Pensieri di Cesare Correnti dai suoi scritti editi e inediti a cura di Adelaide Correnti e di Eugenia Levi nel centenario della sua nascita (3 gennaio 1815 – 3 gennaio 1915) con una biografia di Cesare Correnti e il suo ritratto in fotocopia, Milano, Treves, 1915 (da 148 a 163, pp. 76-83; da 240 a 244, pp. 117-119; da 303 a 311, pp. 145-148; da 472 a 473, pp. 227-228).
148. Il Cristianesimo, come tutte le altre religioni vediche e bibliche, anzi più che altre, nacque coll’istinto della carità spinta fino all’assoluta comunione economica, conseguenza della Comunione dei Santi, che fu uno dei principali articoli. del Credo apostolico. Il primitivo Cristianesimo era una perfetta associazione economica o spirituale, e la beneficenza e la carità erano la forma del suo governo. Indi l’assorbimento di tutti gli istituti soccorrevoli nella Chiesa, divenuta amministratrice e dispensatrice dell’economia sociale. I secoli barbarici turbarono il processo di trasformazione iniziato dal Cristianesimo, ma non sì che non ne serbassero i principali caratteri. Ma gli amministratori elettivi della società cristiana, a mano a mano costituiscono una classe separata. Il decreto di Lotario imperatore, che comandava, ai chierici di consacrare due terzi delle rendite loro affidate ad opere di beneficenza, era già un atto costitutivo della feudalità ecclesiastica, la quale amministrò poi a suo senno gli immensi beni ad essa affidati e che fluivano sempre più copiosi nelle sue mani; tanto che intorno ai tempi della Riforma, anche i redditi degli ospizi e delle limosinerie anutaronsi spesso in .commende e benefizii. Nel secolo XVI e nei successivi cominciò l’opera di rivendicazione; furono soppresse le usurpatrici amministrazioni ecclesiastiche, e richiamati à mano a mano i loro beni alla società. Le necessità politiche e le avidità fiscali diedero a questa rivendicazione l’aspetto di spogliazioni e di detorsioni. Molti Stati però, confessarono il carico a cui si erano assoggettati sostituendosi alle malversatici amministrazioni clericali. Indi la conversione della carità chiesastica in carità legale. Le leggi d’Elisabetta, celebri nella storia del pauperismo, ebbero questa origine: e un’origine analoga, per non ricordar tutto, ebbero le patenti di Maria Teresa in Lombardia quando primamente ella mise mano alla soppressione degli Ordini religiosi. Così come l’ebbe la legge del 19 marzo 1793, che pone le basi delle norme dell’Assistenza pubblica in Francia, considerata come un dovere dello Stato, entrato nella, successione degli immensi beni del clero francese.
Ora questo punto di vista storico e poco men die giuridico non vuol essere trascurato, ms. 1882.
149. Il Cristianesimo è, come il classicismo, guasto dai pedanti e dai sofisti. Ma è ancora l’antica dottrina. ms. s.d.
150. Il Cristianesimo lo insegnava, la filosofia non l’insegna più, non lia più mezzi per insegnarlo. Non si’fa l’eroe per gusto d’esserlo: sì quando v’è ragione di farlo. Il Cristianesimo clava la ragione d’essere eroi, d’essere grandi, d’essere santi. Noi non diamo alcuna ragione, fuorchè l’estetica. La poesia diventa tutta la religione del secolo. ms. s.d.
151. Il Cristianesimo pratico della Chiesa latina, riprende il suo senso metafisico in mano delle popolazióni nordiche. Esempio il Biblismò degli Inglesi, il logicismo e razionalismo germanico. ms. ant. al 1848.
152. Il Cristianesimo, questo sacerdote iniziatore della civiltà europea, e che ora la civiltà europea sacrifica sull’ajtiare dell’avvenire, ha combattuto come un gigante: l’eloquenza, il genio, la poesia, l’audace sofisma, la virtù, il delitto, nulla fu trascurato. La grandezza delle questioni agitate, la potenza degli oppositori, la costanza, la profondità e l’entusiasmo elei difensori, ne fanno senza alcun dubbio la lotta più drammatica e più feconda che presenti la storia delle idee umane. Dello sfato gen. degli studi filosof. 1840.
153. Il Cristianesimo storico insegna che ogni male d’origine si parò espiare, cioè volgere in bene, e che ogni anima’d’uòmo e di popolo è redimibile. Stirpi italiche. 1657.
151. Il destino delle cose è la decadenza e la morte, e il destino dell’anima è il progresso e l’immortalità. 4 ms. s.d.
155. Il diavolo, dicono, non è sì brutto come si dipinge. Certo è che nessun diavolo è così patente come vorrebbe parere: e certissimo clic quando un diavolo esce dai gangheri e mostra gli unghioni e la forza, è segno che non gli riuscirono le moine e le contumelie. Verità vecchie. 1853.
156. Il diritto all’elemosina, come il diritto al, lavoro, sono errori sociali e morali: perchè non v’ha diritto dove non v’è un obbligato, contro il quale possa farsi valere il diritto, il diritto a soccorsi economici, come il diritto a lavorare sono precisamente come il diritto di vivere. Le condizioni della vita e del lavoro sono innanzi tutto individuali, e la società, die è un complesso di viventi laboriosi, non può senza trascendere oltre la propria natura e la propria forza, garantire la vita e il lavoro.
L’illusione del Socialismo, e peggio del Comunismo, è in questo appunto, di pretendere che la società umana, la quale non può esistere, e non esiste normalmente, se non a condizione che i soci sieno attivi e produttivi, sia ordinata in modo, non solo di tutelare la libera attività – che è il vero e proprio suo compito -, ma di assicurare la produzione. È un vero capovolgimento d’idee ohe mette capo ad infiniti assurdi, prima di tutto alla soppressione della libertà umana. ms. 1880-1887.
157. Il dramma nazionale si svolse nelle adelfie, nelle congiure, nelle famiglie. La storia intima è molte vòlte più importante della storia piazzai ola. Ed è ignorata come la virtù.
ms. post. al 1880.
158. Il fine supremo d’ogni buona educazione è l’instauramento dell’ordine morale. Sapere non basta: si richiederebbe la ginnastica della volontà e l’esperienza dell’amore.
L’appannaggio della scienza. 1856.
159. Il genio dei nostri antichi, se pur ci sia dato trovarlo ancora, noi lo potremo incontrare là dove più ferve la vita. Mal lo cerca chi voglia ripescarlo per entro lo ceneri dei sepolcri, o peggio chi spora di nasconderlo soffiando sulla polvere dei libri! Solo vivendo s’impara e s’intendi la vita. Badiamo ad esser nomini e vivi. Le Diversità nazionali. 1856-57.
160. Il gran teologo del Medio Evo, e l’ultimo Dottore della Chiesa, una delle più vaste intelligenze filosofiche che si possano imaginare, San Tomaso d’Aquino, nella laboriosa, sintesi di tutto lo scibile de’ suoi tempi, che cosa ha fatto? San Tommaso d’Aquino ha detto: « La filosofia procedo con un metodo inquisitivo e libero; essa non palò risolvere i grandi ed ultimi problemi della vita universale, ma appena può adombrarli. Arrivata sulla soglia, delle verità assolute, essa presagisce e invoca e spera le soluzioni, ispirandosi alle necessità intellettuali e morali della mente e della natura umana. Ma quando dal presentimento vuol passare alla certezza, quando, guidata, dalla speranza, vuol giungere alla fede, non vi ò altro che entrare nels mondo mistico, nel mondo della grazia, porgersi umili alunni della teologia positiva, che ò la filosofia rivelata, e allora cessano i dubbi e le indagini angosciose, comincia il tranquillo lavoro di deduzione, e si trova quella quiete a cui-aspirano molte anime….La mirabile, profonda e naturale distinzione di San Tomaso d’Aquino fu adottata anche dalla Chiesa. Dai teologi che successero al Dottore Angelico, durante il Medio Evo fino ai dì nostri, si ammise questo ottimo principio didattico: potere la filosofia essere come un’introduzione e un avviamento alla fede. Disc. sulla soppres. delle fac. teolog. 25 aprile 1872.
161. Il lavoro della mano misura, il tempo, avvezza alla pazienza. Glorifichiamo il lavoro della mano. ms s.d.
162. Il lavoro è la legge divina, o la legge della natura, è la legge dell’anima umana. L’anima ha bisogno d’attività, come il corpo di nutrimento. Il Lavoro. 1855.
163. Il lavoro può riuscire salubre, morale, educatore e anche piacevole: può invece essere disordinato, disperditore di forze, produttore di cose inutili o peggio, noioso, materializzatore, omicida…. Studio fecondissimo sarebbe quello proposto dal dottor Besozzi, quello della corrispondenza fra il genere dei lavori e le inclinazioni morali: tesi questa di suprema importanza per la riforma della educazione popolare. Egli crede alla possibilità non solo di distribuire il lavoro dietro lo studio della costituzione c del temperamento degii operai, ma eli feudo attói diventar in molti casi un vero mezzo igienico. Sul lav. dei fanc. negli opif. 1844.
164. Il Leopardi giunge spesso alla necessità e alla logicità del Male
Disprezza ….. il brutto
Poter che ascoso a comun danno impera.
Nel Cantico del Gallo Silvestre, verso la fine, preannunzia la morte dell’Universo e la quiete assoluta e la liberazione d’ogni oosa, e la morte della morte. Perocché in ogni sua opera la natura è intenta e indirizzata alla morte. Cesserà la vita e allora cesserà la morte. Ma nelle note, il Leopardi confessa che questa è una conclusione poetica, ma non scientifica. Perchè l’esistenza continuerà sempre colle sue fasi. ms. 1881.
165. Il mondo è grande. Tanto meglio. Noi sapete voi? Ciò che vedete fuori si riflette in fondo al vostro occhio. Quando trovate grande il mondo, gii è che voi ingrandite. Più vasto e vario lo spettacolo, e più bello il quadro che ci si dipinge dentro, più viva la memoria dell’anima.
Su! Su! Dunque, a dispetto dei dispetti, guardiamo fuori, guardiamo lontano, slarghiamo la prigione, slarghiamo il cuoreI Conoscere il mondo. 1853.
166. Il mondo è mezzo di chi l’ha ereditato, è a sperarsi il miracolo, se non Forse aiutando una palingenesi cosmica, aprendo colla trivella, come spera il nostro Paladini, le vene dei fiumi sotterranei, o conducendo, come propone il Lavigne, le acque del mare a traboccar sulle bassure del deserto. Disc. alla Soc. Geogr. Ital. 35 luglio 1874.
234. L’Africa La per l’Italia un fascino irresistibile. Affacciati sulle stesse acque, a distanza ormai di poche ore, e con sì sfolgorante diversità di cielo, di clima, e di popoli, la curiosità, non ch’altro, vi ci dovrebbe tirare.
Quattro salti e potremmo trovarci in mezizo a una natura nuova, e vivere in un’età preistorica.
A chi non deve piacere sentirsi allargar l’universo e raddoppiare il tempo e l’anima? Vero che è difficile indovinare ìli questo momento quello che spiaccia o piaccia agli Italiani: ma appunto perciò si può provare. Parliamo loro dunque dell’Africa. L’Africa. 1875.
235. L’anima è naturalmente cristiana, disse un gran Dottore della Chiesa primitiva. E noi possiamo dire: l’anima è naturalmente profetica. ms. s.d.
236. L’anima, può colla contemplatone della bellezza, col culto della sapienza, calmarsi e ingrandirsi; ma, poi rimane fredda nella sua pace, come una, limpida aurora che aspetta il sole.
In un solo modo la villa cfeU’animai si raddoppia, si “centuplica, s’immilla: specchiandosi cioè in altre anime, riverberando la sua coscienza nelle loro coscienze, illuminando ad altri pensieri la luce dei suoi pensieri. Lacuna 1855.
237. L’antica virtù politica era fondata sul diritto e sulla giustizia: la nuova virtù politica è fondata sulla carità e sulla solidarietà. ms. s.d.
238. L’apparenza ha l’inganno davanti e la verità di dietro. Non si deve fermarsi sulla prima apparenza; ma nè per questo si deve lasciare di studiarla. E se non bastano gli occhi, ci valgano gli occhiali, le lenti, i microscopi, i telescopi. Verità vecchie. 1853.
239. L’arte del volere è l’arte stessa del vivere. Quando tutta la tua forza si consuma nel lottare contro la tiua stessa volontà, e nel sorreggerla, non ti avanza più di che far altro: come uomo che appena si regge con tutto lo sforzo in piè, se appena riesce a portar se stesso non può portare altro. Perciò vuoisi a pòco a poco dar forgia alla volontà, e avvezzarla a comandare.
sieri la luce del suo pensiero. ms. 1858.
240. L’Assistenza pubblica si distingue dalla Carità – parola cristiana trovata però prima da Cicerone: “charitas immani generis” – e dalla Beneficenza».
L’Assistenza pubblica, neologismo francese del tempo della Repubblica, indica il complesso delle istituzioni e disposizioni legali per cui lo Stato e il pubblico, nel vecchio senso italiano, soccorre materialmente ed economicamente i privati cittadini.
Carità, da grazia, amore gratuito, indica il sentimento, l’istinto che ci porta fuor di noi e, come dice San Paolo, non cerca le cose sue.
Beneficenza è l’istinto di far comunque il bene, di giovare.
L’una è una necessità politica, l’altra una necessità spirituale, l’ultima una funzione morale ed economica. ms. s.d.
241. La bellezza è nella espressione. Pittori e maestri, quanti siete, non vi paia di soverchio ripetuta una cosa tanto semplice e tanto volgare. La bellezza naturale è un’espressione d’intelligenza e d’amore; la bellezza artistica non pùo esser diversa.
Della com. sorg. della Poesia nelle Arti belle. 10 nov. 1847.
242. La beneficenza, in tutti i paesi civili, consta d’un complesso d’istituzioni svariatissime, originate quasi sempre da un’ispirazione religiosa, e dirette, piuttosto a soddisfare gli istinti della misericordia e della tenerezza fraterna verso i sofferenti, che a ravviare e rinsaldare le forze produttive della società. Il sentimento, e soprattutto la carità spirituale, che crearono le.antiche istituzioni pie, ora. vengono, rattemperandosi ai consigli dell’esperienza e ai precotti delle scienze economiche. All’istinto della compassione succede l’intelletto della carità. ms. post. al 1880.
243. La beneficenza è la spiritualità della questione sociale, la quale non può esser risoluta che sulla base della giustizia, ma può esser sublimata dall’opera della carità. ms. s.d.
244. La beneficenza umilia e debilita. Fatevi la carità da voi: guadagno, risparmio, lavoro; industriatevi. ms. post. al 1880.
245. La Civiltà è la Grecia, quando disse: L’intelligenza sia la regina del mondo, e la ragione sia la natura dell’uomo.
La Civiltà è Roma, quando disse: Fra eguali,, leggi eguali, e la forza di tutti faccia rispettare il diritto dì ciascuno, e la forza di ciascuno faccia rispettare il diritto di tutti.
La Civiltà è il Vangelo, quando dice: Dio Padre in Cielo, e gli uomini, figli Suoi, sulla terra; gloria a Lui in Cielo e pace in terra agii Uomini di buona volontà.
La Civiltà infine è San Paolo, quando insegna: Se l’uomo parlasse tutte le lingue, e tìonos,cesse ì segreti degli angeli, ima non avesse carità, sarebbe come bronao sonante e copie cembalo tintinnante.
300. La scuola dell’interesse è pur essa una scuola, e spesso più efficace di quella dei libri.
ms 1882.
301. La scuola di Cavour si teneva sicura di guidar la cosa pubblica quasi per diritto tradizionale. Ma la grandezza di Cavour non era nell’amministrazione. Tutta l’amministrazione sua era stata politica, e volta al gran fine d’accattar grazia e credito in Europa, e d’alimentare le sperarne nazionali; e la speranza era allora, una. forza grandissima.
Grandezza di Cavour nella politica: valersi delle opposizioni e delle discordie; scopo unico evidente, e concordia necessaria sotto la discordia stessa: Garibaldi.
Ma questo giuoco aveva i suoi pericoli; Aspromonte e Montana ve lo mostrano. Lo: Stato correva rischio di discardinarsi tutti i momenti. V’era ancora una grande, una insolubile questione: Roma ‘chiave dell’ Unità. Cavour stesso ebbe il coraggio e l’abilità di proclamarlo in faccia all’Europa. Ma avvenimenti straordinari dovevamo rendere possibile quest’ideale: – i tatti miracolosi ili Garibaldi. L’annessione non meno miracolosa di Toscana e di Emilia rendevamo esigenti le aspirazioni, giustificate le esagerazioni. – Dopo i Mille, l’Italia correva rischio di diventare ariostesca, si era perduto il senso della realtà, eravamo ancora alle dimostrazioni mazziniane.
Pure due politiche, due scuole erano naturali; due partiti in Parlamento. Gli uomini ohe volevano continuare la rivoluzione, gli uo|m;ini che volevano raffermare, regolarizzare lo Stato…
ms. s.d.
302. La scuola filosofica e la libera speculazione ebbero in Italia miracolosi inizi, in un tempo in cui le altre naiz,ioini sion avevano neppure 1’idea d’una filosofia originale: chè dal pensoso Cavalcanti al Ficino, a1 Pomponaccio, al Bruno, al Galileo, fu un luminoso solco di luce nelle tenebre delle età mistiche. Alla vera nota caratteristica della tradizione civile tra noi, da Dante fino ai dì nostri, fu, sotto varie forme — ora ghibelline, ora principesche, ora municipali, — il pertinace intento di creare di mezzo a quelle due vaste e confuse compagini che costituivano la confederazione imperiale e la repubblica cattolica, eli creare, dico, di alimentare e di mantenere una speranza almeno di uno Stato autonomo, italiano e laico.
Discuss. per la soppr. delle Fac. teol. 29 aprile 1872.
303. La scuola popolare, ecco l’utopia ohe voi siete chiamati a tradurre in realtà. Il sesto senso, o per dir meglio il senso sociale, che voi dovete dare al popolo. Questo, lasciatemela dire una santa eresia, questo importa più che lo stesso diritto elettorale. Questo sogno che, lo giuro pei gloriosi, visionari che da tre secoli sognarono la possibilità d’un’Italia grande, questo sogno…. sarà una realtà. Gli orfani dell’intelligenza troveranno ì loro tutori. L’infanzia accolta nei giardini educativi darà germi sani e anime liete, preparate dalla convivenza dei giuochi ginnastici alla fratellanza equanime e amorosa. La puerizia alternerà i primi esercizi del lavoro manuale coi primi esercizi mentali…. ms. s. a.
804. La scuola traccia la via e mostra la luce. La famiglia, la società, le ispirazioni individuali hanno a fare il resto. Educatori vogliono essere i maestri, anche quelli delle prime scuoluccie…. coll’esempio di un governo amorevole e soprattutto ragionevole, il quale agli scolaretti in quel loro primo affacciarsi ad una vita diversa, e più varia, della domestica, faccia fede della giustizia e della benevolenza onde devono essere informate le relazioni sociali. Questi i primi precetti pedagogici da raccomandare ai maestri elementari, e che si risolvono tutti in quel precetto supremo della morale in azione. E su ciò vorremmo che fossero rigidissimi censori i magistrati scolastici. Relaz. sull’obbl. scol. 10 giugno 1874.
305. La seconda vista è uno sgomento. Rivedere coloro che abbiamo amato, coloro che hanno portato con sè nella tomba la miglior parte dell’anima nostra, e provare il rimorso di non averli amati abbastanza, riascoltare le parole di speranza e di amore che traverso a tanta distanza pigliano suono di rimprovero e di condanna…. La seconda vista h uno sgomento. Hanno ragione d’aver paura dei morti. Il Battes. del Nuovo Presagio. 1880.
306. La società è paragonabile a un ente individuo. Sia pessimo, corrotto, incorreggibile: punitelo, dico, la Giustizia; sopprimetelo, dice la Necessità sociale. La Carità ha tutt’altro modo di guardare il cattivo: convertitelo al bene, guaritelo, salvatelo.
E così per i mali fisici. L’utilità sociale vorrebbe gente sana. I malvivi, i parassiti, gli infetti, gli impotenti, si avrebbero a sopprimere. La Carità ha tutt’altro modo di ragionare e di fare, cura gli incurabili, medica gli immedicabili, spera pei disperati. ms. post. Al 1880.
307. La sola gioventù è l’ispirazione, ma la virilità può essere l’esecuzione. ms. post. al 1880.
308. La sproporzione tra l’uomo e l’universo, la ragione e il problema infinito, non ci permetterà forse d’arrivare sino a Dio fàccia a faccia, ma ci permette di sentire la divinità. ms. s.d.
309. La statistica, dall’una parte promette alle questioni sociali quella medesima chiarezza e positività, che l’applicazione delle matematiche introdusse nell’astronomia; dall’altra sembra conoludere ad un disperante fatalismo, che annichila la potenza degli elementi morali e mostra l’uomo schiavo delle circostanze, e incatenato nel rigore di formule matematiche. Perciò non è raro sentir da un lato i pubblicisti appellarsi all’evidenza, delle cifre e all’irresistibile eloquenza delle progressioni numeriche, ed accorgersi intanto che il cuore, e la stessa severa ragione rifuggono da codesta ‘materializzazione delle scienze più nobili e più spirituali, e bestemmiano la luce infeconda, dei fatti, che sono perchè sono, ma non divengono perciò nè giustificati nè desiderabili. Di una nuova teoria della Statistica. 1842.
310. La storia della donna è difficile a scriversi: essa è una storia segreta, inesauribile; ma portarla fuori è impossibile. Uomini, che volete dire ohe non vi faccia torto? ms. s.d.
311. La storia delle prime età di Roma è, più che altro, una leggenda poetica, tutta piana, naturale e credibile. Argomenti perpetui di ammirazione, di lode e di esempio sono l’eroismo cittadino, l’amor patrio, la grandezza d’animo. Tre idee soprattutto, tre lezioni troviamo ripetute e glorificate in questo mirabile romanzo storico che educò per tanti secoli la gioventù-romana, e che avrebbe potuto educare anche la nostra, se i pedanti non sapessero troppo bene innestare
la noia ed il ghiaccio fino nell’ammirazione e nell’amore. Queste tre idee, ohe sono quasi a dire le virtù teologali degli antichi, eccovele: Dignità e castità nelle donne, sacerdotesse dell’onore e della santità domestica; negli uomini, sacrificio d’ogni affetto di famiglia ai doveri di cittadino; ne’ soldati, scrupolosa devozione alla disciplina. Queste arti, e il non lasciarsi vincer mai nell’animo, e l’aspettar tempo e occasioni, valsero a Roma l’imperio del Mondo, un po’ di storia. 1849.
312. La Storia Italiana è fatta per rafforzare le speranze, anzi la, fede profonda nella forza ideale. Gli è ciò che gli stranieri non capiscono. ms. s.d.
313. La Storia Italiana è la storia di una nazione che si fa e non si disfa: questo è l’importante. V’è un continuo propendere verso l’idea nazionale. ms. s.d.
314. La storia, narrandoci il passato non ci mette già innanzi l’immagine dell’avvenire, ma ci rivela la forza produttrice d’ogni avvenimento, ci aiuta a comprendere il creatore della storia: l’uomo. E chi dice l’uomo, intenda gii uomini: in grammatica coinè in filosofia. Voi sapete il proverbio: non tutto il cervello in una testa, nè tutta l’anima in ciascuna anima.
Sogni di chi non ha domito. 1852.
472. Prima che Smith proclamasse la legge del lavoro, dalla quale i discepoli sembra che abbiamo tirato la conseguenza che il lavoro è la felicità, od il fine supremo dell’uomo, Genovesi aveva dotto: il lavoro può pareggiarsi ad una pena: nondimeno bisogna amarlo perchè il lavoro onesto è Tunica sorgente della ricchezza; e Paoletti aveva aggiunto: la peggiore povertà è l’ignoranza; e Beccaria aveva concluso: non clevesi aver riguardo al lavoro in sè stesso, ma, al lavoro utile. Se alcuno si fosse curato di sciogliere il problema dell’utilità sociale, dell’ utilità morale, dell’utilità durevole e vera, avrebbe veduto quanto lai legge trovata dal Beccarla sia superiore a quella di Smith. La scienza inglese proclamò il lavoro produttivo; la scienza italiana aveva già detto il lavoro utile e onesto. Solo quando si sarà dimostrato che ogni produzione ed ogni modo di produzione ponno esser utili alla società, noi confesseremo che la teoria smithiana ha definitivamente costituita l’economia. Per ora, noi ci ostiniamo a desiderare che la vecchia scuola italia-aa trovi dei coraggiosi continuatori. Storia dell’econ. polit. 1843.
473. Prima del 1796 l’elemento storico prevaleva ancora nella nostra geografia politica; appiattati ancora dietro a un fossa taccio, una siepe, mi diploma, v’erano i ducati, i principati, le contee, i marchesati, le baronie, le pievi, le castellarne del Medio Evo. Quest’imbratto, degenerazione delle antiche verità etnografiche, fu spazzato via dai governi napoleonici, e vi furono sostituiti i scompartimenti topografici, che in tutta la settentrionale e la media Italia vennero sperimentati per molti anni, e ora dovrebbonsi rimettere a studio. Col 1815 lo spettro storico ripicchiò all’uscio. Milano, stata diciott’anui capitale della nuova Italia, riparlava ct’Insubria, di Lombardia, fin del vecchio Ducato: qua e là a Massa, a Piombino, a Lucca, a Monaco ricomparivano le Signorie gentilizie, i domimi esili, riscontro possi imi delle tribù c degli statarelli comunali. Le monarchie patrimoniali di Sardegna e di Sicilia si sognavano a sciorinare le barbare leggende dei titoli ereditarli, dotali, feudali, deditizi. Ma la terra stava salda, le tradizioni storiche parevano anche a quelli che le avevano ricollocate a capo del diritto pubblico, superstizione ed arcaismi. E però mutati i nomi e le proporzioni, le Prefetture napoleoniche rimasero Delegazioni e Intendenze, e i Dipartimenti con più italiano, ma poco fausto vocabolo chiamarono Provincie; le quali si ridussero in più angusti confini quasi tutte, o per necessità di proporzionarle ai nuovi Stati, o per gelosia di divisione e di contrappeso. Topografìa italiana 1863.
474. Prima di tutto lasciatemi dire che questo nostro 1876 è tempo da altro che da giornali. Si vive, si legge, si sa, si può, dì per dì, ora per ora: e que’ che veggon meglio sono i miopi. Dunque lasciate i libri ai topi e ai posteri, e fate giornali a fidanza, che è la stagione delle cicale. Programma per l’Arch. di Stato. 10 marzo 1876.
475. Provincia dicono i vecchi filologi, da pro-cul vincere, e nessuna provincia v’era nell’Italia romana dove la conquista venne decorata col nome di società e di federazione: “foedus et societas”. Il Forcellini definisce la provincia: “regio armis deviata in potestatem romani populi reducta, et imperio subjecta”. E brutti e umilianti anche nell’uso sono i vocaboli di provinciale, provincialità, provincialismo. Nondimeno i più recenti studi danno a questa parola un’origine manco odiosa, e secondo il Mommsen orsa potrebbe equivalere quasi a parti unite, compartimento. Topografia italiana. 1863.
476. Pur troppo le virtù che fanno la fortuna e la forza d’un tempo, poimo riuscire la mina d’altro tempo. Per questo, unica sapienza vera è la sapienza viva, la sapienza che sente e ragiona in ineziao alle moltitudini. La prima e più valida esperienza è quella del presente. Sul Nono Congr. degli Scienz. Ital. a Venezia. 1817.