dall’amorosa solidarietà del Regime. Dovrebbe vivervi quasi come in una continuità ambientale. Compiuti gli studi, dovrebbe lasciare il convitto con rimpianto, sì, ma anche con l’animo lieto di aver superata l’attesa del ritorno alla casa rurale ed alla vita dei campi.
VI — Insisto ancora sul concetto che l’assistenza agli orfani degli infortunati agricoli debba essere decisamente orientata verso un’educazione professionale che sempre più rafforzi la passione per la vita dei campi, smorzando tendenze che possano distogliere dall’ambiente agricolo. A tal fine, come abbiamo visto, la legge va emendata nel senso che l’istruzione professionale debba essere curata preminentemente mediante aziende agricole, non esterne, bensì annesse agli stessi convitti. Ed abbiamo visto anche quale debba essere l’ordinamento collegiale: tale da rispecchiare il più fedelmente possibile l’ambiente e le raccomandabili tradizioni rurali. Ciò non vuol dire che debba essere senz’altro ripudiata la deposizione della legge, la quale stabilisce che gli allievi dei collegi convitti possano frequentare aziende agricole esterne o altri luoghi di lavoro per prestarvi opera di apprendisti. A nostro avviso, tale disposizioni può rendere efficaci servizi se applicata sussidiariamente e sopra tutto nei casi in cui l’allievo debba essere addestrato in specializzazioni di cui difetti l’azienda interna. Noi abbiamo in Italia, fortunatamente, grande ricchezza «li convitti scuole rurali: dipendenti dal Ministero dell’Educazione Nazionale, dal Ministero Agricoltura e Foreste. dall’Opera Nazionale Italia Redenta, e, non meno pregevoli, istituzioni d’iniziativa privata. Il culto della terra, in un ambiente schiettamente rurale vi è sentitissimo, e — ciò che non è affatto da trascurare — il costo delle rette è molto mite. Nelle «Colonie dei giovani lavoratori», che ho innanzi citate ad esempio, la retta si aggira sulle L. 4.000 annue. È il caso, certo, di avvalersi delle numerose scuole già esistenti, potenziando le più ricche e .sovvenendo le più povere. Questo sistema sussidiario, di convogliare gli orfani nei convitti esterni — sorti proprio per l’agricoltura, e che hanno spiccate caratteristiche rurali, e che sopra tutto rispettano tradizioni ambientali — è giudicato dagli esperti fra i migliori. Nel 1927, inaugurando la Scuola « Benito Mussolini », in Jesi, il Ministro Belluzzo esaltava questo concetto. Ogni scuola agraria deve avere la sua caratteristica ed il suo insegnamento che si addice all’economia locale. L’agricoltura della Valle Padana non è l’agricoltura della Sardegna e della Sicilia, l’agricoltura del Piemonte non è quella del Veneto o della Toscana, dell’Agro Romano. Le scuole debbono preparare maestranze per l’economia rurale locale; affezionare sempre più i giovani alla loro terra; elevarne il tono professionale; destare in essi la coscienza produttiva. Noi, dell’agricoltura, non amiamo veder sorgere mastodontici convitti’ ove. commisti a camerati industriali e marittimi, i giovani rurali non tarderebbero a sentire affievolita la passione pei campi. Desideriamo modesti convitti, esclusivi pei giovani rurali, che abbiano caratteristiche che si addicano all’economia locale. E, finché questi convitti non saranno sorti, ed anche dopo che saranno sorti, opportuno sarà poggiare su quell’ordinamento scolastico di cui Pitali a è già riccamente dotata con le numerosissime ed apprezzatissime sue scuole a carattere tipicamente ed esclusivamente rurale.
VII — Ora, a completare il sistema organizzativo previsto dalla logge, esponiamo un’idea innovatrice, clic ci sembra meritevole di attenta considerazione. Censiti nominativamente, abbiamo contati 13.228 orfani di infortunati agricoli. Quanti di essi prenderanno posto nei convitti propri dell’E.A.O.L.I., o nei convitti esterni specializzati già esistenti per l’agricoltura? Noi prevediamo ben pochi. Anno per anno seguiremo il movimento della Bella iniziativa, augurandoci una smentita… che, purtroppo, non verrà. Nell’Italia centrale e specialmente nella Meridionale l’unità familiari è così cementata che non vale a dissaldarla né la miseria, né la morte. Il figliuolo abbandona pel convitto la casa paterna soltanto nel caso che ve lo spingano eccezionali tendenze allo studio ed ambizione aspirazioni a mutar ceto: un dì il seminario, oggi l’università. Ma, la quasi totalità non diserta. Tutt’altro. Nelle famiglie rurali dell’Italia centrale e meridionale è diffuso il sistema di adottare e di affiliare giovani. Il « figlio della Madonna » vi è trattato non altrimenti che il figlio legittimo. Perfino famiglie che hanno immensa discendenza spesso adempiono il «voto». La fede dà veste religiosa al fenomeno; ma questo, profanamente considerato, manifesta il bisogno che le famiglie rurali sentono di accrescere la loro forza lavorativa mediante vincoli spirituali piuttosto che mercenari. Fatto è che noi siamo convinti che, malgrado ogni buona volontà dei rettori dell’E.A.O.L.I., gli orfani degli infortunati agricoli non primeggeranno numericamente nelle scuole convitto. Ed allora, già appare chiaramente l’idea innovatrice. Là dove l’invito pietoso di assistere l’orfano accogliendolo nei convitti. non trovi simpatia o consenso nelle categorie rurali di alcune regioni d’Italia, ivi s’incoraggi e sovvenga l’adozione e l’affiliazione mediante la corresponsione di contributi o di premi. Il fenomeno ohe abbiamo illustrato, così generoso o nello stesso tempo così fruttuoso por l’economia terriera, potrebbe allora assumere proporzioni superiori alla previsione. Rigorosi accertamenti sulla moralità, capacità educativa, preparazione professionale dell’affiliante; continua vigilanza; supertutela dell’E.A.O.L.I. L’orfano, abbandonata la casa deserta per vivere in altra casa olio egualmente gli offre l’afflato familiare, doppiamente si sentirà legalo alla sua terra.
VIII — Quando i nostri occhi troppo a lungo fissano un certo coloro, stanchi ne percepiscono il colore complementare. Così, la nostra mente, fissa per professione e per passione, ai fenomeni della vita rurale, ne intravede i necessari complementi; talché dalla visione di un aspetto singolo del fenomeno, siamo portati a spaziare panoramicamente sui complessi rapporti sociali. Nel 1929-VII — concludendo un mio studio — così scrissi (II Fascismo contro la disoccupazione, Libreria del Littorio, Roma, pag. 378): « Si e usi a identificare i caratteri della stazionarietà nelle zone rurali e quelli del progresso nelle zone industriali. « La volontà Fascista sfaterà la leggenda. « Il dinamismo Fascista — agendo mediante la razionalizzazione delle colture agrarie, la bonifica integrale, la elevazione delle capacità tecniche rurali — rivoluzionerà, anche, la costituzione delle nostre categorie rurali. « Le statistiche demografiche — fra un ventennio appena, forse — segneranno cifre profondamente diverse da quelle che abbiamo lette nel 1921. « Vedremo — sia soddisfatto il voto — più elevato il numero dei piccoli proprietari, degli affittuari, dei coloni, dei mezzadri; moltiplicalo quello dei salariali fissi; ridotto a proporzioni tollerabili quello dei braccianti. « La redenzione della terra e degli uomini procederà di pari passo. « I più preparati e più saggi trasmigreranno dal colonato alla piccola proprietà; dal salariato fisso al colonato. « I meno preparati e meno saggi costituiranno la massa dei salariati fissi. « Soltanto la minoranza dei diseredati dell’ingegno e della volontà costituirà la zona grigia e misera del bracciantato. « Allora la base politica del Fascismo poserà incrollabilmente sul ceto rurale; l’economia nazionale sarà prevalentemente agricola; il mercato del lavoro sarà risanato ed equilibrato permanentemente ». Con quanta gioia vedo che il voto della mia ultima giovinezza gradualmente si va adempiendo! Confrontiamo i dati del censimento del 1921 con quelli del censimento dei 1936. Solo quindici anni! Il confronto non è agevole, perché la classificazione professionale differisce nell’uno e nell’altro censimento. Pure, cercheremo per approssimazione di esporre la reale situazione. Riassumeremo i dati relativi alle due più numerose categorie della popolazione lavoratrice agricola in Italia. Ebbene: i conduttori, che nel 1921 si aggiravano sui quattro milioni già nel 1936 superavano i quattro milioni e mezzo; i mezzadri ed i coloni, che sì aggiravano sul milione e mezzo, già si avvicinavano al milione ed ottocentomila; i lavoratori a giornata che quasi raggiungevano i quattro milioni, già erano ridotti a due milioni! Il trapasso delle categorie rurali meno favorite alle più elette è stato potentemente favorito dall’ordinamento scolastico al quale il Regime dedica diuturne cure. Le istituzioni scolastiche in pochi anni si sono moltiplicate, e giorno per giorno vanno assumendo caratteristiche razionali. Le scuole rurali di Stato sono circa 9.000; quelle di avviamento a tipo agrario circa 200; speciali corsi, anch’essi di avviamento a tipo agrario, superano i 550. Abbiamo inoltre 43 tra scuole regie ed istituti dipendenti dal Ministero dell’Agricoltura; circa 500 scuole rurali dipendenti dall’Opera Nazionale Italia Redenta; oltre 130 scuole rurali dell’Agro Romano. E non conto, né le numerose scuole private, né i corsi temporanei per contadini funzionanti per iniziativa delle Confederazioni dell’agricoltura. Fra breve non avremo nulla da invidiare alla Danimarca, la quale in meno di un secolo ha preso posto tra le Nazioni più ricche e più esperte, da povera ed incolta qual’era. Piccolo Stato che non raggiunge i quattro milioni di abitanti, ha più bestiame e maggiori proprietà in proporzione di qualsiasi altro Stato. E, questo, per la perfetta educazione tecnica dei suoi contadini, raggiunta attraverso una fitta rete di istituti scolastici a tipo agrario. Ogni anno ne escono licenziati oltre 4000 contadini, nella maggior parte specializzati. L’Italia si è messa decisamente sulla buona strada. «I milioni spesi per l’istruzione agraria fruttano, come l’evangelica semente, il cento per uno ». Ed il cento per uno frutterà questa nuova istituzione scolastica agraria pro-orfani degli infortunati. Essa contribuirà — piccolo rivolo, sboccante con tantissimi altri rivoli, più o meno ricchi di linfa, nel gran corso che convoglia le maestranze rurali — a ridurre in limiti tollerabili la diseredata categoria bracciantile, a rendere meno instabile il mercato della mano d’opera rurale, a razionalizzare ed a spingere al massimo rendimento la produzione agricola. Sono i braccianti — lavoratori a giornata — i più esposti così al rischio disoccupazione, come al rischio infortuni. L’orfano del bracciante, adottato dal Regime, ritornerà alla terra; non però, nell’umile e triste condizione del padre. L’orfano dalla stessa sventura paterna sarà sollevato e spinto verso più degno destino. Le ombre dei morti si aggirano intorno ai luoghi che furono da essi amati; nel solco dei campi alita lo spirito protettore dei rurali morti sul lavoro. E le ombre rilucono per riflessi di gioia quando la terra antica è risanata e fecondata; ma, tanto più quando i figli del loro amore, rimasti alla terra fedeli, nel grado delle gerarchie del lavoro rurale si affermano ed elevano. Le ombre, allora, tendono le ali al volo per raggiungere, rasserenate, le sponde dell’oblio».
Un altro traguardo raggiunto dal Regime Fascista fu la creazione dell’Inail (Campese E., Dichiarazione del Ventennale – L’unificazione degli Istituti di assicurazione per gli infortuni, 5-6, 1943, pp. 132-137):
Nel Ventennale — simbolica la ricorrenza — il Duce annunziò alcune riforme nella organizzazione previdenziale ed assistenziale, le quali si riconnettono alla Carta del La voi o, ne adempiono i postulati e, forse, preludono a più elevate mete verso la integrale tutela contro i rischi diretti del lavoro.
« L’Istituto per gli infortuni e le malattie professionali del settore industriale e le Casse Mutue infortuni del settore agricolo vengono fusi nell’Infail. Si caratterizza il quadro dei granii istituti sociali del Regime: uno per la « previdenza, uno per gli infortuni, uno per la mutualità. « La riforma porterà notevoli vantaggi ai lavoratori dell’agricoltura, operando le revisione e l’aumento degli indennizzi, assicurando almeno per gli infortuni più gravi una rendita annua, anziché una erogazione una volta tanto, e introducendo l’obbligatorietà delle prestazioni sanitarie finora attuate sono tanto parzialmente a mezzo di accordi sindacali. « Tutto questo secondo il principio della giustizia sociale che mira ad eliminare qualsiasi sperequazione tra categoria e categoria ».
A breve distanza dalle Dichiarazioni del Ventennale, è stato pubblicato il R.D. legge 25 marzo 1943-XXI n. 315 (Gazzetta Ufficiale dell’8 maggio 1943-XXI. n. 107), che regola il trasferimento nell’istituto Nazionale Fascista per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro dei servizi finora gestiti dalle Casse Mutue infortuni Agricoli e dalla loro Federazione, riservando ad altra successiva legge la modificazione, l’integrazione ed il coordinamento delle deposizioni vigenti per le due assicurazioni, l’una pel settore industriale, l’altra pel settore agricolo. Notevoli sono le disposizioni del recente R. D. Legge, le quali istituiscono, per le due assicurazioni, gestioni separate: che ne affida-no l’amministrazione a distinti Comitati, uno per il ramo industriale, uno per il ramo agricolo; che rendono paritetiche nel Consiglio di amministrazione le rappresentanze dei due settori sindacali, l’industriale e l’agricolo. Disposizioni notevoli, in quanto nelle istituzioni previdenziali sinora non era stata mai affermata, così nettamente come nel recente Decreto Legge, la perfetta equivalenza degli interessi sociali delle organizzazioni sindacali — industria ed agricoltura — nonostante la eventuale inequivalenza dell’apporto contributivo delle due categorie. I rurali debbono essere grati al Duce per avere manifestata anche in questa particolare occasione — l’unificazione degli istituti assicurativi contro gli infortuni — la sua predilezione per gli agricoltori, elevando significativamente il tono delle loro organizzazioni. Ma, su questo periodico — in rispondenza al carattere ed alle finalità di esso — è il caso di esaminare preferibilmente, con doverosa ponderatezza, le disposizioni particolari del R. D. Legge, le quali impartiscono direttive per il trasferimento nell’istituto Nazionale Fascista Infortuni del Personale in servizio presso le Casse Mutue e la loro Federazione (art. 5).
«Il personale in servizio presso le Casse Mutue e la loro Federazione nel « momento del trasferimento di cui agli art. 3 e 4 (Termine ultimo del trasferii « mento il 30 giugno 1943-WI per le Casse Mutue, e il 30 settembre 1943-XXI « per la Federazione) è assunto dall’Istituto nazionale infortuni con la posizione « da esso raggiunta alla data del 1° aprile 1943-XXI.
«Entro sei mesi dall’assunzione di cui al comma precedente, una Commissione nominata dal Ministro delle corporazioni provvederà all’inquadramento « del personale suddetto, in base a norme da emanarsi dal Ministro delle corporazioni d’intesa con il Ministro delle finanze».
II camerata cons. naz. Dedin, al quale sono affidati gli interessi delle categorie impiegatizie, mi ha chiesto di esprimergli il mio pensiero sulle disposizioni ora trascritte. Il camerata Dedin mi fa molto onore individuando in me, già consigliere della Federazione delle Casse Mutue, il patrono più diretto degli interessi del personale. Egli, inoltre, mi offre occasione di prendere commiato da quel personale, parlandone con schietta e giustificata simpatia.
1°) — Innanzi tutto, mi sembra opportuno porre in piena luce la situazione di fatto.
Il Personale — così delle 18 Casse Mutue esercenti l’assicurazione infortuni nel Regno, come della loro Federazione — si distingue in tre rami: l’impiegatizio (amministrativo, contabile, di ordine, di servi-zio); il sanitario (consulenti medici generici e Specialisti); il legale (consulenti interni e patrocinatori in giudizio). Gli impiegati hanno uno stato giuridico ed economico disciplinato da regolamenti organici — (un regolamento organico per la Federazione ed un altro regolamento organico « unico » per tutte le Casse Mutue) — ovvero da contratti particolari preesistenti ai suddetti regolamenti e rispettati in omaggio ai diritti acquisiti. Pel Personale Ordinario. nella quasi totalità, vigono contratti a tempo stipulati su un modello « tipo ». Soltanto per alcuni sanitari sopravvivono antichi contratti d’indole apertamente o larvatamente impiegatizia. Per i Consulenti legali vige ugualmente un contratto a tempo stipulato sii un modello « tipo ». Per i Patrocinatori legali sono corrisposti compensi « a tariffa » in conformità delle norme stabilite con legge 13 giugno 1912-XX. n. 794. Esposta così la situazione, chiaro emerge il significato delle parole dell’art. 5 del R.D.L. il quale si riferisce non di soli impiegati, ma a tutto indistintamente il Personale delle Casse e duella Federazione. Il R. D. legge è stato emanato « sulla proposta del Duce del Fascismo, Capo del Governo. Primo Ministro Segretario di Stato». È opportuno rilevarlo e farlo rilevare.
2″) — Volgiamo ora uno sguardo alla situazione quale si presenta in nude cifre.
Diciotto abbiamo detto, sono le Casse Mutue Infortuni, raccordate da una Federazione Nazionale.
a) della Federazione:
gli Impiegati di rutilo (categorie direttiva, di concetto, di or* dine, di servizio) in tutto non sono che 15; gli Avventizi 7; i Consulenti sanitari 2; i Consulenti legali 2;
b) delle diciotto Casse Mutue:
gli Impiegati di ruolo (categorie direttiva, di concetto, di ordine di dattilografìa, di servizio) in tutto non sono che 258; gli Avventizi 103; i Consulenti sanitari generici o specializzati 50; i Consulenti legali 21.
Le nude cifre esimono da qualsiasi commento. Trattasi di un personale numericamente così esiguo, che qualsiasi preoccupazione di « ingolfamento » dei ruoli dell’istituto Nazionale Fascista Infortuni può essere senz’altro escluso. Invero — (bisogna che sia pubblicamente noto anche quanto sto per dire) — allorché, tali nude cifre furono da me rese note al cons. naz. Sellarli, presidente dell’ Infail, egli non esitò menomamente nel dare assicurazioni così confortanti che non posso non serbarne grato ricordo. Quelle cifre, forse, il Ministero delle Finanze non conosce. Si spiega. quindi, il suo interesse a collaborare col Ministero delle Corporazioni per la emanazione di « nonne » per l’inquadramento nell’Infail del personale delle Casse Mutue e della Federazione.
3°) — A tranquillare il Ministero delle Finanze aggiungo alle cifre innanzi esposte alcune considerazioni. Il Ministero delle Corporazioni potrebbe avallarne l’esattezza.
Il personale delle Casse Mutue fu inquadrato nei ruoli in virtù di un regolamento organico « unico » approvato dal Ministero delle Corporazioni TU marzo 1938-XVI. Secondo accordi ed intese interconfederali si tendeva, allora, alla costituzione di un Istituto assicurativo proprio del settore agricolo; la costituzione, anzi, ne sembrava imminente. Per tali ragioni, e per lasciare ampia libertà di azione all’auspicato Istituto, i ruoli impiegatizi delle Casse Mutue furono contenuti in uno schema che direi « scheletrico ». Infatti quei ruoli non dovevano costituire che l’ossatura del futuro ruolo unico dell’Istituto assicurativo proprio dell’agricoltura. La caratteristica speciale dei ruoli delle Casse Mutue non cambia, resta identica anche oggi, nel momento in cui si stanno per coordinare i servizi dell’Ente assicurativo dell’agricoltura con quelli dell’Istituto Nazionale Fascista Infortuni. Invero, è da prevedere sicuramente — anche perché i servizi richiederanno maggiori forze di uomini, in conseguenza fra l’altro della introduzione dell’obbligatorietà delle cure e del variato sistema di corresponsione delle indennità d’infortunio — è da prevedere sicuramente che i ruoli impiegatizi risulteranno inadeguati al bisogno; onde la necessità di nuove assunzioni. In queste nuove assunzioni senza dubbio dovranno avere titolo di preferenza gli avventizi; molti dei quali, prestando da anni lodevole servizio, attendevano fiduciosamente di essere inquadrati nel ruolo dell’istituto proprio dell’agricoltura. Ecco una norma (art. 5) che dovrebbe essere raccomandata in modo speciale ai Ministeri delle Corporazioni e delle Finanze.
4 ) — È tempo ora che — fatto conoscere il Personale — si facciano conoscere anche le Persone.
La Commissione incaricata dell’inquadramento senza dubbio vaglierà di ciascuno i titoli di studio, i meriti di servizio, le benemerenze civili, militari, fasciste, demografiche. Allora — contrariamente a quanto in generale avviene in simili circostanze — risulterà evidente che non v’è alcuno delle Casse Mutue il quale abbia « galoppato » alla conquista dei primi posti. Moltissimi, che avrebbero potuto far valere titoli superiori, sono stati costretti dalla conformazione scheletrica dei ruoli in posti inferiori. Applicati hanno funzionato da ispettori; segretari da primi segretari; primi segretari da direttori. D’altra parte, non pochi laureati occupano posti di contabilità e perfino di ordine. Questa situazione dovrebbe consigliare un’altra «norma» (art. 5): che, cioè, la Commissione, nell’inquadrare il personale, possa agire con una certa larghezza di criteri, per riconoscere meriti evidenti che sarebbe ingiusto disconoscere. La « norma » fu altra volta adottata, venti anni or sono, quando l’Ufficio Nazionale per il collocamento e la disoccupazione fu alleato alla Cassa Nazionale Assicurazioni sociali (oggi Istituto Nazionale Fascista Previdenza Sociale). In quella occasione (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3158) la Commissione ebbe «facoltà di derogare ove ne ravvisi la necessità, alle disposizioni vigenti per il personale della Cassa Nazionale ». L’innesto del personale dell’Ufficio Nazionale sul tronco della Cassa Nazionale dette risultati così soddisfacenti che, dopo appena pochi mesi, ne germogliò una riforma organica, la quale valse a fondere effettivamente e vantaggiosamente in una unica famiglia il personale dell’uno e dell’altro Istituto.
5°) — Le spese di amministrazione delle Casse Mutue hanno segnato sempre una percentuale bassissima in confronto dei contributi assicurativi ad esse assegnati. Nel 1935 la percentuale fu del 7 %. Poi salì gradualmente negli anni successivi, per effetto dell’accresciuto costo delle forniture e degli aumenti delle competenze impiegatizie conferite per legge. La percentuale più alta — dell’ll% — è segnata dal 1942. Più alta relativamente. poiché — in confronto di altri Istituti che abbiano una pari consistenza finanziaria — credo, invece, che segni il limite più basso. Non esito nell’attribuire alla fervida attività del Personale delle Casse Mutue, oltre che alla severa sollecitudine degli Amministratori, il modesto peso delle spese di amministrazione. Le Casse Mutue avevano una organizzazione paternalistica, la quale adduceva a rapporti affettivi, più che economici, fra l’ente, gli amministratori ed il personale. Con le Casse Mutue scompare l’unico superstite ricordo di quelle organizzazioni a tipo familiare, così povere burocraticamente, ma così ricche passionalmente. Io comprendo quanto dolga al Personale la fusione degli istituti assicurativi infortunistici. Il dolore cesserà col distacco. Io sono sicuro che l’accoglienza che il Personale delle Casse Mutue riceverà nell’istituto Nazionale Fascista Infortuni renderà breve la nostalgia. È con questa sicurezza che ad Esso rivolgo il mio saluto. Cerco fra tutto il Personale una fisionomia che più mi sia nota per impersonare in un solo gli Uomini delle Casse Mutue. Mi soffermo sul funzionario che di tutti conta più anni e più benemerenze. L’altra guerra lo vide volontario, già maturo di anni. Non lo trattenne l’amore dell’unico figlio giovanetto. Quando, nel 1921, questo virgulto vigoroso fu stroncato dalla ferocia sovversiva, il nodoso tronco raccolse i suoi rami sulla Cassa Mutua, a protezione e conforto di una più vasta famiglia. Ecco un Uomo. Ma, molti molti ve ne sono nelle Casse Mutue. Essi hanno bisogno che Voi li assistiate, non che li raccomandiate, camerata Dedin.
La rivista cessò le pubblicazioni nel luglio 1943 e con essa anche il sogno del “ritorno alla terra” e di ogni velleità bucolica. Nel dopoguerra l’Inail (che con il DL 25 marzo 1943 n. 315 aveva assorbito le Mutue e le Casse agricole) pubblicò la “Rivista degli infortuni e malattie professionali” (1944-2018) già “Infortuni e malattie professionali” (1941-43) oltre ai “Quaderni sociali: informazione, documentazione, discussione” (1946-1947) poi “Inail: rassegna della stampa periodica” (1948-1977) e il “Notiziario statistico” (1951-2010). Contemporaneamente i partiti politici si riorganizzarono in tante redazioni ognuna condizionata dall’orientamento ideologico dell’epoca: nel 1950 iniziò la pubblicazione “La previdenza sociale nell’agricoltura” diretta da Pietro Chilanti di orientamento progressista; l’anno successivo uscì “Il giornale dell’impiegato agricolo: notiziario della Cassa nazionale di assistenza per gli impiegati agricoli e forestali” mensile dell’Ente Nazionale Patrocinio e assistenza per gli impiegati in agricoltura e infine nel 1960 si segnala la “Protezione sociale: rivista bimestrale dell’Ente di patrocinio ed assistenza per i coltivatori agricoli” di area reazionaria che però cessò le pubblicazioni nel 1970.
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