Salmo 50(51) Misericordia Dio misericordia

 

Pochi popoli hanno cantato con tanto entusiasmo come gli ebrei la bellezza del creato (v. 12) per denunciare le proprie colpe (vv. 4, 5, 6, 7, 11, 15). Nel giudaismo il peccato è visto come parte integrante della condizione umana. Il genere letterario è la supplica (7 salmi penitenziali) però insiste molto sul cammino di riconciliazione per enfatizzare la misericordia di Dio che è più grande dei peccati umani.

Mi- Re Mi- A. Misericordia, Dio, misericordia. Mi- Re Mi- Misericordia, Dio, misericordia.

Mi- La-
C. Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; Mi- nella tua grande bontà cancella il mio peccato. La- Lavami da tutte le mie colpe, Mi- mondami dal mio peccato.

Pietà, amore e misericordia sono i 3 termini coi quali si cerca di descrivere il peccato, il più grande dramma della condizione umana. Il termine “iniquità” riflette la ribellione contro i superiori, contro l’autorità di Dio (Gn 3). Il termine “colpe” indica una manipolazione intenzionale di ciò che dovrebbe essere puro. Il termine “lavami” era usato dai tintori nel lavoro delle pelli. Nella cultura ebraica l’idea di sacrificio implica l’offerta dell’uomo anche se in realtà sull’altare ci andava della selvaggina, perciò, “rendimi puro” significa diventare un’offerta esistenziale (corpo sacramentale). L’orante domanda che Dio assuma l’iniziativa e non è quindi un brano dolorista. Segue la confessione del poeta:

C. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinnanzi. Contro te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto.

Non è una confessione puramente intellettuale (atto di dolore) ma è qualcosa di personificato (se l’autore del salmo fosse Davide starebbe parlando della moglie di Uria). Il giudizio qui non serve a comminare una sanzione ma per ristabilire le giuste relazioni. Dio è giusto quando fa percepire il danno di una relazione scissa con lui o quando fa di tutto per suscitare nell’uomo la fedeltà perduta. In tale prospettiva il peccato è visto come un tradimento (assenza di fiducia).

C. Perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio. Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre.

La teologia ebraica non conosce il peccato originale e tende a ricondurre il male del popolo ai patriarchi e alle generazioni successive tuttavia il rimando alla “madre” non giustifica dalle proprie colpe (cfr. Salmo 36). Martin Lutero disse che il salmo ha lo scopo di magnificare il peccato ma se così fosse la grandezza di Dio ne sarebbe offuscata.

C. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza. Purificami con issòpo e sarò mondo; lavami e sarò più bianco della neve.

Conoscere i propri limiti è frutto di un’educazione divina perciò qui il poeta ricorre al simbolismo di due elementi presenti in natura. L’issopo è una pianta i cui rami erano usati come aspersorio nel rito del sangue; l’issopo compare anche nella passione di Cristo (Gv 19,29). È un segno di purificazione, che viene completato con quello della neve come richiama il profeta Isaia (Is 1,18). La neve è rara in Palestina e così il paragone diventa ancora più suggestivo. Il peccato è visto come una macchia che richiede un’abluzione di natura sacrale e non una semplice detersione con il sapone. Il peccato rende impossibile il contatto con Dio che invece richiede una purificazione radicale, un cammino di conversione, come ricorda anche il profeta Ezechiele (Ez 36,25-27). Allora l’uomo è reso più bianco della neve, realtà che nessun conciatore potrebbe realizzare.

C. Fammi sentire gioia e allegria, esulteranno le ossa che hai fiaccato. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.

Qui il peccato è paragonato a un debito e si chiede al Signore di cancellarlo. Questa metafora fa comprendere come fosse solo il creditore ad essere in grado di rimettere il debito. L’atto della remissione del debito esprime bene la conclusione della vicenda, il ripristino della relazione, permettendo a chi era vincolato dal peccato di essere liberato dagli obblighi pregressi e di essere abilitato alla nuova relazione: non più quella fondata sul dovere di pagare qualcosa (indulgenza), ma su un sentimento di amore infinito (grazia).

C. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo Santo Spirito.

Il segno della grazia è descritto con tre predicati collegati allo «spirito» e ciò perchè il vero perdono comporta una nuova creazione. Il termine «creare» (barà) nella Bibbia ebraica non indica solo l’opera creatrice, ma ogni tipo di azione a essa riconducibile, come ad esempio, la comunità dei credenti entro cui aleggia la presenza divina.

C. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.

Ora la sua voce diventa testimonianza fatta udire agli «erranti», cioè ai peccatori, coloro che hanno agito in modo egoista. Questi, più che biasimati dai rimproveri, saranno indotti a tornare a Dio dalla letizia dell’uomo redento che, trasformato dai doni dello Spirito, può impegnarsi come agente di conversione.

C. Liberami dal sangue, o Dio, mia salvezza, la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode.

La riconciliazione con Dio comporta l’esigenza di uscire dal silenzio per annunciare ciò che è avvenuto. Il perdono trasforma dunque l’empio in evangelizzatore dei peccatori.

C. Poiché non gradisci il sacrificio e, se offro un olocausto, non lo accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.

Il Salmo 49(50) aveva criticato la liturgia sacrificale incoerente e superficiale e proponeva il sacrificio della lode. Qua il tema viene ripreso. Il poeta usa la figura retorica della negazione paradossale, con la quale non intende rifiutare il culto sacrificale in quanto tale, ma dice che questo deve essere riformato. Per Dio non è importante la forma dei gesti rituali, ma la conversione autentica. Se lo spirito opera nell’uomo, questi riceve un perdono mediante il quale può offrire a Dio il vero sacrificio.

C. Nel tuo amore fa’ grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme. Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione; allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

Questi versetti non fanno parte del salmo originario e sono un’aggiunta posteriore, di epoca postesilica quando, dopo il ritorno dall’esilio, si desidera la ricostruzione delle mura di Gerusalemme. Il poeta ha colto una realtà importante: è la ri-creazione del cuore puro che permette di offrire sacrifici legittimi. Il rituale levitico è perfettamente rispettato, nonostante riservava attenzione solo all’integrità della vittima, senza coinvolgimento dell’offerente. Lo stesso Dio che solo può creare il cuore puro è colui che solo può rialzare le mura di Gerusalemme. Ma l’autentico desiderio dell’orante non è certo una città di pietre, ma una città santa, fatta di peccatori perdonati. Solo il rinnovamento della comunità, solo la novità permessa dal perdono e dal pentimento, consente un culto retto. Il peccato del singolo, però, non è percepito come estraneo alla rovina della comunità e, a sua volta, il perdono ricevuto è una benedizione che si estende a tutti. E così la rigenerazione del singolo contribuisce alla riedificazione della città, finita in rovina a causa dei molti peccati, e la rinascita di Sion inizia con la ri-creazione dei suoi abitanti.

Fonti:

Ravasi G., I salmi vol. 2, Edb, Brescia, 1984.
Resuscitò. Canti per le comunità neocatecumenali, Fondazione Famiglia di Nazareth, Roma, 2017.
Zani L., I salmi. Preghiera per vivere, Ancora, Milano, 2003.

Lascia un commento