Convegno organizzato nell’ambito del Festival dell’economia di Trento con la collaborazione della Fondazione Franco Demarchi di Trento presso la Fondazione Caritro (ex Camera di Commercio) via Calepina, Trento. Le motivazioni di questo incontro risiedono nel tentativo di analizzare la povertà educativa che fa da sfondo alla più generale povertà economica. Sono presenti: Elisa Bortalomedi, ricercatrice della Fondazione Demarchi, Chris Richmond responsabile di “Mygrants”, Federico Samaden presidente della Fondazione Demarchi e Noelia Garcia economista spagnola.
Interviene Federico Samaden che discute una relazione sulle strategie in atto di fronte all’incertezza globale. C’è una voce che viene da chi lavora sul campo educativo e che grida alla capacità di far diventare i giovani delle persone di valore. Questa attività attraverso i processi educativi ci porta a considerare la mancanza della capacità di porre in essere dei modelli educativi efficaci che però molto spesso molte affermazioni rimangono sulla carta. Come si traduce in pratica? Ci siamo concentrati sui territori che sono più capaci di trasformare le conoscenze in competenze che possono servire alla vita di tutti i giorni. Abbiamo cercato di ragionare in termini pragmatici per fornire un pacchetto di strumenti educativi che ci porterà presto a stipulare un protocollo con le principali istituzioni politiche territoriali ed oltre. Ogni territorio infatti ha un patrimonio a sé fatto di usi, storie e tradizioni locali. Abbiamo perciò cercato di capire l’ambiente educativo di ciascun territorio e abbiamo adottato la nostra piattaforma che si rivolge ad un target più ampio.
Interviene Chris Richmond che discute una relazione sulla start up “Mygrants” che ha l’obiettivo di mappare le competenze dei migranti in favore del loro ingresso nel mondo del lavoro. Oggi ci sono centinaia di milioni di immigrati nel mondo specialmente provenienti dall’Africa e dall’Europa dell’est. Come possiamo fare in modo che i migranti possono essere utili alle comunità sociali e civili sapendo che l’Italia è uno dei paesi con il tasso di natalità più basso al mondo. Un altro rischio è che il lavoro per cui uno ha studiato non venga poi svolto. Perciò abbiamo sviluppato una piattaforma digitale che potesse mappare le competenze pregresse, le working skills, sulla base del fabbisogno occupazionale. Il percorso si è sviluppato sulla base di decine di migliaia di dati che ci servono per il matching per l’inserimento lavorativo.
Interviene Elisa Bortolamedi che discute una relazione sui risultati del progetto “Verso una comunità educante” che indica il cammino alla ricerca delle caratteristiche per una comunità educante. Non esistono formule magiche risolutive ci sono però degli elementi che ci consentono di capire cosa facciamo. Cos’è la comunità educante? La comunità è il nostro spazio vitale, il famoso villaggio che fa crescere il bambino, ci stiamo dentro a volte ristretti a volte adagiati. L’educazione è “portare fuori”. Abbiamo scelto Pergine Valsugana che presenta aspetti ambivalenti dell’ambiente urbano e rurale. Abbiamo somministrato delle interviste esplorative secondo un “modello a trivella” che rende bene l’idea di andare a fondo in più punto per comprendere il territorio. La prima evidenza ha a che fare con la comunità educante che nessuno aveva mai sentito parlare (il questionario prevedeva undici categorie di compilatori, il campione era suddiviso in giovani e adulti). Chi fa parte del territorio è inconsapevole della comunità educante di cui fa parte. La seconda evidenza riguarda i promotori (scuola, genitori e associazioni culturali). Come si spiega l’associazione culturale tra i promotori di competenze educative? Evidentemente ci sono molti volontari che hanno lavorato per costruire delle reti sociali e ciò ci ha permesso di creare un indice universale delle competenze da utilizzare nel mercato del lavoro.
Interviene Noelia Garcia che discute una relazione sulla comunità educante in Spagna. Da noi la comunità educante è per alcuni aspetti simile a quella italiana ad esempio la percentuale di inadempienza scolastica (giovani sotto i 25 anni che non lavorano e non studiano) ma sul piano internazionale la pandemia ha velocizzato i programmi di formazione e digitalizzazione. Si passa dalle competenze necessarie al mercato del lavoro appartengono alle nuove professioni (up skills) ad un apprendimento long life learning ed entro il 2030 avremo nuovi tipi di lavoro. Tutto ciò senza dimenticare il merito: la società deve rispondere a livello lavorativo a chi è capace di soddisfare determinati requisiti. In prima posizione ci sono le competenze scientifiche che sono anche le meglio pagate ma allo stesso tempo ci sono meno donne che vi fanno parte e che riscontrano difficoltà nell’accesso del lavoro. In Italia gli iscritti ai corsi di materia esterna sono solo il 18% e pure le bambine fanno difficoltà a credere in sé stesse fin dai primi anni di scuola. Si tratta di materie in cui ci sarà un maggiore investimento e questi ambiti cresceranno di più grazie alla transizione ecologica. Se non abbiamo ragazze preparate in tali settori avremo più problemi a garantire la parità di genere. A livello europeo siamo al 60%.
Interviene Federico Samaden che discute una relazione sul sistema scolastico italiano e come si può aprire all’esterno. La scuola da sempre fa progetti che vanno oltre le mura e si rivolgono al territorio ma molto spesso rimangono aleatori. Lo scopo del nostro progetto è di dare stabilità alle idee e produrre risultati nel tempo. Le scuole devono aprirsi non con i progetti ma con la valutazione. Le scuole difendono coi denti il sistema tradizionale di trasmissione della cultura italiana e ciò produce delle “gabbie” di disvalore (gabbia dei consigli di classe, gabbia delle verifiche, etc.). La vera rivoluzione che proponiamo sta nei concetti: non la rappresentanza ma le competenze. Il nostro ruolo è di obbligare le scuole ad aprirsi facendoci entrare il territorio (associazioni culturali, associazioni sportive, associazioni di volontariato). Più il mondo va avanti nelle tecnologie, più la scuola resiste con la paura che la cultura italiana possa essere messa a repentaglio. A fronte di migliaia di convegni l’attenzione sui giovani deve provenire dalla comunità che si fa “educante” perché entra finalmente nelle scuole. Quando parliamo di accompagnamento alla vita parliamo di un atteggiamento nuovo che deve essere trasmesso nel nostro sistema educativo fatto di proposte concrete ed ambiziose.
Interviene Chris Richmond che discute una relazione sulle opportunità lavorative della nuova piattaforma. I giovani devono scegliere cosa studiare e cosa imparare. La scuola deve diventare un centro di empowerment di modo che chiunque possa riscoprire le abilità che possiede in potenza e che non conosce perché ha vissuto in un sistema che trasmette ma che non educa. Parliamo di “continuous evalutation” senza dare peso alle cose ma facendo in modo che l’effort sia ridotto. Facciamo in modo che tutte le conoscenze che si sviluppano in modo naturale possono essere messe al servizio degli altri. Potremo entrare nel nostro database ed estrarre le persone che hanno le giuste competenze e che si candidano per un concorso possono sapere in tempo reale che valore ha avuto il suo profilo. Grazie al digitale facciamo in modo che le due parti possano parlarsi e valorizzare le richieste di ciascuno. Le persone che fanno il lavoro per cui hanno studiato saranno più felici e ci saranno meno problemi in relazione alla fuoriuscita dal mercato del lavoro e quindi meno povertà.
Interviene Elisa Bortolamedi che discute una relazione sulla fattibilità degli indici di ricerca nel progetto “Verso una comunità educante”. Abbiamo trovato degli indicatori sugli operatori sociali che spesso sono sottopagati dagli enti locali in cui lavorano ma anche sminuiti dai loro colleghi più giovani. Altri indicatori riguardano i gruppi dei pari, lo studio delle reti sociali, l’inserimento del mondo del lavoro e relativo supporto. Le attività culturali, l’abitare, le pari opportunità, le politiche di sostegno alla genitorialità sono tutti settori di ricerca che confermano l’esistenza di nodi e connessioni di una rete che però risulta frammentata che non consente una scelta adeguata per ciò che un giovane vorrebbe fare “da grande”. Un’altra risorsa sono gli indicatori di “Save the children” tra cui la copertura dei posti nei nidi e asili comunali o convenzionati che vede, sopratutto la nord, una maggioranza di mamme che lavorano. I risultati della ricerca confermano la conoscenza e l’importanza dei progetti contro la dispersione scolastica e l’organizzazione delle biblioteche pubbliche e dei musei. La conseguenza è la possibilità di aumentare la consapevolezza della cittadinanza sul problema educativo dei giovani e di poter aiutare la creazione di un sistema educativo che consenta loro di vivere la transizione all’età adulta in maniera sana e coinvolgente.
