Queste che seguono sono una serie di annotazioni, commenti e citazioni di testi rilevati nel periodo immediatamente successivo alla pubblicazione nel 2012 del libro “Bibliografia di servizio sociale 1925-1945”. L’idea di approfondire tale argomento mi giunse qualche anno fa, durante gli studi di specializzazione per assistente sociale, in quanto si tratta di un periodo storico non molto conosciuto dalle giovani generazioni e un po’ trascurato dalla letteratura di categoria. Resta il fatto che la storia delle origini del servizio sociale soffre di una vera e propria “Damnatio memoriae” non solo dell’assistenza pubblica pre-repubblicana ma persino nella legislazione degli Stati pre-unitari.
Per tali motivi ho scelto di combinare tutte le bibliografie degli articoli pubblicati sulle riviste specializzate di politica e servizio sociale tra il 1925 ed il 1965.
Il metodo preso in considerazione per la realizzazione di questo lavoro segue quello di una raccolta bibliografica degli articoli di periodici, delle monografie e dei collettanei, sintetizzati dalle fonti più autorevoli dell’epoca. Lo scopo dell’opera è essenzialmente illustrativo-divulgativo rivolto a studenti, ricercatori e quanti altri sono interessati a saperne di più su questo settore disciplinare.
Gli articoli relativi al periodo 1945-1965 sono in gran parte tratti dalla Bibliografia di Corsini-Florea-Urbini che parte da un’ipotesi ben precisa: verificare l’inizio della storia del servizio sociale a partire dal suo sviluppo che gli autori identificano con il secondo dopoguerra. Ma gli autori non potevano sapere che la maggior parte di enti assistenziali creati durante il fascismo (ECA, ONMI, ENAOLI) hanno subito una riforma solo nel 1977? Inoltre il termine “sviluppo” già di per sé è ingannevole in quanto lascia intendere che già ci sia stata una data di nascita. Il libro inoltre rimane ai margini dei grandi eventi della storia italiana come ad esempio la riforma del servizio sanitario nazionale (1978), la riforma Basaglia (1978), il riconoscimento legale del titolo di studio (1987), etc.
Il libro di Corsini-Florea-Urbini, tuttavia, rimane importante perché costituisce una “radiografia” di uno dei periodi più intensi della storia italiana, i “mitici” anni ’60, ma anche più contraddittori con il “boom” economico ed allo stesso tempo la “crisi” dei servizi sociali. A tutto ciò bisogna aggiungere la trasformazione del mercato editoriale e delle biblioteche specializzate inizialmente ubicate presso le scuole e poi trasferite negli istituti accademici. Probabilmente gli autori avevano intuito il destino cui andavano incontro i materiali cartecei soggetti a usura e scarto. Questo è anche uno dei motivi per cui si è scelto di non andare troppo a ritroso del tempo.
Molto spesso i problemi di catalogazione derivano dal pessimo stato di conservazione dei materiali, aggregati approssimativamente con nastro adesivo o con rilegature sfilacciate. A tal proposito, per le edizioni rilegate dove non si è potuto evincere il fascicolo del periodico, si è assegnato il titolo della rivista seguito dal numero della prima pagina.
La compilazione consta di una serie di categorie, ciascuna con in media un centinaio di articoli, per un totale di oltre cinquanta riviste consultabili. Nel primo gruppo si contempla la sezione dedicata ai minori ed alla famiglia considerando che la tutela dell’infanzia è uno degli obiettivi prediletti del servizio sociale. Rientrano in tale categoria le notizie relative alle colonie climatiche, alla tutela della famiglia e della donna. La sezione più cospicua è rappresentata dalla “Previdenza e assistenza sociale” che raccoglie l’attività assicurativa sugli inabili e sui lavoratori. Segue la categoria sulla “Devianza ed esecuzione penale” che tratta del servizio sociale penitenziario e della risocializzazione dei detenuti. La sezione di “Politica sociale” comprende tutti quei temi che non rientrano strettamente nell’assistenza sociale (risparmio, edilizia, opere pubbliche, etc.) ma che comunque concorrono al benessere collettivo.
La sezione “Ricerca e statistica sociale” è dedicata agli studi di approfondimento ed analisi dei problemi sociali. In “Arti e mestieri” si è voluto dare spazio anche ad altre professioni d’aiuto. Segue il gruppo sull’assistenza privata mentre “Lavoro e dopolavoro” è dedicata a tutti i problemi di ergonomia. La sezione successiva comprende un tema delicato quale quello dell’assistenza agli italiani all’estero, dell’analisi demografica e della pianificazione economica. La sezione “Formazione ed istruzione” comprende gli articoli sulla scuola e sulla formazione professionale. Seguono le sezioni sui servizi sanitari e “stampa estera” in cui sono stati aggiunti sia gli argomenti relativi a fatti o personaggi all’estero sia autori ed editori stranieri. Si noti di come nel periodo 1945-1965 aumentano vertiginosamente gli scrittori stranieri specialmente inglesi e americani. Si noti anche di come il “case-work” risulti ridondante ed enfatizzato, si può parlare di tentativo di “colonizzazione americana” dei servizi sociali italiani?
L’ultima sezione è dedicata agli articoli di assistenza sociale correlati all’antifascismo; si tratta di un periodo oscuro che vede molte esperienze realizzate in regime di clandestinità e che merita senza dubbio degli approfondimenti.
Per la scelta della classificazione, si è preferito seguire il criterio adoperato da alcuni testi ufficiali dell’epoca sebbene «i limiti di separazione tra categorie non sono sempre netti e sicuri e non di rado appaiono delle opere che trovano posto in un dato gruppo, mentre possono rientrare anche in un altro» (Bibliografia della civiltà del fascismo, p. X). Si è voluto, quindi, effettuare una selezione come, ad es., sulle opere scritte dagli stessi autori ma pubblicati su riviste diverse, così come su quelle che avevano esclusivo carattere propagandistico o celebrativo, fermo restando la pluralità dei temi trattati, per non incorrere in un eccessivo agglomerato di indicazioni che avrebbe finito per intralciare piuttosto che agevolare la ricerca.
Una categorizzazione totale del resto è impossibile, es. il servizio sociale di fabbrica sta in “Lavoro e dopolavoro” mentre “assistente sociale di fabbrica” e “assistente sociale” sta in “arti e mestieri”. Nel dopoguerra nascono nuove categorie come il “servizio sociale di comunità” che dovrebbe tradurre l’inglese “community care” e ne scompaiono altre ad es. “Antifascismo”. La salute mentale che durante il fascismo era un problema di polizia è stato trasferito integralmente nella categoria “salute ed eugenica”. Uno degli istituti di assistenza generica più rinomati del regime fascista, l’Ente comunale di assistenza, che assorbì le competenze delle Congregazioni di carità, si trova nella categoria “Previdenza e assistenza” perché di fatto era un ente pubblico sebbene le Congregazioni di carità siano nate come enti privati ma poi sono state trasferite nell’ete pubblico ECA. I problemi delinquenziali sono stati uniti a quelli degli adulti (“Devianza ed esecuzione penale”) mentre così come i minorenni anormali psichici che si trovano in “Salute e igiene mentale”. Il periodo 1925-1965 non dedica molto spazio sugli anziani che quindi sono stati inseriti nella categoria “Previdenza e assistenza sociale” considerando sia quelli che godevano di una pensione sia di coloro che, pur non avendola, beneficiavano dell’assistenza generica di base. Il libro di Corsini-Florea-Urbini riporta anche la nuova categoria “Organizzazione sindacale e culturale degli assistenti sociali” che considera l’uscita degli assistenti sociali dal sindacato dei professionisti e degli artisti (FIDAPA) e al lungo cammino per il riconoscimento legale della professione (che però avverrà solo negli anni ’80).
È curioso di come il libro di Corsini-Florea-Urbini si giustifichi sulle lacune del periodo anteriore alla seconda guerra mondiale sebbene poi fa iniziare la bibliografia con la categoria “Storia del servizio sociale”. Gli autori si giustificano con “il limitato numero di articoli” ma la motivazione non regge. Il libro di Corsini-Florea-Urbini, inoltre, non elenca gli autori in ordine cronologico ma alfabetico e non senza un motivo. Ho riscontrato infatti molte lacune nelle date perciò ho pensato che gli autori abbiano trovato un “escamotage” per evitare brutte figure. Ho rimediato a questa lacuna.
Una considerazione a parte meritano le recensioni, laddove non è stato possibile reperire la fonte originale si tratta di un genere letterario non sempre ricercato ma che, nel nostro caso, rappresenta senza dubbio un prezioso contributo per l’evidenza storiografica. In rari casi, specialmente sui materiali tratti dai quotidiani, può capitare che il lettore si imbatti nella sigla s.t. (senza titolo) perché magari l’autore si è limitato a firmare qualche contributo, una “spalla” o un fondo pagina, lasciando libera l’intestazione.
La catalogazione, che rispetta l’ordine cronologico della produzione e non quello alfabetico, inizia nel 1925 quando il regime assunse i caratteri totalitari e termina nel 1965 con la fine della guerra fredda e la divisione del mondo in due blocchi ideologici.
Il libro non ha pretese di esaustività ma costituisce una prima ricerca ed elaborazione, ma se incontrasse l’interesse di studiosi ed operatori, può assumere la forma di un lavoro più ampio e sistematico.
Virginio Bertinelli, nella prefazione al libro di Corsini-Florea-Urbini, fa notare che “il servizio sociale pur non avendo ancora raggiunto una chiara e definitiva affermazione” (Bibliografia italiana del servizio sociale 1945-1965, p. 5) ormai costituiva una realtà consolidata e che il suo sviluppo era avvenuto in condizioni difficili. L’autore poi conclude con la speranza che tale atmosfera di collaborazione possa rimanere integra il che equivale ad un superamento degli estremismi.
Ecco le motivazioni per la redazione di una bibliografia:
lo sviluppo bibliografico procede di pari passo con il riconoscimento identitario;
uno strumento di ricerca per gli studi di teoria, metodo e campi di applicazione;
conservare le tracce delle esperienze più interessanti a vantaggio delle future generazioni di assistenti sociali.
Per il futuro sarebbe auspicabile l’incremento dei programmi di digitalizzazione come già si sta facendo in molte regioni (https://memoriesociali.it , http://digitale.bnc.roma.sbn.it , https://fondazioneolivetti.it , etc).
Il concetto di “assistenza” è già presente prima del fascismo per indicare attività sociali di beneficenza presso il domicilio dei bisognosi, poi si sviluppò in previdenza, protezione e sicurezza.
Bernardino Ramazzini (1633-1714) in “Malattie degli artefici” intuì il legame tra sanità e lavoro e ipotizzò le prime rudimentali norme di assicurazione e protezione sociale. All’inizio del XX secolo l’assistenza è intesa a combattere la morbilità, la mortalità e l’invalidità. Gli scienziati sulla spinta di Lombroso e Ferri ritenevano che il carattere e la tempra di un popolo sono condizionate dalle caratteristiche fisiche e biologiche, in questo senso le politiche sociali hanno un orientamento eugenetico, e si basano sulla medicina sociale introdotta da Giuseppe Tropeano.
Nel “Bollettino associazioni nazionali ECA” del 1946 sta scritto che per ogni utente è rilasciato un libretto di assistenza (Bollettino associazioni nazionali ECA, 1946, Milano, p. 9), che l’Associazione nazionale enti comunali di assistenza (Anea) devolve 1/3 di rendite all’Onmi (Id., p. 11), che offre tra l’altro refettori e ricoveri per senza fissa dimora, buoni pasto, sussidi, vestiario, combustibile per usi domestici, medicine, avviamento al lavoro, macchine da lavoro, borse di studio (Id., p. 20), che il controllo di spesa è affidato ai delegati del governo (Id., p. 43), che la legislazione assistenziale che segue alla Legge Crispi 17.07.1890 n.6972 necessita di una revisione parlamentare.
L’Usis (United states information service) è un ente di documentazione cinematografica che aveva sede in diverse città tra cui Napoli (via Medina, 24).
“L’assistenza è sociale, non guarda all’individuo ma alla collettività realizzata ed espressa nello Stato” (Lo Monaco Aprile Attilio, La politica assistenziale dell’Italia fascista, Roma, anonima romana editore, 1930, p. 6).
(L’assistenza sociale) “mira a rendere la nuove generazione sempre più capaci degli alti compiti assegnati dallo stato (…) pur tuttavia (…) interviene anche per difendere la collettività contro gli elementi passivi e parassitari”(…) come azione di difesa si rivolge anche a favore di individui inutili per la collettività (Id., p. 7) (…) per es. la ospedalizzazione di un demente pericoloso o il ricovero di un accattone può concorrere indirettamente alla tutela del ordine pubblico (Id, p. 8) (…) l’assistenza sociale in senso fascista non è l’azione fredda e burocratica e quasi meccanica di organi schiavi di una formula teorica (es. l’organicismo marxista) chiusi in una sterile intransigenza e refrattari ad ogni concezione realistica e umana della vita in quanto l’azione assistenziale partecipa alla valorizzazione ed esaltazione degli elementi spirituali della vita nazionale (…) la previdenza che costituisce larga parte dell’assistenza sociale è ancora regolata da concetti individualistici (Id., 11) avendo l’assistenza sociale un carattere di assoluta necessità. L’esercizio di essa è demandato ad organi statali o ad enti inquadrati nell’ordinamento giuridico dello stato (cfr. art. 359 c.p. che tutela le professioni per attività necessarie, p. 12). Per impulso della CGII sono sorti a Roma, Napoli, Genova, Torino e Milano presso i centri industriali i policlinici del lavoro che offrono gratis cure mediche agli operai e ai loro familiari (Id., p. 278). Le aziende che assumono assistenti sociali sono De Angeli Frua, Breda di Milano, Cantoni di Legnano, Fiat di Torino, zuccherificio di Pontelongo, De Micheli di Firenze, Monte Amiata, Viscosa di Roma (Id., p. 282). Solo nel corso del 1929 le assistenti sociali si sono dovute occupare di circa 1.880 pratiche tra cui infortuni di lavoro, pensioni vecchiaia, pensioni invalidità, assegni materiali, contributi sulle malattie, etc. (…) i lavoratori ricorrono fiduciosi alle assistenti sociali richiedendo loro il consiglio e l’aiuto (Id., p. 281). Molte aziende sono ubicate nei pressi di un policlinico mantenuto a spese della fabbrica. Hanno creato abitazioni, dormitori bagni, refettori, convitti, ricreatori, cinematografo, biblioteca, asili, colonie climatiche, insomma dei veri e propri villaggi industriali (Id., p. 282), convinti gli industriali di una maggiore assistenza come condizione necessaria di una maggiore produzione, secondo il modello dell’organizzazione scientifica del lavoro e del modello corporativo che impone alle assicurazione professionali di esercitare al proprio interno un azione selettiva rivolta a migliorare la tecnica e l’organizzazione.
Si cita un corso per propagandiste agrarie per affiancare donne colte all’opera de sindacati tecnici e agricoltura (Confederazione nazionale sindacati fascisti professioni e arti, Annuario 1934, Roma, p. 1025).
Il Papa con l’enciclica “Casti connubii” del 1933 ha condannato le sterilizzazioni naziste, nel 1931 con l’enciclica “Non abbiamo bisogno” si era espresso in tono altrettanto biasimevoli verso la soppressione dell’Azione Cattolica” (Bendiscioli M., neopaganesimo razzista, Roma, Morcelliana, 1938, p. 68). In Germania dal 1934 al 1937 vi furono 20.000 pratiche di sterilizzazione verso handicappati, devianti e tossicomani, anche se dopo il 1937 ci fu un rallentamento a causa delle conseguenze psichiche che subivano le vittime. Contro il comunismo il Papa scrisse “Divini redemptoris”.
Sta scritto “beneficenza è l’opera di soccorso di origine privata e discrezionale” (Manuale dell’addetto sociale, Milano, Acli, 1957, p. 27) assistenza “sorretta da norme particolari”, assistenza sociale “è l’attuazione con tecnica di mezzi dell’assistenza” (Id., p. 229), poi ancora previdenza “è l’accantonamento obbligatorio del risparmio di singoli o gruppi sociali” (Id., p. 22). Ecco dunque l’evoluzione del servizio sociale in quattro tappe: Chiesa, stato, università e banche. Dal 1925 al 1942 funzionava il Patronato Nazionale che suppliva tutti i compiti di tutela dei lavoratori: assicurazione, cure mediche, pensioni, assegni, poi dal 1943 tali competenze passarono all’Inam. Le Acli negli anni ’50 introdussero la “Giornata nazionale dell’assistenza sociale” che consisteva in una sorta di manifestazione propagandistica: la propaganda è importante perché prevenire è meglio che curare (Id., p. 43).
Al 31 dicembre 1942 il servizio sociale di fabbrica era impiegato in 1308 fabbriche in favore di 900.000 operai (…) nel dopoguerra “il servizio da taluni fu visto con sospetto come un tentativo da parte dei padroni di strappare il lavoratore all’organizzazione sindacale o peggio di soffocare in lui miglioramenti ben più sostanziali (Colombo U., Principi e ordinamenti dell’assistenza sociale, Milano, Giuffrè, 1954, p. 402). Sta scritto di una casa del manicomio a Napoli gestita dall’Enagem del ministero del lavoro (Id., p. 391).
Sta scritto che la scuola superiore di assistenza sociale di fabbrica di San Gregorio al Celio, che originariamente era di livello “non universitario”, è stata assunta dall’Onarmo e che diplomava gli studenti in 24 mesi (G.C., Assistenti sociali, “Enciclopedia italiana”, appendice II A-H, Roma, Treccani, 1948, p. 291, pp. 291-92).
«La legge 3 aprile 1926, fra le condizioni richieste per il legale riconoscimento delle Associazioni sindacali, impone che queste, «oltre gli scopi di tutela degli interessi economici e morali dei loro soci, debbono proporre di perseguire e perseguano effettivamente scopi di assistenza, di istruzione e di educazione morale e nazionale dei medesimi» (art. 1).
La Carta del Lavoro precisa meglio i compiti delle associazioni quando dice: «è compito delle associazioni di lavoratori la tutela dei loro rappresentanti nelle pratiche amministrative e giudiziarie relative all’assicurazione infortuni ed alle assicurazioni sociali» (dichiarazione XXVIII).
«L’assistenza ai propri rappresentati, soci e non soci, è un diritto e un dovere delle assicurazioni professionali. Queste debbono esercitare direttamente le loro funzioni di assistenza né possono delegarle ad altri enti od istituti, se non per obiettivi di indole generale, eccedenti gli interessi delle singole categorie» (dichiarazione XXIX).
Fra i servizi generali di assistenza, creati dalle associazioni, in conformità ai principi sanciti nella legge e nella Carta del Lavoro, bisogna ricordare il Patronato Nazionale per l’assistenza sociale. Il Patronato ha però una sua storia che precede la legge del 3 aprile 1926.
Furono le organizzazioni sindacali fasciste che iniziarono i primi esperimenti di una assistenza sociale fascista e, prima fra tutte, la Federazione Provinciale Genovese che, per disposizioni della Confederazione Corporazioni Sindacali, nel maggio 1922 creava il «Patronato Nazionale Medico- Legale per, gli Infortuni Agricoli, Industriali e per le Assicurazioni Sociali», istituito con decreto ministeriale del 26 giugno 1925, a sensi del R. decreto- legge 23 agosto 1917, n. 1450 e del R. decreto 30 dicembre 1923, n. 3184. Così sorsero i primi uffici provinciali del patronato, che dovevano assolvere i compiti sino allora attuati, dai patrocinatori privati con i loro uffici di assistenza infortunistica.
L’emanazione della Carta del Lavoro ne consigliò la revisione e così, con il decreto ministeriale 24 dicembre 1927 sull’ordinamento del Patronato nazionale per l’assistenza sociale, venne data questa nuova denominazione e nel contempo ne fu modificato lo statuto. Però di fronte all’allargarsi delle provvidenze a favore dei lavoratori e in conseguenza, del loro bisogno di assistenza, i limiti imposti dallo statuto del 1927 sembrarono ugualmente troppo ristretti. Così, col decreto del Ministro per le Corporazioni del 27 settembre 1930, fu approvato il nuovo statuto del P.N.A.S., a termini del quale fu ad esso affidato non solo l’assistenza dei lavoratori nell’ambito delle assicurazioni sociali, ma anche nelle vertenze relative alle assicurazioni infortuni individuali e collettive, stipulati extra legem, nonché l’assistenza ai connazionali rimpatriati e quella generica dei lavoratori.
All’articolo 1 dello Statuto è detto: «Il Patronato Nazionale per l’assistenza sociale costituisce, ai termini della dichiarazione XXIX della Carta del Lavoro, l’organo tecnico a mezzo del quale le Confederazioni nazionali fasciste dei lavoratori adempiono alle funzioni di assistenza e di tutela dei propri rappresentati nelle pratiche amministrative e giudiziarie, relative all’assicurazione infortuni e alle assicurazioni e previdenze sociali in genere».
Questo statuto, che è ancora in vigore, ha dato al Patronato compiti veramente ampi e che sono suscettibili oggi di una maggiore e più organica estensione onde fare di esso l’organo vero e completo di tutta l’assistenza, da quella legale a quella igienico-sanitaria, che le associazioni professionali devono garantire ai propri associati» (PNF, La politica sociale del fascismo, Roma, Libreria dello Stato, 1938, pp. 61-62).
I compiti dell’assistente sociale riguardano l’inserimento e l’integrazione sociale del novizio o dell’apprendista, previdenza, prevenzione infortuni, controllo degli operai in malattia, coordinamento delle opere assistenziali, es. colonie, dopolavoro, asili, mense, biblioteche, etc. “a questo si deve aggiungere l’azione educativa, morale e spirituale” (Id., p. 11). Poiché le commissioni di fabbrica era state soppresse durante il fascismo, gli operai riconoscevano alle assistenti sociali un ruolo di intermediari tra i padroni e i lavoratori (Id., p. 37). La prima scuola di servizio sociale fu fondata ad Amsterdam nel 1899 (Id., p. 40).
Paolina Tarugi dice che prima del 1920 a Milano presso l’unione femminile nazionale e umanitaria furono istituiti gli uffici di indicazione e assistenza che fu tacciata come “esperimento di servizio sociale” (Paolina Tarugi, Appunti di servizio sociale, Milano, Unsass, 1954, p. 66). L’IIAS sorse a Milano nel 1920 e fu voluto da un gruppo di accademici e imprenditori filantropi con lo scopo di avviare degli addetti con compiti di segretariato sociale “in reminiscenza dei segretariati del popolo allora in uso” (Id., p. 67) presso le fabbriche e le manifatture locali. Non chiaro se questo istituto potesse assumere solo operatori o anche formare studenti. Tuttavia è da pensare che se i fondatori furono accademici anche un minimo di preparazione ce l’avessero anche gli operatori formati. Questo istituto nel 1928 fu assunto dalla confindustria che la diresse fino al 1945. Paolina Tarugi afferma che dopo questa data solo a Milano e Torino sopravvisse l’attività di assistenza sociale di fabbrica ma sotto l’egida di enti diversi (Id., p. 67). La Tarugi è concorde nel ritenere che la prima scuola è sorta a Roma nel 1928 che fino al 1943 fu l’unica scuola italiana. Questo termine (unica) non deve essere preso in senso riduttivo in quanto garantiva quella omogeneità e integrazione della formazione che sarà perduta nel dopo guerra con la frammentazione della scuola private.
Nel 1934 si fa cenno a un servizio sociale creato dal OSLI (Organizzazione sindacale lavoratori industria). Il commendatore Giani fondò tra il 1919 e il 1921 a Roma quello che in seguito divenne l’Opera nazionale dopolavoro (OND); sempre in quegli anni e nel medesimo luogo Ettore Levi fondò l’Istituto Igiene Assistenza Sociale (IIAS) che fu assunto dall’istituto di medicina sociale, la Tarugi accenna all’introduzione del servizio sociale familiare presso l’Istituto case popolari Milano (ICPM) negli anni 1923 e 1924 anche qui tacciati di esperimenti. Un altro esperimento fu introdotto presso la federazione gente di mare “in favore dei marittimi” di Napoli, Genova, Trieste, Messina, Torre del greco, Livorno, etc. (Id., p. 68). Non sapiamo in cosa consistevano questi esperimenti se non assumere del personale sulla scia del IIAS di Milano. Ancora la Tarugi parla di servizio sociale ospedaliero introdotto nei primi anni ’20 presso 44 sanatori gestiti dal INPS (Id., p. 68). È naturale ipotizzare che tutti questi esperimenti avessero finalità ergonomiche cioè di prevenire la diffusione di malattie presso la massa operaia e così incrementare la produttività e l’economia. La Tarugi afferma che “dopo il 1945 molti elementi professionali non ebbero più la possibilità di continuare l’opera” (Id., p. 68). A partire dal 1946 sorsero una miriade di scuole, senza un piano preordinato, anche sotto i finanziamenti del AAI. Complessivamente la Tarugi individua otto aree di intervento del servizio sociale italiano (Id., pp. 68-84):
- industriale: con compiti di “prevenzione infortuni” e “cure delle nevrosi” (p. 73) di concerto con gli psicologi di fabbrica;
- famiglia: tramite visite domiciliari ma con fini educativi;
- sanitario: presso gli ospedali e i sanatori;
- scolastico: prevenzione, orientamento professionale e integrazione socio sanitaria;
- medico psico pedagogico: portatori di handicap, ritardati e caratteriali;
- penale: nel 1934 furono previsti 4 riformatori per minori in realtà ne funzionarono soltanto due (Roma e Milano);
- municipale: presso gli ECA per l’avviamento al lavoro e monitoraggio dei poveri;
- militare: riservato alle famiglie dei soldati, per il “disbrigo di pratiche per assistenza morale e materiale” (p. 82) presso il comando di zona area territoriale di Milano;
Sta scritto che “si concreta specialmente in Italia una legislazione assistenziale basata sul principio della dignità umana e della solidarietà nazionale che assorbe e interpreta in se lo spirito latino e cristiano della carità” (Id., p. 121). Camillo De Lellis, abruzzese, discepolo di Filippo Neri, ottenne l’autorizzazione da papa Sisto V di apporre una croce rossa sull’abito e sul mantello per sé e per i suoi discepoli nel ordine religioso dei “Ministri degli infermi” portando soccorso sui campi di battaglia degli italiani all’estero. Non si tratta della vera e propria fondazione della CRI ma in un certo senso ne rappresenta l’antesignano per eccellenza.
La rivista “Assistenza sociale agricola” dopo una serie di articoli sul diritto del lavoro e sugli infortuni descrive il proprio scopo quello di combattere le malattie e specialmente la tubercolosi in quanto la rete di “Enti precostituiti” sono parte integrante del sistema corporativo fascista in quanto “la psicologia dell’agricoltore sia datore che dipendente, non è stata finora in grado di sentire compiutamente quell’aspetto della solidarietà sociale che è rappresentato dall’organizzazione dell’assistenza” (Assicurazione contro la tubercolosi e sistema corporativo, “L’assistenza sociale agricola”, 1, 1, 1928, p. 2). La rivista è divisa in due sezioni “infortunistica” che include giurisprudenza e prevenzione, “assistenza sociale” che include articoli su “conoscenze dei bisogni assistenziali di cui i rurali sentono la mancanza” (Pesce G., Appunti per un programma di assistenza sociale agricola, “L’assistenza sociale agricola”, 2-3, 1928, p.145). Si fa cenno alla scuola superiore di Malariologia nata a Roma nel 1927 per specializzazione medici laureati (La scuola superiore di malariologia, “L’assistenza sociale agricola”, 5-6, p. 324). Sta scritto della ruralizzazione come obiettivo della politica sociale fascista al fine di prevenire i pericoli derivati dall’urbanesimo e che dovrebbe rispondere ai criteri dell’organizzazione scientifica del lavoro e dell’abuso dei ricoveri in istituti per cui si propone il collocamento presso famiglie o il ricovero presso colonie rurali (Agricoltura e assistenza all’infanzia, “L’assistenza sociale agricola”, 7, 1928, p. 409, pp. 403-418).
La “preparazione programmatica” (Id., p. 408) della scuola superiore fascista di assistenza sociale consisteva in:
Legislazione fascista del lavoro, ordinamento politico e sindacale, ordinamento amministrazione sanità italiana, nozioni di economia politica e sociale, assicurazioni sociali, infortunistica
politica sociale, organizzazione scientifica del lavoro sotto aspetto medico, malattie sociali (tubercolosi, etilismo, sifilide o celtica, tracoma, etc.)
Nozioni di anatomia fisiologia igiene generale, fisiologia del lavoro, patologia del lavoro, puericultura, infermieristica, nozioni di economia domestica, nozioni di psicologia psichiatria sociale pediatria e pedagogia sociale
Origini e storia del servizio sociale, essenza ed organizzazione del servizio sociale, il servizio sociale in Italia e all’estero, metodologia del servizio sociale, orientamento pratico del servizio sociale, pratica e tirocinio
Visite agli istituti di beneficenza/assistenza, ricoveri diversi, scuola di rieducazione per anormali psichici e fisici, casa di correzione, riformatorio, visite ambulatoriali preventori e dispensari, religione, conferenze di cultura generale e cultura fascista.
Presso ogni Consiglio di patronato è ubicato un “Ufficio di assistenza sociale retto da un assistente sociale” (Onmi, Origini e sviluppi, Roma, Tip. Colombo, 1936, p. 60); tra gli utenti del servizio rientravano “i bambini maltrattati” (Id., p. 64). L’istituzione dell’Ufficio distrettuale di assistenza sociale presso i Tribunali per i minorenni risale al 1934 (CFLI, Per le assistenti sociali, Roma, Tip. Il lavoro fascista, 1936). La legge sul tribunale per i minorenni è il primo documento nella storia legislativa italiana che cita il “servizio sociale” (RDL 20 luglio 1934 n. 1404 pubblicato sulla GU del 5 settembre 1934 n. 208 e convertito in legge dalla L. 27 maggio 1935 n. 835). Un consultorio di medicina pedagogica emendativa composto anche da assistenti sociali fu istituito presso il centro di osservazione del carcere di Roma Rebibbia (Di Tullio B., Il consultorio di medicina pedagogica emendativa nell’Onmi, “Difesa sociale”, 1935, 3).
«Fin dall’origine di tale organo (Tribunale per i minorenni) è stata individuata nella presenza del Collegio, accanto ai due giudici di carriera, di un suddito avente intrinseche qualità e specifiche attitudini: un benemerito dell’assistenza sociale, scelto tra i cultori di biologia, psichiatria, antropologia e pedagogia» (…) «di conseguenza diventava determinate l’analisi del bisogno, considerato non i modo generico da parte di un’unica categoria, quella dei poveri, ma come domanda generalizzata, in quanto facente capo a tutti i sudditi, e nel contempo precisamente individuata, rispetto a specifiche necessità. Di qui l’assunzione diretta da parte dello Stato delle competenze assistenziali, prima lasciate al settore privato o demandate ad enti pubblici aventi competenze settoriali (Onmi, Ipai, Enaoli, etc.)» (L’affidamento di sorveglianza, “Lavoro fascista”, 16 giugno 1941).
Il Patronato pro liberati dal carcere nacque a Vicenza nel 1907 su iniziativa del celebre scrittore Antonio Fogazzaro. Nello Statuto si leggono tre ordini di soci: ordinari, benemeriti e fondatori che si differenziano in base all’ammontare della quota versata. Si accenna a una casa per liberati a Vicenza e una fabbrica di spagari. Si cita “la domenica del carcerato” giornalino dei reclusi di Roma (L’opera del patronato pro liberati dal carcere, Vicenza, 1931, p. 5).
Si legge di una terza generazione di assistenti sociali in Aurelia Florea, “I rapporti professionali degli assistenti sociali” (Marinatto L., L’assistente sociale, Firenze, Vallecchi, 1964, p. 30). Ciò significa l’esistenza di una seconda generazione nel ventennio precedente (1944-1964) ed una prima generazione ancor prima (1924-1944).
Per “corporazioni” si intendono libere associazioni professionali gestite da privati ma controllate dallo Stato “sono le professioni che tramite le corporazioni contrattano tra loro le condizioni lavorative alle quali tutti gli appartenenti delle categorie lavorative devono aderire” (Miraldi, G., Elementi di diritto corporativo, Roma, Ed. Diritto del lavoro, 1935, p. 141). La corporazione per es. degli Artisti e Professionisti dettava le regole del contratto per tutti gli assistenti sociali, anche chi non fosse iscritto all’associazione. La L. 563/1926 afferma che tutte le corporazioni devono perseguire scopi di azione sindacale e assistenza sociale. Le corporazioni hanno facoltà di creare “scuole professionali” (p. 54). Funzioni delle corporazioni sono: collocamento dei disoccupati, disciplina ed espletamento del tirocinio, vigilanza sulle norme ergonomiche, consulenza presso enti locali, conciliazione sulle controversie, disciplina dei rapporti di lavoro, candidature alla camera delle corporazioni, etc. Tale ordinamento attribuiva allo Stato, e in particolare alle corporazioni quali organi del medesimo, la funzione di disciplinare, in regime di autarchia, tuta l’attività produttiva e i rapporti economici collettivi (L. 20.03.1930 n. 206 e L. 05.02.1934 n. 163).
Sta scritto che “l’autarchia è la capacità di un ente di amministrare se stesso, ovvero di agire per il conseguimento di fini propri, mediante l’esercizio di attività amministrative che ha natura e effetti della PA, propria dello Stato (…) l’autarchia presuppone la personalità giuridica, mentre l’autogoverno implica solo la concessione della facoltà di porre in essere atti amministrativi; “autonomia” significa che oltre all’attività amministrativa, l’ente può disporre anche di attività legislativa” (Zanobini G., Corso di diritto amministrativo, Vol. I, Milano, Giuffrè, 1954, p. 126).
La corporazione elabora norme generali sulle condizioni dei lavoratori, concilia le controversie fra le associazioni sindacali, promuove tutte le iniziative tese a organizzare la produzione, regola con norme il tirocinio e l’apprendistato, esprime pareri alle pubbliche amministrazioni sulle materie di lavoro, stabilisce tariffe di servizi e consumi, elabora norme per il controllo del collocamento e per la disciplina della produzione (Primo e secondo libro del fascista, Roma, Mondadori, 1941, p. 101).
Gli artt. 2114 e 2123 c.c. hanno anticipato di 8 anni l’art. 38 della Costituzione e non esistevano norme simili nei codici anteriori del 1882 e nel 1865.
Dal 27 al 30 ottobre 1927 si è svolto a Nancy il VII congresso francese d’assistenza pubblica e privata. All’epoca in Francia gli operatori erano chiamati “auxiliaires sociales” che operavano tramite il “service social” in un “oeuvre sociale” poi nel dopoguerra si fece riferimento all’Unrra dove gli operatori erano nominati “social workers” che agivano tramite il “social work” in un “social agency”, dunque in Italia nel 1946 si è voluto conservare entrambe le terminologie a causa di due diversi periodi storici (Union Catholique International de Service Social, Compte rendu des Journees Internationales d’Etudes pour les Auxiliaries du Service Social, Paris 11-13 juillet 1937, Bruxelles, p. 8).
Corporativismo deriva da “corpo” per indicare l’attenzione rivolta a i corpi sociali intermedi, che si frappongono tra lo Stato e l’individuo quali la famiglia, l’associazione e le professioni.
“Bisogna convincersi che l’opera di penetrazione sociale e in genere quella preventiva non ha per fine curare l’individuo, quanto di bonificare l’unità familiare. L’unità medico sociale non l’individuo ma la famiglia o l’aggregato ambientale che l’individuo si è artificialmente costruito(…) infatti ogni individuo bisognoso di assistenza, non è solo un caso clinico ma soprattutto un caso sociale” (Levi Ettore, Un centro studi e di attività sociale, Istituto italiano di igiene, previdenza e assistenza sociale, Roma, 1925, p. 84). “Dovranno costituirsi in Italia, come già in America, delle scuole superiori di cultura sociale intese alla preparazione morale e tecnica del personale destinato a dirigere tali istituti” (es. casa mutilato, casa del marinaio, p. 82). “Le facoltà di legge sono relativamente meglio attrezzate” (Id., p. 84) per un eventuale inserimento nel contesto accademico. A Milano per iniziativa del dott. Correggiari si impartiscono lezioni per la preparazione di segretarie sociali destinate a diffondere la loro opera in ambienti operai (…) la Cassa Nazionale per le assicurazioni sociali questo anno inizierà a Roma e Milano dei corsi integrativi per la preparazione di assistenti sociali sanitari di fabbrica con speciale riguardo alla maternità” (Id., p. 89). Ai marittimi furono somministrati una serie di conferenze igieniche tenute da certe propagandiste agli operai presso i principali stabilimenti industriali.
Definizione di funzione assistenziale “dovere dello Stato e quindi di tutti i cittadini di contribuire ad aiutare e a sostenere le masse lavoratrici e fra esse gli elementi più bisognosi e meno validi per la lotta esistenziale” (Baranelli, F, Sancipriano M., Puericultura e formazione spirituale del bambino, Torino, Lice, 1944, p. 289). Sta scritto di una legge che obbliga le aziende a introdurre una camera di allattamento per ogni fabbrica superiore ai 50 dipendenti.
Oltre alle aziende si assumeva anche tramite la Cassa nazionale di assicurazione sociale.
Secondo Villani Rimassa nel 1928 la scuola superiore di assistenza sociale San Gregorio al Celio diretta dalla confederazione degli industriali italiani con il concorso dell’università Bocconi impartiva il seguente programma (Villani Rimassa Serena, Esperienze e formazione degli operatori sociali negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, in Materiali per una ricerca storica sulle scuole di servizio sociale, 1978, pp. 11-25, p. 19):
Primo semestre: Ordinamenti politici e sindacali (prof. Augusto Turati), Legislazione fascista (Giovanni Balella), Ordinamento amministrativo e sanitario (prof. Cesare Giannini), Organizzazione scientifica del lavoro (prof. Giovanni Antonio Vigliani), Igiene generale e industriale (prof. Maza), Etica professionale (prof. Maza), Legislazione sociale (prof. Giovanni Balella), Ordinamento assicurativo (prof. C. Giannini), Infortunistica (prof. Giovanni Antonio Vigliani), Protezione sociale della madre e del bambino (prof. Giovanni Balella), Puericultura (prof. Maza), Servizio sociale in Italia e all’estero (prof. Maza), Economia domestica (prof. Paola Baronchelli).
Giacché il corso di studi durava 8 mesi, il primo e unico semestre era dedicato agli esami e gli ultimi due, cioè 480 ore, dedicate al tirocinio. L’ammissione alla scuola era riservato ai laureati, per gli eventuali posti vacanti era indetto un concorso per diplomati della scuola superiore.
Manifesto degli studi della Scuola superiore fascista al Celio: legislazione fascista del lavoro, ordinamento politico e sindacale, ordinamento amministrativo e sanitario, economia politica e sociale, assicurazioni sociali, infortunistica, politica sociale, organizzazione scientifica del lavoro, medicina sociale, anatomia e igiene fisiologia del lavoro, patologia del lavoro, puericultura, infortunistica, economia domestica, psicologia-psichiatria-pedagogia sociale, servizio sociale, origini e storia del servizio sociale, servizio sociale in Italia ed all’estero, metodi di servizio sociale, orientamento pratico del servizio sociale, pratica e tirocinio. Le competenze consistevano nel “visitare la famiglia bisognosa accompagnate dalle ASV della CRI o dalla maestra della scuola ortofrenica o dalle ispettrici dell’ONMI; è previsto un esame di cultura generale per l’ammissione alla scuola al Celio, “non si improvvisano le assistenti sociali di fabbrica, non chiunque può essere un ASF. Bisogna possederne l’attitudine morale e spirituale, bisogna altresì possedere tutto un corredo di cognizioni specifiche” (G.A., 3 tipiche scuole istituite a Roma dal PNF, “L’assistenza sociale agricola”, 6, 1933, pp. 400-409, p. 407); “per uno speciale accordo di quest’anno anche la Cassa Nazione per le assicurazioni Sociali se ne avvarrà per la propaganda e l’assistenza agli assicurati e alle famiglie” (Ibidem).
Sta scritto “invoca la solidarietà dei ricchi e dei poveri, dai sapienti agli ignoranti, per propagare alla parola e per tradurre nell’azione quei sani principi di igiene ed etica sociale, così ignorati e negletti nel nostro paese” (Levi Ettore, la medicina sociale in difesa della vita e del lavoro, Roma, La voce, 1921, p. I) per indicare che la solidarietà si riferisce alla questione sociale e all’integrazione delle risorse (da solidus = il tutto insieme). La coercizione fisica dei disabili e anormali irrecuperabili presso gli istituti era di natura eugenica per evitare che si accoppiassero fra loro e con normali perché allora si riteneva che tale tare fossero ereditarie. È da pensare che la prima assistenza sociale sia nata in Italia per motivi eugenici e cioè al fine di ottenere dei miglioramenti bio-psichici; “in tal senso la guerra mondiale ha avuto un’influenza benefica, agendo come un rimedio eroico, nella rivelazione improvvisa dell’importanza sociale sia morale che economica, dei grandi problemi assistenziali in tempo di pace in conseguenza della guerra (…) un altro fatto benefico è stato di sostituire all’antica, spesso ipocrita, opera di beneficenza, una vasta, illuminata e sincera organizzazione di assistenza civile, concepita non come una prova di generosità, ma come un dovere delle classi più fortunate verso quelle più misere” (Id., p. 10). “L’evoluzione attuale della società esige ormai la creazione di una nuova categoria di lavoratori cd. sociali che dovranno rispondere a una maggiore produzione e a una più civile solidarietà umana (…) sia in senso morale che materiale” (Id., p. 83). L’autore si riferisce a un certo Ducloux (la quale dottrina difende l’assunzione dell’alcol entro certi limiti) con vago orientamento anticlericale “ci siamo arrestati sull’idea di carità, un’idea falsa, quasi assurda (…) la carità infatti non prevede ma cura, aspetta che l’ammalato sia realmente tale, spesso in fin di vita” (Id., p. 10).
Si legge della proposta di istituire un Ministero di assicurazioni sociali “che mira all’unificazione di tutte le istituzioni di protezione sociale” (Cabibbo, E., Sulla proposta di legge per l’istituzione del ministero di assicurazione sociale, in “Informazioni sociali”, Acli, 1949, 3, p. 39, pp.39-40). Sta scritto degli indennizzi alle vittime di violenza sessuale da parte delle truppe d’invasione alleate specialmente marocchine (Varie, “Informazioni sociali”, Acli, 1949, 10, p. 287).
Secondo Odile Vallin “in mezzo alla lotta di classe, l’assistente sociale è l’elemento neutrale (…) analogo a quello della CRI” (Vallin Odile, L’assistente sociale, Milano, Vita e pensiero, 1947, p.28) e che un “assistente sociale rurale” lavora nel “centro rurale insieme agli animatori d’una casa comune” (Id., p. 35) che svolge attività di “doposcuola, corsi giovanili, bibliografia, corsi di economia domestica e puericultura” (Ibidem). Sta scritto che in Germania lavorano le “assistenti sociali di parrocchia i cui modelli sono Giovanni Battista, Marta sorella di Maria e la Veronica “perché dal viso imbrattato della povera umanità con il suo lavoro farà affiorare sempre più luminoso il viso di Cristo sofferente” (Id., p. 46). Sta scritto che l’Uciss fu fondata a Milano nel 1925 e ha tenuto congressi a Bruxelles nel 1946 e a Lucerna nel 1947, un altro a Parigi prima della guerra. Sta scritto che le materie d’insegnamento spaziano “dalla medicina sociale, psicologia, diritto, enti Ipab” (Id., p. 52), anche qui si pone un limite d’età tra 19 e 40 anni.
Gian Alberto Blanc afferma che la rivoluzione francese ha avuto il merito di affermare il principio della giustizia sociale, mentre le poor law inglese volevano solo “preservare la società dai disordini derivanti dalla miseria” (Blanc G.A., Il fascismo e il problema della razza, “Maternità e infanzia”, 10, 1927, p. 18). Sta scritto, inoltre, che “secondo la dottrina fascista, l’assistenza non corrisponde alla beneficenza, a base questa di carità, né all’assistenza della rivoluzione francese a presupposto individualistico. La concezione fascista è tutt’altra cosa. Essa non cura l’individuo in sé e per sé, ma si prefigge di provvedere alla sanità della generazione; non è rivolta alla tutela per ragioni di filantropia elemosiniera, bensì per tenere alti gli elementi vitali del valore della stirpe per contribuire al progresso, al rafforzamento della razza, nel migliorare le sue energie fisiche e morali al fine di renderla altamente produttiva (Bergamaschi, C., Una giornata d’amore e di idee, “Maternità e infanzia”, 12, 1937, p. 1, pp. 1-2).
Si legge di un nuovo istituto psico pedagogico in una villa del ‘700 tra Ponticelli e Cercola (Un istituto medico psicopedagogico a Napoli, “Maternità e infanzia”, 8, 1928, p. 596). Inoltre nei pressi dell’ingresso del tunnel “laziale” di Napoli a Fuorigrotta c’era un centro di assistenza ai minori. Una nuova sede fu inaugurata nel 1936 nel Rione Principe di Piemonte ai Granili (Inaugurazioni, “Maternità e infanzia”, 11, 1936, p. 12).
Sta scritto che “il Tribunale per i minorenni è il frutto dell’insegnamento della scuola positiva lombrosiana” (“Maternità e infanzia”, 4, 1929, p. 433).
Dal 22 al 25 giugno 1931 si è svolta a Ginevra la Premiere Jeunesse Africa Conference.
La selezione e l’assunzione di assistenti sociali presso l’Onmi avveniva nei ranghi dei fasci femminili (Fabbri Sileno, Circolare 10.06.32 n. 16 in “Maternità e infanzia”, 6, 1932, pp. 625-26). Le materie di preparazione per il personale assistenziale comprendevano le seguenti materie: legislazione sociale, psicologia, sociologia, demografia, pedagogia, morale (Nervi C., Il medico e l’istituzione del servizio di assistenza sociale, “Maternità e infanzia”, 2, 1933, p. 10).
I Consigli di Patronato erano composti dal: Procuratore del Regno, Giudice ordinario, giudice minorile, pretore, rappresentante Onmi, sindaco, ufficiale sanitario, direttore penitenziario, rappresentante dei sindacati per ogni categoria produttiva (industria, agricoltura, commercio, banche, trasporti, arti e professioni, etc.), un prete, una persona benemerita dell’assistenza sociale (I consigli di patronato presso il Tribunale Ordinari, “Maternità e infanzia”, 10, 1933, p. 18).
Sta scritto “il fascismo, è inutile ripeterlo, rinnega l’astratta concezione del cittadino, e rinnega quindi la concezione negativa del minore come individuo non ancora giunto alla condizione psicologica che ne consente e ne determina lo status civitatis. Il minore, invece, rappresenta una forza spirituale che agisce nella vita sociale (…) il minore non è la speranza del cittadino di domani, ma è l’uomo che vive già nella società attuale” (Chiarelli, G., Il tribunale per i minorenni e la concezione fascista della vita sociale, “Maternità e infanzia”, 9, 1934, p. 4, pp. 4-5).
Sta scritto che «i professori americani non hanno nulla da invidiare a quelli dell’Urss che sono costretti a far appello alle proprie qualità artistiche le quali consentono le facoltà ginniche più adatte al salto dei pasti […] sono 14.000 i professori di Chicago che debbono avere ancora lo stipendio dall’aprile 1931 (A.G.B., Letture periodiche, “Bibliografia fascista”, 10, 1931, pp. 747-748, p. 747).
Si evince che la Carta della Scuola, approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 15.02.1939, al tit. III ha anticipato di 9 anni l’art. 34 co. 3-4 Cost., inoltre stra scritto che la maggiore età si conseguiva al 21° anno entro la quale era garantita e obbligatoria l’istruzione e il mantenimento agli studi (Carta della scuola, “Maternità e infanzia”, 1, 1939, p. 65).
Il successo all’esterno è tale che sono organizzate periodicamente delle visite guidate con osservatori stranieri (Attività svolta dal Centro Stranieri dell’ONMI, “Maternità e infanzia”, 6, 1939, p. 400).
Le statistiche nel 1938 indicano 2.132 condanne a fronte delle 7.150 del 1932 (La diminuzione della delinquenza in Italia, “Maternità e infanzia”, 2, 1949, p. 107).
L’Haner scrive “solo dove c’è popolo c’è Storia (…) una forma sociale definita dal sangue e dallo spirito in uno spazio assegnato dal destino (Billi G., Case per il popolo e igiene della razza, “Maternità e infanzia”, 3-4, 1940, p. 159).
Sta scritto che “l’assistenza non deve essere prestata secondo schemi fissi o prestabiliti, ma alla stregua dei particolari bisogni e con la massima urgenza” (Circolare 23.06.41 n. 241 in Frontoni A., Norme per il funzionamento dei comitati di patronato, “Maternità e infanzia”, 6, 1941, p. 301).
Il coordinamento dei servizi sociali e sanitari era affidato alla Direzione Sanitaria Provinciale (Veronese D., Organizzazione servizi sanitari provinciali dell’Onmi, “Maternità e infanzia”, 3, 1942, p. 85).
La spesa previdenziale è passata da 22 miliardi nel 1946 a 500 miliardi nel 1951 (Colombo U., Principi e ordinamento dell’assistenza sociale, Milano, Giuffrè, 1954, p. 370). Le statistiche del 1946 indicano circa 2.762.644 assistiti dell’Onmi a fronte dei 1.937.601 nel 1938 (Gatti V., Dura lex sed lex, “Maternità e infanzia”, set-ott 1947, p. 23), l’autore si esprime spregiativamente contro gli illegittimi quando la Cost. non era ancora entrata in vigore.
- RD 23.12.29 n. 2392 “Riordinamento degli istituti pubblici di educazione femminile”
- RD 01.09.25 n. 2009 “Riordinamento dei convitti nazionali” modificato con RD 22.10.31 n. 1410
- RD 01.10.31 n. 1312 “Approvazione delle norme modificative, integrative ed interpretative del R.D. 23 dicembre 1929, n. 2392, concernente il riordinamento degli istituti pubblici di educazione femminile”.
Da Origini del fascio di Pericle Ducati (Ducati P., Origini e attribuzioni del fascio littorio una pagina di storia che nessuno deve ignorare, Tipografia “La Grafica Emiliana”, Bologna, 1930):
VII sec. a.C. Necropoli etrusca Vetulonia: ritrovamento a fine ‘800 di un fascio di verghe di ferro sormontate da una scure bipenne.
I sec. d.C. Silio Italico nel ”Le puniche” accenna a 12 fasci in processione (nel commento all’Eneide di Servio sta scritto che ogni provincia etrusca era divisa in 3 parti ognuna a sua volta divisa in 4 parti per un totale di 12 lucumoni per ogni provincia.
II sec. d.C. Annio Floro fa rientrare il fascio in un elenco di istituzioni civili. A Roma i fasci erano custoditi presso i magistrati e mostrati nelle celebrazioni pubbliche dai littori che li abbassavano dinanzi ala popolo come per esaltarne la sovranità.
VI sec. d.C. I fasci scompaiono con Giustiniano per riapparire con la Rivoluzione Francese.
L’Istituto Universitario Orientale è stato fondato dal Fascismo (v. TU 31.08.33 n. 1592 artt. 238-48) “per la formazione dei funzionari e impiegati delle colonie” (Zanobini, vol. V, p. 275) quando ancora si chiamava Istituto per l’Africa Orientale Italiana di Napoli.
Sta scritto “il mantenimento degli inabili al lavoro ha sempre trovato la sua disciplina giuridica nella legge di pubblica sicurezza” (Zanobini Guido, Corso di diritto amministrativo, Vol. V, Milano, Giuffrè, 1954, p. 563).
Durante il Fascismo l’assistenza sociale era suddivisa in assicurazione sociale, beneficenza legale, previdenza obbligatoria e assistenza pubblica. Sta scritto, infatti, che “mentre la beneficenza ha sempre scopo di riparazione, l’assistenza avrebbe scopo di prevenzione e si avvicinerebbe alle varie forme di previdenza (…) la distinzione fu introdotta nella L. 18.07.1904 n. 390” (Id., p. 534).
Sta scritto “il principio vigente riguardo la capacità giuridica degli stranieri è sancito dall’art. 16 delle disposizioni di legge al codice civile che subordina il godimento dei diritti civili alla sussistenza di un trattato di reciprocità da parte dello Stato a cui appartiene” (Id., p. 121).
«Spetta al legislatore fascista il merito di aver usato il termine ”parastatale” nel linguaggio ufficiale, per significare un Istituto al quale partecipa lo Stato» (Cacace E., Recensione su Danesi F., Gli istituti di credito parastatali in Italia, Bologna, Zanichelli, ”Bibliografia fascista”, 2, 1933, pp. 121-122, p. 121).
Sta scritto che “l’INPS è un ente parastatale” e che “l’ONMI è un’istituzione su base associativa” (Zanobini Guido, Corso di diritto amministrativo, Vol. V, Milano, Giuffrè, 1954, pp. 128-129), altrove sta scritto che “l’Istituto Nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l’Unione Italiana Ciechi, l’Associazione Italiana Croce Rossa, l’Associazione Italiana Mutilati e Invalidi di Guerra sono enti parastatali” (Rainaldi L., Parastato, in Guarino Giuseppe, Dizionario Amministrativo, Giuffrè, Milano, 1978, p. 432, pp. 429-459) tutti aboliti dalla L. 20.03.75 n. 70 (cfr. anche Cosi, Commento alle disposizioni della l. 20.03.75 n. 70 sul riordinamento degli enti pubblici, in I modelli organizzatori degli enti pubblici, Ciriec, Milano, 1977, II, 5 ss; Cardi, Diritti sindacali e potestà organizzativa degli enti pubblici nella legge sul parastato, “Rivista giuridica del lavoro”, 1975, II p. 839; D’Alberti, La legge sul parastato, “Rivista giuridica del lavoro”, 1975, I, p. 185; Frengo, Assetto delle fonti normative e giurisdizione sul pubblico impiego, “Giurisprudenza costituzionale”, 1977, p. 539; Cerulli Irelli, Problemi della individuazione delle persone giuridiche pubbliche, “Rivista tributaria diritto pubblico”, 1977, p. 626; Arena, Soppressione degli enti inutili e riforma del parastato, “Rivista trimestrale diritto pubblico”, 1977, p. 678).
Sta scritto che «non esiste alcune esempio» nella legislazione pre-repubblicana «di un diritto all’assistenza» (Zanobini G., Corso di diritto amministrativo, Vol. V, Milano, Giuffrè, 1954, p. 542) venendosi così a configurare il più generale interesse legittimo dei poveri all’assistenza.
Nel codice civile lo straniero gode degli stessi diritti degli autoctoni in base a trattati di reciprocità col paese di provenienza [C.C. art. 16 disp. Leggi] Stesso discorso vale per l’esercizio di un mestiere o l’iscrizione all’Albo [Dlgs 13.09.46 art. 8].
Sta scritto dell’istituzione della scuola di puericultura a Trento nel 1941 che prende il posto della vecchia Scuola per vigilatrici d’infanzia (B. Baldo, la scuola professionale per vigilatrici d’infanzia di Trento, tesi di laurea, relatore V. Colalì, 2005, Trento, p. 196)) in base alla L. 1098/ del 19.07.40 che autorizza enti pubblici e privati a istituire scuole a tal guisa della durata di due anni al termine del quale è rilasciato un «diploma di stato». La dirigenza didattica è affidata a un medico pediatra, mentre l’organizzazione funzionale e la supervisione è affidata alla direzione IPIAI; sono ammesse ragazze in possesso di licenza elementare; l’accesso è vincolato ad un esame di ammissione preceduto da un breve corso di preparazione (Id., p. 197) al quale segue un periodo di prova di due mesi (Id., p. 199) volto ad analizzare la disciplina e l’attitudine; l’organizzazione è convittuale così come lo era al celio, alla fine di ogni quadrimestre la direzione della scuola effettua una valutazione per ogni allieva in base alla condotta, al profitto didattico, al lavoro e al tirocinio (Id., p. 199), per ogni insegnamento è previsto il superamento di un esame sia teorico che pratico «costituite da singole sperimentazioni» (Id., p. 200); la commissione esaminatrice è composta d a direttrice della scuola, tre docenti, direttore del convitto, rappresentante ministero interni, rappresentante ministero educazione, ed è presieduto da un rappresentante Opera (Onai, Onmi), forse al celio era presenta un rappresentante CGII, ognuno dei quali ha a disposizione 10 punti di valutazione, le allieve godono di 12 ore libere ogni 10 giorni, e 8 giorni liberi per ogni 8 mesi, la scuola ubicata a Palazzo Consolati e sede distaccata a Pergine garantendo la didattica per tutti gli anni ’40 e ’50.
Sta scritto che, oltre a Gregorio al Celio, un’altra scuola fu operativa a Milano per breve tempo (Fiorentino Elda, Note sul problema del personale tecnico per l’assistenza, ”Assistenza oggi”, 4, 1954, pp. 56-61, p. 57).
Nell’anno scolastico 1938-39 furono condotte delle indagini sanitarie sulle collettività scolastiche coordinate dal prof. Salvatore Collari sull’utilità degli esami schermografici (Federici M., Recensione a Collari S., Le colonie climatiche, Roma, Istituto di medicina sociale, ”Assistenza oggi”, 4-5, p. 117, pp. 115-117).
«La nostra legislazione […] è costituita dal complesso delle norme giuridiche che riguardano l’assistenza, la previdenza e il servizio sociale: protezione per la maternità e infanzia, assicurazioni contro gli infortuni, assicurazione contro la vecchiaia, l’invalidità, malattia, disoccupazione involontaria, mutualità scolastica, collocamento dei disoccupati, istituzioni di assistenza e previdenza, OND, scuole secondarie di avviamento professionale» (Lama E., Recensione a Fantini O., Corso completo di legislazione sociale e del lavoro interna e comparata, 1930, Perugia, Regia Università, “Bibliografia fascista”, 7, p. 610-611).
A partire dal 1930 risuonano anche in Italia le grida delle persecuzioni religiose in Russia (Chirini L., Recensione a Goyau G., I sovieti contro Dio, Firenze, 1930, Lef, “Bibliografia fascista”, pp. 705-706).
«Il nazionalsocialismo tedesco non ha nulla in comune col fascismo italiano all’infuori di qualche esteriorità, che esso ha preso da quello italiano senza comprenderne il senso che hanno per l’Italia […] Il nazionalismo tedesco è una demagogia senza idee, barbara» (L’opera del fascismo, “Allgemeine rundschau”, in Bibliografia fascista, 11, 1930, pp. 1026-27).
Secondo i dati del Patronato Nazionale Assistenza sociale per il 1929 ci sono stati 135.500 operai assistiti, liquidazioni per 133 milioni di lire, 125.000 visite mediche, 8.600 cause trattate, 2 milioni di contributi assicurativi recuperati (Problemi del lavoro, ”Bibliografia fascista”, 11, 1930, pp. 1036-37).
Nel 1930 a fronte delle particolari condizioni sociali, economiche e politiche della crisi, il governo decise di istituire l’Ente Opere Assistenziali presso ogni Federazione Provinciale dei Fasci di Combattimento finanziate con 75% dai datori di lavoro e 25% dai lavoratori stessi con il compito di erogare prestazioni periodiche in beni di prima necessità. Nel 1937 per alleggerire il Partito da tali impegni, tali competenze furono affidate all’ECA.
La settimana delle 40 ore è stata introdotta a seguito degli accordi interconfederali del luglio 1935 (H.S., Recensione su Di Paola G.F., Assegni familiari in Italia e all’estero, Ed. Guerra e terra, Roma, 1936, “Bibliografia fascista”, 1936, 4, pp. 239-241, p. 239).
«Il comitato di patronato, al quale spetta di svolgere l’opera esecutiva, è composto di persone di indiscussa probità e rettitudine ed esperte in materia di assistenza materna ed infantile, chiamati patroni e patronesse. Sono patroni di diritto il segretario del Fascio, un magistrato, il medico comunale, il presidente della congregazione di carità (poi ECA), un maestro di scuola elementare, un sacerdote e la segretaria del fascio femminile» (F.G., Recensione su Corsi P., La protezione della maternità e infanzia in Italia, Ed. Nuovissima, Roma, “Bibliografia fascista”, 11, 1936, pp. 736-739, p. 737).
Sta scritto che l’assicurazione di maternità è pagata con L. 7 dal datore e L. 3 dalla donna. Se questa non ha reddito, la quota è corrisposta per intero dal datore (F.G., Recensione su Corsi P., La protezione della maternità e infanzia in Italia, Ed. Nuovissima, Roma, 1936, “Bibliografia fascista”, 11, 1936, pp. 736-739, p. 736).
Si accenna a una pregevole completa pubblicazione dell’OMNI (F.G., Recensione su Corsi P., La protezione della maternità e infanzia in Italia, Ed. Nuovissima, Roma, 1936, “Bibliografia fascista”, 11, 1936, pp. 736-739, p. 738).
Si legge nel verbale del 7 ottobre 1944 della nomina di un commissariato all’assistenza presieduto da Amelia Valli con funzioni di cura e di relazioni pubbliche con le mutue, le assicurazioni e le organizzazioni assistenziali e culturali di lavoratori (Giarda M., Maggia G., Il governo dell’Ossola, Novara, Grafica Novarese, 1989, p. 47).
Sta scritto che «il ”pastone” consiste nell’inanellare notizie, spiegazioni e commenti nel breve spazio di 2 pagine» (Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra, Bari, Laterza, 1973, p. 170).
Sta scritto di un corso di formazione per segretarie sociali organizzato dall’Istituto Italiano per l’Assistenza Sociale a Milano in via Piatti, 4 diretto da Paolina Tarugi (Alice Salomon, Die Ausbildung zum sozialen Beruf (la formazione per il servizio sociale), Berlin, C.H.Verlang, 1927, p. 303).
“L’assistenza sociale nell’Italia fascista è organizzata su un principio fondamentale: l’individuo è considerato una cellula del vasto e complesso organismo sociale della nazione, e il capitale umano rappresenta la potenza economica, spirituale e produttiva della nazione. Per chiarire l’espressione capitale umano bisogna considerare che ogni vita umana è di per se un capitale il cui valore è costituito, in un primo tempo da ciò che ciascun individuo, a cominciare dalla nascita, costa alla famiglia, alla società, alla nazione, per vivere , per svilupparsi, per istruirsi. Tutta questa spesa è, per così dire, un prestito fatto dal capitale sociale all’individuo il quale ha la possibilità di restituirlo quando comincia a raccogliere i frutti del proprio lavoro” (Pittini F., Manuale di assistenza sociale, Roma, Ed. italiane, 1942, p. 37).
“Tale organo (l’ECA) è stato creato con L. 3 giugno 1937 allo scopo di alleggerire il Partito da una serie di compiti assistenziali precedentemente da esso svolti, a mezzo dell’Ente Opere Assistenziali (…) al Partito è rimasto soltanto il funzionamento delle colonie climatiche” (Pittini F., Manuale di assistenza sociale, Roma, Ed. italiane, 1942, p. 47).
“È raro che l’assistente sociale visitatrice sia chiamata a svolgere la sua opera alle dipendenze degli Uffici di Assistenza dei Sindacati perché per ovvie ragioni, a questo compito sono destinate le assistenti sociali” (Pittini F., Manuale di assistenza sociale, Roma, Ed. italiane, 1942, p. 301).
“Dal 1935 la CGFII e i lavoratori dell’industria hanno istituito, con il concorso dell’INPS, un servizio sociale presso alcuni sanatori” (Pittini F., Manuale di assistenza sociale, Roma, Ed. italiane, 1942, p. 302).
“Anche nei grandi centri dove è organizzato il servizio domiciliare di condotta, l’opera dell’assistente sanitaria visitatrice adibita al servizio sociale ospedaliero non costituirebbe un duplicato, in quanto buona parte della popolazione che affluisce negli ospedali non è la stessa che già si trova sotto la vigilanza de servizi sanitari sociali; per giunta l’ Assistente sanitaria visitatrice destinata al servizio rionale, difficilmente segue il suo assistito mentre è ricoverato in ospedale. Quindi sarebbe anzi opportuno stabilire un collegamento fra colleghe” (Pittini F., Manuale di assistenza sociale, Roma, Ed. italiane, 1942, p. 330).
“In Italia, dove da 30 anni sono iniziati studi in proposito, funzionano alcuni centri di orientamento professionale; primo quello istituito al Governatorato di Roma. Sotto l’egida del Ministero dell’Educazione Nazionale si svolgono da alcuni anni in parecchie città d’Italia brevi corsi formativi di orientamento professionale destinati ad insegnanti e capi d’azienda che potrebbero essere seguiti anche da AASSVV (…) è dacché i medici scolastici dovranno interessarsi della valutazione individuale per avviare i giovani al futuro lavoro anche l’Assistente sanitaria visitatrice non potrò rimanere estranea all’argomento” (Pittini F., Manuale di assistenza sociale, Roma, Ed. italiane, 1942, p. 332).
“D’altra parte, fra assistenza e beneficenza può stabilirsi una differenza di caratteristiche giuridiche e sociali che è la seguente: beneficenza, elemosina, traggono la propria origine nel sentimento spontaneo di carità, di generosità, che non sempre è efficace e che spesso è amaro e poco decoroso invocare. L’assistenza invece è una pubblica funzione dello Stato e degli enti pubblici, prima che dei privati benefattori. Pertanto l’assistenza ha un carattere di conforto morale, di aiuto impegnativo e continuativo, di pubblica solidarietà che risponde ai principi dello Stato moderno, espressi nella Carta del lavoro. Ciò spiega di come la nuova denominazione di assistenza non sia puramente formale” (La Torre M., La nuova legge sull’ECA: 03.06.1937 n. 847, 1937, pp. 15-16).
Nel 1935 risultavano 7300 Congregazione di carità per un valore patrimoniale di 600 milioni di lire, 2500 asili infantili per un valore patrimoniale di 400 milioni di lire, 700 Orfanotrofi per un valore patrimoniale di 750 milioni di lire, 900 Ricoveri per un valore patrimoniale di 1000 milioni di lire, 1350 Ospedali per un valore patrimoniale di 3000 milioni di lire, 250 Monti di pegni per un valore patrimoniale di 70 milioni di lire, 9000 altre opere pie per un valore patrimoniale di 2680 milioni di lire. In totale circa 22000 enti di assistenza per un totale di 8500 milioni di lire.
Nel 1935 il Ministero dell’Interno, su cui ricadevano le competenze di assistenza sociale, erogava: 100.000.000 milioni di lire all’Onmi, 2.475.000 ai consolati italiani all’estero, 4.300.000 agli inabili del lavoro, 13.086.000 per altre opere pie.
“Il RD 30.12.36 n. 2171 istituiva un’addizionale su talune imposte erariali per fini di assistenza sociale” (La Torre M., La nuova legge sull’ECA: 03.06.1937 n. 847, 1937, p. 29); si tratta del primo tentativo di fiscalizzare gli oneri sociali così come avvenne negli anni ’60.
“Essi (gli ECA) sono enti morali, di carattere pubblico autarchici (…) cioè persone giuridiche pubbliche. Hanno un proprio patrimonio, propri scopi, propri organi e sorgono con riserva di legge” (La Torre M., La nuova legge sull’ECA: 03.06.1937 n. 847, 1937, p. 30).
Un’altra differenza con le Congregazioni di Carità sta nella composizione del comitato direttivo: prima era elettivo e variava in base agli abitanti della Provincia, invece nell’Eca è nominativo scelto dal Prefetto sulla base delle rappresentanze produttive con alla presidenza il sindaco-podestà (La Torre M., La nuova legge sull’ECA: 03.06.1937 n. 847, 1937, p. 39). Nel CdA sono ammesse le donne con diritto di voto appartenenti ai fasci femminili (Id., p. 44). Eccetto il medico, il personale retribuito può essere assunto anche senza concorso e che i contributi previdenziali sono per gli enti più importanti” (Id., p. 103).
« Nel secondo volume di un mio recente studio “Assistenza e previdenza” ho sostenuto, trattando del servizio sociale, la necessità di coordinare tutte le attività assistenziali per trarre i maggiori benefici dai mezzi che sono attualmente a disposizione dell’assistenza e per indirizzare un’opera così complessa e importante nella vita nazionale secondo criteri e sistemi unitari.
(…) Di un coordinamento col termine di “servizio sociale” ci hanno parlato la Federazione delle Mutue e il Commissario per l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, ma il problema è più vasto e complesso, e ci pare che una spinta verso una soluzione integrale possa essere rappresentata dalla nomina recente di una Commissione per l’assistenza, avvenuta in seno al Consiglio delle Corporazioni, secondo il decreto del 12 dicembre u.s., con il compito di:
a) esprimere pareri sulle riforme da apportare alla legislazione di tutela e disciplina del lavoro, di assistenza e previdenza sociale e della cooperazione e sulle altre questioni relative a detta legislazione;
b) esprimere pareri sui problemi riguardanti il lavoro, l’assistenza e la previdenza sociale e la cooperazione, nonché sugli altri problemi dei quali sia affidato lo studio e l’esame preventivo alla Commissione stessa, ai sensi dell’art. 31 delle norme di attuazione della legge 20 marzo 1939 n. 206;
c) esprimere il suo parere sulle questioni trattate dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro e da altri enti internazionali quando interessino il lavoro, la previdenza e l’assistenza sociale e la cooperazione, ed inoltre sui progetti d’accordo con gli altri Stati, riguardanti le materie predette.
Per la trattazione dei problemi che rientrano negli altri Dicasteri, sono chiamati a partecipare ai lavori della Commissione:
- il capo dell’ufficio legislativo presso il Ministro di Grazia e Giustizia;
- il direttore generale dell’Amministrazione civile;
- il direttore generale della Sanità pubblica;
- il direttore generale dell’istruzione tecnica;
- il rappresentante del R.Governo nel Consiglio di Amministrazione dell’UIL e il suo supplente;
- i membri italiani, patronati ed operai, nel Consiglio di Amministrazione dell’UIL» (Fantini O., L’organo di coordinamento per un’assistenza unitaria, “Echi e commenti”, 1933, 5 marzo, pp. 251-52).
Oltre alle riviste ed ai periodici, un’altra fonte importantissima per il servizio sociale è rappresentata dagli annuari e dalle raccolte archivistiche delle imprese e dei consorzi di aziende.
«Ad un’assidua opera continua, che si svolge giorno per giorno e quasi ora per ora, sia fra gli operai stessi che fra le loro famiglie, è specialmente dedicata l’assistenza sociale.
La creazione del servizio di Assistenza Sociale quando già erano in atto da tempo le più cospicue istituzioni del Regime intese ad elevare materialmente e moralmente la classe lavoratrice del popolo italiano, poté sembrare al primo sorgere qualcosa di superfluo. Sfuggiva evidentemente il vero significato del servizio sociale: in molti il suo nome, pur così preciso ed insostituibile, richiama l’idea di un’affinità con le istituzioni di beneficenza, il cui compito si esaurisce spesso nello sterile aiuto del momento.
Ben diverso invece è il compito dell’Assistenza sociale di fabbrica che è costituito da due punti essenziali: da un lato sollevare col continuo apostolato il morale dell’operaio, dando a lui la sensazione più precisa di sentirsi vegliato dal Regime; dall’altro completare il programma delle istituzioni a favore del lavoratore, facendo sì che questi possa utilmente servirsene, dal momento che non sempre un operaio – anche il più intelligente – è in grado di farlo da sé o addirittura di conoscerle.
(…) Nel 1929 il servizio sociale veniva istituito a Napoli in sette volenterose aziende: Ilva, Miani e Silvestri, Jutificio, Saffa, Montecatini, Italo-Americana e Seta artificiale. Il numero degli operai assistiti era 4110. Dopo un primo periodo di esperimento e, quindi, di necessaria stasi, l’Ufficio centrale della Confederazione generale degli industriali richiamava l’attenzione sulla sede di Napoli e ne promuoveva lo sviluppo attraverso un’assidua opera illustrativa e di propaganda. Sensibili effetti si ebbero nel 1937 con l’aumento delle aziende. Attualmente si ha l’adesione di ben 36 aziende, con un numero di assistiti che supera i 35.000. Cifra questa che può dare adeguatamente l’idea dell’importanza e dell’estensione del servizio sulla popolazione operaia, solo se si tien presente che in esse sono calcolati i lavoratori e non i familiari di questi, ai quali invece il servizio sociale anche si estende con particolare attenzione.
Ma c’è di più. Se da una parte aumenta il numero di richieste di assistenza in proporzione alla maestranza che ne può beneficiare e questa forma di attività acquista sempre maggiore prestigio e rivela il suo vero carattere delicato e pronto, d’altra parte alla comprensione degli industriali succede d’ora in ora l’entusiasmo che li porta a richiedere l’intensificazione del servizio sociale nell’ambito della propria azienda.
I felici risultati conseguiti inducono a ritenere non lontano il tempo in cui non vi sarà più nella provincia una grande e media azienda industriale che non senta la necessità di avere a collaboratrice l’Assistente Sociale » (Annuario industriale della Provincia di Napoli, Napoli, Tip. Giannini, 1939, pp. CCXII-CCXIII).
Una considerazione a parte meritano le recensioni, che rappresentano un genere letterario non sempre ricercato ma che, nel nostro caso, rappresenta senza dubbio un prezioso contributo per l’evidenza storiografica.
«Le istituzioni aziendali, l’ambiente del lavoro con le sue caratteristiche, costituiscono l’attrezzatura entro la quale l’assistenza di fabbrica deve trovare lo stimolo per alimentare l’efficienza delle disposizioni e renderle consone alle loro finalità. Occorre quindi considerare l’ambiente dei lavoro, ai pari di quello familiare come un elemento decisivo della costituzione psico-fisica del lavoratore, e cogliere – in esso – all’origine, le cause che verranno più tardi a perturbare l’equilibrio individuale. L’intuizione dell’assistente di fabbrica, intuizione affinata dai rapporti con le maestranze, con i servizi igienici e sanitari, con gli ambienti direttivi ed i reparti del lavoro, orienterà le sue attribuzioni inizialmente generiche, in compiti ben definiti nell’ambito della fabbrica stessa.
Occorre quindi stabilire i rapporti del servizio sociale con le altre istituzioni, e precisare in adattamenti eri accorgimenti pratici le sue funzioni. Inoltre, le prestazioni di ordine pratico per la tutela del produttore, ed anche i fini utilitaristici dell’economia industriale, non dovranno mai far passare in secondo piano le finalità spirituali del servizio. È noto che i vari accorgimenti si rivolgono all’uomo, nel suo complesso fisiologico come nei suoi aspetti morali eri intellettuali; l’assistente deve quindi concorrere alla comprensione ed interpretazione della personalità umana del lavoratore, nei confronti dei dirigenti. Le istituzioni, i servizi stabiliti per alleviare i disagi dell’operaio, le molteplici « pratiche » con cui si cerca di armonizzare i suoi interessi nella giustizia, di sanare situazioni anormali in rapporto a vari rischi dell’esistenza, non possono essere considerati fine a se stessi. Tutti questi mezzi non sono che lo strumento attraverso il quale l’individuo dovrà poter edificare il proprio organismo fisico, morale, intellettuale. L’empirismo inerente al servizio non dovrà far dimenticare il più alto fine che sta nel promuovere l’adattamento dell’individuo alle sue mansioni, sia orientandolo verso il campo ricreativo ed educativo, sia concorrendo a migliorare la vita familiare del lavoratore.
Nel far fronte alle varie necessità non si dovrà né favorire la passività dell’individuo, né paralizzare il suo spirito di iniziativa. Evitare, insomma, l’errore della pura e semplice «distribuzione di munificenze» tanto radicate nelle consuetudini perché rispondente ad uno stimolo puramente sensibile, ma sollecitare, invece, la partecipazione dell’assistito a tutte le manifestazioni che possono suscitare in esso lo spirito di emulazione, il desiderio di progredire, di istruirsi, di prodigarsi nei limiti delle sue attitudini. Farlo diventare consapevole della sua parte nella società e nell’ordinamento economico, e cosciente di quella unità di interessi e di valori che è lo scopo e la base dello « Stato corporativo ».
Le manifestazioni assistenziali, educative, ricreative, vengono a creare, nell’ambito dello stabilimento aziendale, un’attività eminentemente spirituale che si ispira al principio della collaborazione.
(…) Non basterà, all’assistente di fabbrica, un semplice corredo dottrinale di nozioni acquisite, ove manchino quelle facoltà ed attitudini che la renderanno pienamente cosciente dell’importanza della sua missione, specie se la sua attività verrà circoscritta entro i limiti di un unico organismo aziendale, l’Assistente, attraverso i rapporti continuativi con uno stesso ambiente, diventerà veramente lo strumento misuratore dei bisogni, l’interprete delle esigenze della massa umana affidata alle sue cure.
Tenuto conto dei nuovi orientamenti scientifici del servizio sociale, e compresa la necessità di trasporre le enunciazioni della dottrina fascista nella prassi, che si fonda sulla comprensione dei singoli problemi psicologici, l’Assistente sociale potrà assumere l’atteggiamento più opportuno nelle diverse verifiche che si presentano ai quotidiano esercizio del suo compito.
Tale, in sintesi, le conclusioni della Grossmann, che, nella sua qualità di dirigente del servizio assistenziale presso la Confederazione Industriali, ha saputo trarre dalla conoscenza pratica acquisita, e dalle osservazioni fatte nei vari stabilimenti italiani, tale esperienza da poter indicare alle proprie collaboratrici, compiti e mete, pericoli e realizzazioni. Ed in tale utilità intrinseca la bellezza della sua missione» (Pistolese G.E., Recensione su “Margherita Grossmann, Aspetti dell’assistenza sociale di fabbrica, Ed. «La Difesa della Stirpe» Roma, 1939-XVII”. In “Bibliografia fascista: rassegna mensile del movimento fascista in Italia e all’estero”, 1940, pp. 767-769).
Un altro campo di applicazione del servizio sociale fu nella rieducazione dei minori delinquenti (Eula E., Una nuova missione della donna fascista, “Echi e commenti”, 1939, 25). A tal proposito, presso ogni Tribunale per i minorenni in base alla L. 20.07.1934 n. 1404 art. 23, era custodito un registro di istituti di assistenza e delle persone benemerite che si fossero dichiarate disponibili all’assistenza ed all’educazione dei minori sottoposti a libertà vigilata (Novelli G., La rieducazione dei minorenni dal punto di vista scientifico, sociale e giuridico, “Rivista di diritto penitenziario”, 1938, 2, pp. 223-262). In altri casi i minori prosciolti per incapacità d’intendere e di volere erano destinati ai riformatori giudiziari, mentre quelli condannati in via definitiva erano destinati alle carceri giudiziarie minorile, es. Sant’Eframo a Napoli (Novelli G., Il primo esperimento delle misure amministrative di sicurezza in Italia, “Rivista di diritto penitenziario”, 1937, 1, pp. 17-48).
L’amministrazione penitenziaria investì molte risorse per il recupero dei detenuti introducendo la psicotecnica nel lavoro penitenziario al fine di favorire la scelta e l’orientamento professionale, risolvere i problemi della fatica e del lavoro mentale, valutare la personalità del condannato, adattare il nuovo giunto ed incentivarlo al lavoro (Banissoni F., La psicotecnica del lavoro negli istituti di prevenzione e di pena, “Rivista di diritto penitenziario”, 1936, 2, pp. 229-239); rispetto a ciò che avveniva nei paesi d’oltralpe e d’oltreoceano, il Fascismo proibì severamente le pratiche di sterilizzazione dei delinquenti (Ottolenghi S., La sterilizzazione del delinquente, “Pro Juventute”, 1935, 4; Ilvento A., Sterilizzazione eugenica?, “Forze sanitarie”, 1935, 4). Negli Stati Uniti d’America furono compiute circa 9000 pratiche di sterilizzazioni tramite la recisione dei dotti deferenti nell’uomo e delle tube di Falloppio nelle donne (Patini E., Recensione su Gosney E.S., Popende P., Sterilization for human bettmerment, NY, McMillan, 1929. In “Rivista di diritto penitenziario”, 1930, 1). Le misure di sicurezza detentive consistevano nella facoltà da parte del giudice di sorveglianza di inviare i detenuti presso una colonia agricola o in una casa di lavoro (assistenziario) o al ricovero in una casa di cura o in un ospedale psichiatrico giudiziario o in un riformatorio (L.C., La discussione al Senato del Disegno di Legge sulla riforma penitenziaria, “Rivista di diritto penitenziario”, 1931, 6, pp. 1471-96).
Il governo adottò un sistema per l’affido dei minori secondo quanto stabilito dal primo libro del codice civile già approvato nel 1939 (riformato poi dalla L. 184/83) in base al quale lo Stato prevedeva che un minore, qualora i genitori non si dimostrassero in grado di accudirlo, fosse accolto in istituto o affidato a persone di fiducia: se dopo tre anni dall’affidamento, si provava che l’affidatario avesse compiuto il proprio dovere educativo, si consentiva a dichiarare “l’affiliazione” (art. 401) per il quale il giudice poteva stabilire la revoca o la proroga dopo il compimento dei 18 anni o con il suo parere dopo i 21 anni (Azara A., L’inquadramento giuridico della famiglia nello Stato fascista secondo il nuovo codice civile, 1939, “Rivista di diritto penitenziario”, 1939, 2, pp. 357-278).
«Molto si parla e si scrive oggi del servizio sociale; ma non sempre se ne comprende l’intimo spirito e il significato essenziale.
Infatti, la parola « servizio » richiama alla mente il pubblico servizio, cioè un complesso di organi aventi una medesima funzione da svolgere. « Servizio » fa, pensare ad organizzazione, a uffici con archivi, a pratiche e protocolli, a norme di leggi e a regolamenti, e pertanto si pensa che il servizio sociale voglia « procedere sulle masse e non sugli individui, si pensa che « l’agente statale » non possa penetrare nei « meandri della vita » e alla mente si affaccia l’immagine di un organismo che a somiglianza di ciò che è l’Alto Commissario per il turismo sia una specie di direzione generale del servizio sociale.
(…) Così inteso il concetto di servizio sociale gravita attorno a due poli: la personalità dell’individuo e la società; e non può quindi essere disgiunto né dalla persona che lo esercita né dai principi generali, gli scopi collettivi a cui tende e in cui si incastona.
Il servizio sociale, secondo la definizione di Mary Richmond, consiste di quei provvedimenti che sviluppano la personalità mediante l’adattamento, convenientemente effettuato per ciascun individuo, dell’uomo al suo ambiente sociale.
Ma la personalità vive e si espande nel modo migliore nel suo ambiente, dall’atmosfera che la circonda, di cui risente tutte le influenze e su cui esercita a sua volta un’azione diretta.
Ecco perché il servizio sociale non ha potuto né voluto prescindere mai dalla famiglia.
Anche la protezione e l’assistenza della famiglia è oggi un’espressione che corre sulla bocca di tutti, che si sente ripetere sulle riviste e sui giornali, senza che però alcuno sia .ancor penetrato nel profondo significato di questo che è un programma e un compito arduo. Si pensa, in generale, alle norme dcl diritto penale che puniscono chi attenta alla integrità della famiglia; alle esenzioni fiscali concesse alle famiglie numerose, alla protezione delle madri e dei bimbi ma tutto questo al solito come organizzazione, come provvedimenti generali e quindi schematici e dei quali molte volte le famiglie che potrebbero valersene non sono e non possono essere a conoscenza.
Nessuno pensa al servizio sociale della famiglia come opera di educazione, di consulenza e di tutela, ma svolta da una persona che sia preparata a questo compito e che lo eserciti professionalmente, cioè con continuità e completa dedizione di sé, in una determinata circoscrizione territoriale.
Ed è questo servizio sociale in rapporto alla famiglia che ha costituito il programma e il contenuto del recente congresso Internazionale del servizio sociale (Francoforte 10-15 luglio 1932). Mentre il 1° Congresso tenutosi a Parigi nel luglio 1928 rappresentava sopratutto uno spiegamento delle forze del servizio sociale di tutto il mondo e doveva avviare i «Social Worker » a conoscersi, a intendersi, a imparare gli uni dagli altri e ad unirsi, questo Congresso doveva approfondire e studiare da tutti i punti di vista il tema centrale del servizio sociale, il problema basilare dell’oggi: la famiglia.
Anche la famiglia è uno dei temi all’ordine dei giorno; se ne parla per constatare che essa va disgregandosi, va perdendo le caratteristiche tradizionali che la rendevano così salda e forte; onde da alcuni si afferma la necessità di far di tutto per ricondurla all’adempimento dei compiti, che leggi naturali e civili, morali e religiose le posero: mentre da altri se ne deduce che la famiglia è un’istituzione superata, destinata a cedere il posto a forme di vita e di organizzazioni sociali più rispondenti ai tempi nostri.
Per discutere di una questione bisognerebbe conoscerla: conosciamo noi veramente la famiglia, sappiamo noi in che cosa consiste, come si svolge la vita di questo organismo che cela un suo intimo essere agli sguardi degli estranei, la cui essenza è un mistero a quegli stessi che ne fanno parte e contribuiscono alla formazione di quel « quid » indefinibile ed inafferrabile che è l’anima: l’atmosfera famigliare o spirito di famiglia?
Abbiamo statistiche dettagliate dei matrimoni si rapporto alla età e alla professione dei coniugi, al loro grado d’istruzione, al prezzo all’ingrosso del ano; statistiche della natalità legittima e illegittima, della mortalità, delle separazioni coniugali, della frequenza di certi delitti e da tutte queste espressioni schematiche e generali tanto da divenire talvolta astratte, noi cerchiamo di dedurre qualche conclusione sulla vita di famiglia, sulla moralità dei suoi membri e così via. Ma anche questi studi non fanno che girare attorno al punto cardinale, non ci rivelano che alcune linee generali su cui tutto ancora sarebbe da costruire.
Per conoscere da vicino e nella stia realtà palpitante la vita della famiglia, il metodo principe è quello delle monografie, dello stadio intensivo dei casi tipici, mediante accurata e prolungata osservazione, metodo messo in onore dal «Le Play», fiorito per alcuni anni e poi caduto in oblio, e recentemente ripreso con una serie di interessanti pubblicazioni dalla « Akademie fur soziale und padagogische Frauenarbeit » (Berlino).
Se la monografia studia da vicino in tutti i suoi particolare la vita di alcune famiglie, la inchiesta sociale, la indagine personalmente e intensamente condotta in tutto un quartiere fa conoscere le famiglie non soltanto come organismi isolati, ma quel che più importa, nei loro reciproci rapporti, volontari e involontari. Fa conoscere un « vicinato» e quindi illumina più chiaramente le influenze che operano su ciascuna famiglia. La grandiosa inchiesta sulle condizioni di vita della popolazione londinese fatta da Charles Booth nel 1886 e ripresa oggi nella stessa Londra da una schiera di demografi e sociologi (The new Survey of London life and labor, v. I. Forty years of change, London, 1930), ha avuto anche presso di noi una felice, applicazione, purtroppo rimasta senza imitatori, di Paolo Orano: « Come vive il popolo a Roma ». Per studiare la vita di un quartiere popolare, il Testaccio, egli vi si era insediato, ben sapendo che soltanto con la partecipazione spontanea, naturale e continua alla vita del popolo nel proprio ambiente, la si può conoscere e comprendere. E soltanto vivendo con il popolo e in mezzo al popolo, condividendone la vita, lo si può capire, aiutare e sollevare. Questa la convinzione, confermata poi dalla esperienza di decenni, dei pionieri di Toynbee Hall (il primo « Settlement » fu istituito nel 1884 a White Chapel, il più orrido « slum » di Londra, dal Reverendo Canon Barnett, da sua moglie e da alcuni idealisti; e ”to settle” vuol dire in lingua inglese stabilirsi, fissarsi, onde ”settlement” è residenza, colonia). Nei loro concetti fondamentali i « bonificatori » dell’Inghilterra e dell’America; del Belgio, della Francia e della Germania, là dove si sono diffuse le dozzine di « settlement », si sono ispirati, e ispirano, ai a « Social case workers », coloro cioè che svolgono nel popolo il servizio sociale del caso individuale della famiglia.
(…) « Gli esseri umani sono interdipendenti » con le parole di Miss Mary Willcox Glenn (Bulletin International du Service Social, n. 3) « e la famiglia meglio organizzata è quella che promuove, nel modo migliore la personalità dei suoi membri; e la personalità si sviluppa mediante lo giuste relazioni con la società. L’arte del servizio sociale consiste nel saper scoprire e assicurare all’individuo, le relazioni sociali migliori possibili. Ma gli esseri umani sono differenti gli uni dagli altri; bisogna trovare i provvedimenti per offrire aiuti diversi a ciascun individuo (principio della individualizzazione). Gli esseri umani non sono animali dipendenti e domestici; onde deriva la necessità che ciascuno deve partecipare alla elaborazione e all’attuazione del progetto per il proprio risollevamento. Gli individui hanno le loro volontà e non sono fatti per avere una parte passiva nel mondo: essi si guastano, se questo avviene (principio della compartecipazione dell’assistito all’opera del proprio risanamento). Per attuare questi metodi, per applicare questi principi, per perseguire questi scopi è sorto il servizio sociale professionale. « Questa professione è ardua; essa pone al di sopra di ogni azione pratica, il più elevato sforzo intellettuale di cui il lavoratore sociale sia capace, poiché i suoi contatti con la parte umana della vita sono caldi continui e ricchi di ricompensa, operando con riverenza istintiva per la personalità e con caldo umano interesse per il popo1o, la personalità stessa del lavoratore sociale si sviluppa. Così il servizio è reciproco ».
Questi principi proclamati in forma diversa — sotto diversi punti di vista e partendo da presupposti ambientali e spirituali diversi — ma aventi in comune l’essenza e il significato, sono il frutto dell’esperienza fatta nella beneficenza, nell’assistenza sanitaria, nella previdenza sociale — esperienze che inducono alla stessa conclusione: al riconoscimento, cioè, della necessità del servizio sociale basato sulla ricerca delle cause e sulla diagnosi del singolo caso sociale, condotto con metodo finemente individuale, adatto di volta in volta alle singole esigenze; elaborato ed attuato con il consenso, la partecipazione e la collaborazione attiva del « cliente ».
La beneficenza sì limita al soccorso immediato, temporaneo, alla concessione di elemosine, sussidi, in denaro e in natura, distribuiti secondo il criterio personale del benefattore o secondo l’impulso sentimentale del momento; quindi, creando le condizioni favorevoli, coltiva e mantiene la miseria (come lo sperimentatore prepara e conserva le colture di bacilli in terreno adattò), sperpera improduttivamente i mezzi, frazionandoli in piccoli sussidi saltuari, insufficienti e male impiegati.
L’assistenza sanitaria — anche quella più moderna e perfezionata — sono parole del Direttore dei servizi sanitari della città ai Birmingham (Bullettin international du Service Social, n. 5) che considera unicamente la parte sua, biologica della personalità umana e quindi ha valore solo in quanto, curando, proteggendo e preservando la salute fisica dell’individuo, ne libera le forze e lo mette in condizione di poter concentrare le sue energie su scopi più elevati. L’assistenza sanitaria profilattica e curativa non può raggiungere lo scopo completo della bonifica integrale dell’individuo — se non con l’aiuto del servizio sociale educativo, che guida le energie così liberate a dirigersi verso finalità socialmente utili e proficue.
La previdenza sociale dovendo operare sulle masse, basandosi sulle statistiche dei grandi numeri, e essendo per necessità generale e uniforme, è schematica e livellatrice e deve quindi — come osserva Alice Salomon nel suo studio sui « Metodi individualistici e schematici dell’assistenza » (Le assicurazioni sociali, 4, 1930) — esser corretta e integrata dal servizio sociale del caso individuale.
Ancora una volta a Francoforte i lavoratori sociali, convenuti da ogni parte del mondo hanno ribadito questi concetti fondamentali, ne hanno riaffermato la necessità e l’utilità, hanno cercato di perfezionarli, di adattarli alle esigenze particolarmente difficili di questo periodo di crisi e di disoccupazione, nel quale il servizio sociale è la condizione imprescindibile per salvare la famiglia e per proteggere le nuove generazioni.
I mezzi di aiuto sono scarsi e vanno sempre diminuendo: più forte che mai quindi il bisogno di adoperarli con parsimonia e soltanto in quel modo che ne garantisca il massimo rendimento.
Come il capo intelligente di un’azienda in pericolo cerca di perfezionare i metodi di produzione, di ridurre al minimo i costi e di migliorare i prodotti, valendosi di tecnici altamente qualificati, così i capi delle organizzazioni di tutto il mondo, i dirigenti degli organi assistenziali dello Stato, gli esperti più di atti e più colti, sono d’accordo nel proclamare l’urgenza di migliorare e approfondire la preparazione tecnica dei personale del servizio sociale per affidare soltanto ad esso i delicati compiti di protezione e assistenza sociale (Fanny Dessau, La famiglia e il servizio sociale, “Maternità ed infanzia: mensile dell’Opera Nazione Maternità ed Infanzia”, 1932, 8, pp. 736-744; cfr. Fabbri S., Il servizio sociale dell’Onmi, “Maternità e infanzia”, 1932, 11-12, pp. 464-465).
Maria De Benedetti, Federica Pittini, Assistenza sanitaria sociale, 1959:
Il concetto di assistenza fu introdotto da Cesare Correnti nel 1848. l’introduzione del termine “servizio” avvenne su emulazione degli stranieri (Di Benedetto M., Pittini F., Assistenza sanitaria sociale, Roma, Armando, 1959, p. 2). Si parla del data base comunale “i tentativi di collaborazione tra le varie istituzioni sono state risolte in America mediante l’introduzione di un centro di informazioni sociali”(Id., p. 42) presso il quale è ubicato un “schedario centrale” con tutte le cartelle. Sta scritto che “l’uguaglianza è una somiglianza nella quale spiccano le diverse necessità” (Id., p. 52)
Durante il fascismo il sistema sanitario era costituito dalla Direzione Generale della sanità pubblica alle dirette dipendenza del Consiglio dei Ministri. Sono elencate l’Istituto superiore di sanità con competenze e tecniche e il Consiglio superiore di sanità con funzioni consultive che è formato dai prefetti per ogni provincia. A un livello inferiore vi sono le Province dirette dal Prefetto che si avvale della collaborazione di un medico provinciale nel laboratorio d’igiene e profilassi e di un consiglio provinciale sanitario. L’ultimo livello è rappresentato dal sindaco e dall’ufficio d’igiene. Sono elencati una serie di requisiti per accedere alla professione di assistente sanitaria visitatrice (Id., pp. 68-71):
- organi in buone condizioni
- sensi raffinati
- perfetto equilibrio fisico-mentale
Accanto a questi requisiti fisiologici sono indicati anche quelli morali:
- Responsabilità professionale: l’assistente sanitaria visitatrice non sempre ha l’appoggio di qualcuno, spesso si ritr5ova a dover prendere decisioni da soli cercando di conciliare il tempismo con la determinazione ma soprattutto non si deve mai dimenticare il bene comune, l’entusiasmo della professioni e l’onesta della norma.
- Spirito di abnegazione: nulla è possibile senza sacrifici, al di là del carico di lavoro individuale e delle condizioni sociali degli utenti
- Ordine e disciplina: sono indici d’ordine la scrittura chiara, lo zelo nel compilare le schede di riepilogative, il modo di vestirsi possibilmente in divisa, sono da abbandonare i modelli basati sull’organizzazione scientifica del lavoro, poiché è impossibile ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, piuttosto è da prediligere il senso di obbedienza e di rispetto per la gerarchia, nonché la puntualità degli orari
- Osservazione: attingere ogni particolare durante lo svolgimento del proprio lavoro al fine di realizzare dei rendiconti ordinati per il miglioramento del metodo
- Iniziativa: tempestiva nel superare gli imprevisti, prudente nel mantenersi nei limiti organizzativi
- Tatto e discrezione: evitare pettegolezzi, spirito di collaborazione coi colleghi ma soprattutto cogli utenti per carpire informazioni ai fini dell’ananmesi
- Sociabilità e socievolezza: con la prima si intende la capacità di esprimersi e di parlare un buon italiano e possibilmente anche una lingua straniera, la seconda indica la capacità nel dare e provocare la collaborazione altrui.
- Perseveranza: non deve mai venir meno la fede nelle opere e nei risultati anche se tendono a venire meno, senza nascondere le difficoltà, anzi mettendole in luce e chetarle, da non confondere con l’ottimismo che tende a offuscare i problemi
- Umiltà: da non confondere col servilismo che porta all’acquiescenza degli eventi e alla passività, piuttosto l’umiltà stimola a non fermarsi alle apparenze e a riconoscere i momenti altrui e decidere di migliorarsi con la pratica dell’esempio.
- Bontà d’animo: da non confondere il buonismo che prelude di indossare la maschera dell’ipocrisia, piuttosto deve riflettere il sentimento senza farsene trascinare, deve guardare al prossimo senza chiedere nulla in contropartita se non la giusta mercede che la professione richiede. Coltivare la propria sensibilità ad onta dei condizionamenti che tendono a riporre la maschera in volto.
- Religione: “rende capaci di combattere le depressioni e gli scoraggiamenti suscitati dal contatto colle sofferenze umane” (Di Benedetto M., Pittini F., Assistenza sanitaria sociale, Roma, Armando, 1959, p. 70).
- Amor di patria: riabilitare l’utente significa anche partecipare alla “grandezza della nazione e alla purezza della stirpe” (Ibidem)
Requisiti per le funzioni direttive:
- Autorevolezza: passa attraverso l’obbedienza in quanto “nessuno può comandare con maggiore sicurezza di chi sa obbedire volentieri”, da non confondere con l’autoritarismo che tende a imporre la propria volontà trascurando quella altrui, piuttosto occorre incoraggiare, risvegliare le energie e le risorse latenti, stimolando gli altri a credere in se, non chiedendo ai propri subordinati nulla di più che siano disposti a dare, ma essendo sempre disponibili ad ascoltare gli altri pur dispensano qualche piccola cortesia al moneto opportuno; se servizi sociali si lascia in genere esercitare la professione di base per quattro anni in quanto si ritiene che difficilmente si può giungere al posto di comando, senza aver sperimentato tutte le fasi di lavoro.
- Iniziativa: “l’esempio cioè accertato nella strategia militare, è alla base dell’ardore per la vittoria” (Di Benedetto M., Pittini F., Assistenza sanitaria sociale, Roma, Armando, 1959, p. 72).
- Obiettività: capacità di rinunciare al proprio ego, informandosi sempre sulla controparte in caso di diatribe favorendo il contraddittorio e la riconciliazione, osservare la realtà empirica con oggettività.
“le prime scuole professionali furono per infermiere” (Di Benedetto M., Pittini F., Assistenza sanitaria sociale, Roma, Armando, 1959, p. 75) “ a Roma nel 1919 sotto l’egida del consiglio nazionale delle donne italiane per iniziativa di un gruppo di infermiere americane che aveva prestato assistenza in Italia durante la prima guerra mondiale in favore dei soldati feriti”(Id., p. 77) “a partire dal 1921 la scuola fu guidata dalla CRI” (Id., p. 77)
Il corso per assistenti sanitarie visitatrici aveva durata annuale e oltre alla disciplina teoriche conteneva anche un tirocinio pratico formativo. Gli insegnanti erano importati col concorso della facoltà di medicina e del personale della provincia. Il tirocinio serve a “rendersi conto del congegno del servizio” (Di Benedetto M., Pittini F., Assistenza sanitaria sociale, Roma, Armando, 1959, p. p. 78) oltre “a quale branca assistenziale preferirebbero dedicarsi le allieve” (Id., p. 28). Per accedere alla scuola sono stabiliti dei periodi di prova di 2 mesi durante i quali si cerca di fare una cernita tra chi manifesta “doti morali e spirituali”(Id., p. 79) e chi invece appartiene agli “spostati e agli scontenti della vita” (Id., p. 78). Le sessioni d’esame sono tre con una singolare novità: l’accesso agli esami estivi è consentito solo per chi ottiene la media 7/10 in tutte le materie,, ma per chi risultasse respinto in una o più materie è consentito il recupero autunnale. In ogni caso la media 7/10 è necessaria per conseguire il diploma, non si fa menzione di alcuna dissertazione orale o tesi o simili, il titolo dunque è assegnato ipso jure, mentre è obbligatorio l’esame di stato le cui tracce sono stabilite dalla direzione generale di sanità pubblica . l’esame di stato si rende necessario a fronte di tante scuole dislocate sulla penisola, ognuna con programmi d’insegnamento diversi.
Sta scritto “le allieve devono sentire abolita la cattedra che qualche volta distanzia non solo materialmente, ma anche spiritualmente e considerare la direttrice come una sorella maggiore” (Id., p. 80) questa alleanza cameratesca consente di vivere la scuola come “salutare per la vita e per la professione” (Id., p. 80)
De Benedetti, riprendendo la conferenza di Parigi del 1928, così definisce il servizio sociale “l’insieme degli sforzi aventi lo scopo di sollevare le sofferenze causate dalla miseria e riportare gli individui e le loro famiglie nelle condizioni normali di esistenza, sia con il servizio individuale, sia con l’azione legislativa collettiva, sia con le inchieste sociali” (De Benedetti M., Pittini F., Assistenza sanitaria sociale, Roma, Armando, 1959, p. 100).
“è stato detto che la forza di un popolo è l’educare gli individui nel dare una coscienza morale e nel creare una coscienza igienica. Cerchiamo con spirito di carità cristiana e di amore patrio di contribuire ad aumentare la forza del nostro popolo” (Id., p. 105)
Intervista è un “inchiesta verbale o orale” (Id., p. 153) che non rende ragione al corrispettivo inglese “interview”.
“fin dal 1923 per iniziative della CRI furono destinate assistenti sanitarie” nei rioni popolari delle città italiane tra cui Napoli” (Id., p. 171)
Tra i compiti dell’ECA c’era la distribuzione di “pacchi viveri, indumenti, contributi di affitto, medicine” (Ibidem)
Durante il Fascismo l’80% della popolazione viveva in zone rurali, il regime intendeva mantenere tale status quo in ragione della maggiore condizione morale in quanto “gli adulteri, gli abbandoni e le nascite illegittime sono minori che nelle città” (Id., p. 185)
L’Onmi offriva un premio di affiliazione che consisteva in soldi dati alla coppia sorteggiata che aveva preso in affido uno o più bambini (Id., p. 270)
Dopo il primo o secondo anno, il bambino abbandonato è dato in affido (affiliazione) o in adozione presso coppie o single. Previsto anche l’adozione all’estero, es. America. Dopo il 14 anno il fanciullo dell’istituto socio-assistenziale è riconsegnato alla famiglia d’origine o avviato al lavoro (Id., p. 271)
Caratteriali, eretistico, instabili, immorali, deboli fisici, distratti, classi differenziali, mentre quelli che dopo un periodo di osservazione sono riconosciuti recuperabili frequentano gli “asili scuola” (Id., p. 283)
Di Tullio ha fondato l’ENPFM nel 1944 che si occupava di minorenni “caratteriali” (con problemi disciplinari) tramite i centri provvisori di servizio sociale. Prendeva in carico i bambini dopo i sei anni dopo che erano stati allontanati dall’Onmi (Id., p. 301).
Circa le case di rieducazione sta scritto “in sostituzione dei vecchi sistemi repressivi, rigidamente disciplinari, che l’esperienza ha dimostrato essere controproducenti, sono strati applicati metodi ispirati alla psicologia e alla pedagogia” (Id., p. 313). È noto infatti che le case di rieducazione o di trattamento penitenziario per minori fossero presenti moto prima del Fascismo già all’epoca dell’introduzione del Codice Zanardelli nel 1889 ed è probabile che i metodi fossero molto più poveri ed essenziali rispetto al XX secolo.
Fin dal 1935 gli uffici distrettuali di servizio sociale ubicati nelle sedi di Corte di Appello presso il Tribunale per i minorenni si occuparono del servizio sociale per minori di condotta irregolare, ovvero abbandonati o fermati dalla pubblica sicurezza o comunque in attesa di provvedimento dell’autorità giudiziaria che era assolto e comunque non ritenuto socialmente pericoloso era affidato alle case di rieducazione tramite gli Udss, i più pericolosi invece erano relegati nei riformatori cioè il carcere minorile (Id., p. 313).
“Durante la grande guerra sorreggere moralmente e materialmente gli operai degli opifici, significava contribuire alla vittoria” (Id., p. 60).
Virginia Delmati, Ciò che ricordo, 1951:
Parlare del Servizio Sociale di Fabbrica in Italia è per me scrivere un capitolo di storia vissuta poiché ebbi la ventura di assistere, nel ’24, agli inizi di tale attività in Roma e, nel ’28, dopo il primo Congresso Internazionale di Assistenza Sociale a cui avevo partecipato, al suo inserimento ufficiale nella vita del Paese. Mi sembra che, a Roma, il Servizio Sociale, nel settore del lavoro, sia nato nel ’23 e ’24, con lo stabilirsi qui, per la prima volta nella grande industria, quando la mano d’opera, assorbita sin d’ora soprattutto nell’artigianato, non era facilmente reperibile in loco, e quella disponibile necessitava di un orientamento e di un appoggio per incanalarsi nel nuovo lavoro.
Fu allora ch’io vidi sorgere a Roma il primo servizio sociale con l’impianto delle attrezzature assistenziali della Viscosa, progettate e sollecitate dall’iniziativa intelligente ed ostinata dell’allora Don Ferdinando Baldelli, ardente seguace dell’opera sociale dei grandi vescovi lombardi Monsignor Bonomelli e Monsignor Scalabrini, apostoli degli operai. Egli seppe allora ottenere con il suo entusiasmo, dalla cortesia un po’ brusca e distratta, ma in fondo umana, del Barone Fassini, gradatamente attenzione, comprensione ed interessamento. Sorsero così, nel complesso dei nuovi edifizi costituenti lo Stabilimento di Prenestina, i padiglioni assistenziali dei refettori, dei convitti, degli spacci aziendali e della Cappella. L’inaugurazione dei refettori della Viscosa segna veramente una data d’inizio per l’assistenza di fabbrica. Fino ad allora gli operai romani, in generale, non avevano avuto l’opportunità di consumare un pasto caldo sul luogo del lavoro, al coperto, in un ambiente igienico, riscaldato. I nuovi locali divennero subito centro degli incontri, dei contatti, dei ritrovi, degli avvicinamenti, degli scambi di idee; il luogo ove nascevano le nostre amicizie con le maestranze, e dove, con la simpatia, nacque la nostra vocazione sociale.
I convitti furono qualche cosa di più; furono sino al 1943, il cuore della fabbrica, come le dinamo ne erano il polmone: ed il loro arrestarsi, infatti, fu coordinato e violento, come fra i due organi vitali; ma, grazie a Dio, temporaneo. I convitti introducevano un po’ di famiglia di cose semplici e umane nel travaglio della produzione meccanica; furono l’angolo della sosta nell’ansia della fatica. Non erano caserme, e la vita comunitaria in essi, non fu mai massiva, ma umana. C’era, tra l’altro in essi, anche il teatro, ove la domenica si proiettavano film, o si rappresentavano drammi, di sapore schiettamente popolare. Gli abitanti del quartiere vi si riversavano tutti, accanto ai convittori e convittrici e, platea e palcoscenico diventavano una cosa sola. La fusione era completa tra il pubblico, gli attori e l’autore, appartenenti tutti alla medesima classe, con il medesimo gusto ispirazione, emotività.
Di maggio i pini e gli oleandri dei viali ai convitti erano festonati a gala e, di sera, illuminati: processioni di operai al mattino sfilavano dietro la Madonna dello Stabilimento, rompendo poi le righe in una incontenibile gaiezza paesana, sostenuta dalle note sonore della banda, celebre anche per il lusso della divisa e dei berretti. Accordi di mandolini e di chitarra indugiavano nei giorni feriali, a spegnersi nelle camerate, nostalgiche di desideri di casa, di molteplice natura. Le ragazze arrivavano al Convitto di novembre già fidanzate e, in genere, se ne ripartivano a primavera, due o tre anni dopo con il baule del corredo, ricamato negli intervalli di lavoro, dovuto oltre, che alla loro buona volontà, anche a quella, più tenace, delle suore. Portavano via anche un libretto di risparmio, che Suor Caterina aveva custodito più gelosamente di qualsiasi tentazione, sino a quel giorno. C’era nel convitto femminile anche una scuola di canto e di ginnastica, oltre a quella di cucito e sartoria; ed anche, con sereno ardimento, la classe di danza ritmica, che si produsse ufficialmente più di una volta nelle grandi occasioni.
II Comitato di Monsignor Baldelli si occupò subito di scuola. È il primo tipo di Scuola di fabbrica ch’io conobbi, e mi pare, scorgendone il programma del ’28, di trovarla già adulta, concepita nei corsi di cultura generale, e di cultura professionale, che per le donne, era di economia domestica. La cultura generale comprendeva anche la scuola per gli analfabeti. Il primo direttore fu un sacerdote professore dell’Università di Roma; gli insegnanti volontari, parte laureandi esterni alla fabbrica, parte tecnici della fabbrica medesima. La scuola fu frequentatissima e rilasciava annualmente certificati che si distribuirono con gran solennità in fabbrica. Seguiva l’opera della scuola, una biblioteca circolante con un fondo di volumi filosofici, storici, romantici, tecnici e religiosi. Queste attività assistenziali culminavano nell’assistenza religiosa, la quale offriva all’operaio la possibilità di coltivare, liberamente la più preziosa sua ricchezza e dignità; quella dello spirito. Tale la prima assistenza di fabbrica che ho visto in atto nell’industria, alle iniziative della quale ho la gioia dì aver partecipato, facendovi le mie prime, preziose esperienze: ero la Segretaria dell’Onarmo.
Da Roma l’Onarmo si estese a Rieti, Padova, Bologna, Napoli, comprendendo sempre più larga cerchia di industrie, private e di Stato, a Carbonia, all’Arsia, a Genova, Torino, Venezia. Finché si trovo, nel’43, ad essere uno dei più grandi Enti di assistenza Sociale nel campo dell’industria e, come tale, ad essere considerato nel cruciale momento dell’ecatarsi, quando si distinse per gli eminenti meriti civili che acquisto nei confronti della Patria. La caratteristica principale di tale assistenza di fabbrica, che dura tuttavia fu, ed è, di convogliare, accanto al complesso delle forze meccaniche impiegate nella trasformazione della materia, la forza immateriale, ma potente, dello spirito, sviluppando, nei recinti della fabbrica una umana simpatia per i bisogni, le aspirazioni, le preoccupazioni degli uomini che vi lavorano, la cui persona non può mimetizzarsi con l’ambiente incolore e sterile, ma rimane viva ed è spesso tormentata.
L’intento fu di provare di alleggerire la fatica cooperando a trasformarla in una consapevole milizia umana e cristiana, utile e degna. I metodi furono e sono semplici: il contatto diretto, la fiducia, l’introduzione della “luce della Fede”, la dedizione di persona. Il personale che vi si impegnò fu un gruppo, in cui ha particolare rilievo la caratteristica figura del Cappellano del Lavoro, così coraggioso e semplice, e con lui, l’assistente sociale. Le realizzazioni furono pratiche e spirituali; furono utili e buone, e resero servizi molto importanti. Gli industriali dettero la loro comprensione e le possibilità materiali; ma lasciarono i1 rischio e la responsabilità a chi aveva ideato un lavoro così concreto ed ideale. Nel ’29 nacque l”Assistenza Sociale di Fabbrica” ed io ebbi l’onore di essere scelta per iniziarla a Roma, dalla Confederazione degli Industriali, che l’aveva assunta a modello in tutta Italia e che introdusse presso le Unioni Industriali di quasi tutte le provincie.
L’Assistenza Sociale di Fabbrica ebbe, sin dagli inizi, carattere proprio, diverso dai servizi sociali descritti. Fu improntata ad una precisa tecnica di orientamento e di collegamento del lavoratore all’organizzazione amministrativa, assicurativa, civica sociale del Paese. Era urgente portare l’operaio a godere praticamente delle sue competenze giuridiche, amministrative ed assicurative, che spesso egli ignorava. L’assistenza di fabbrica fu soprattutto un servizio specializzato di legislazione sociale applicata, caso per caso, da specialiste. Auspice la Confindustria nacque appunto nel ’29 la Scuola Superiore di Assistenza Sociale che si assunse il compito della preparazione delle assistenti sociali di fabbrica, soprattutto nella legislazione sociale, con programmi eminentemente giuridico sociali. Le Assistenti di fabbrica usarono per la loro tecnica uno “strumentario cartotecnico”, creato appositamente per il loro servizio dalla Dott.ssa Paolina Tarugi, alla quale si deve soprattutto la concezione e l’organizzazione del Servizio sociale di Fabbrica della Confindustria, e che già aveva attuato precedenti esperimenti, nell’immediato dopo guerra nel 20 e ’21 a Milano, per le donne impiegate nelle fabbriche ed a Terni.
L’assistenza Sociale di Fabbrica operò su di una casistica così ampia (in circa 1500 stabilimenti) da costituire, nelle assistenti più intelligenti, una non comune competenza. Non solo, ma tale competenza fu anche adoperata nello sviluppo dello jure condendo assicurativo ed assistenziale di quel periodo. Ricordo che la Dott.ssa Tarugi presentò, qualche tempo dopo l’istituzione degli assegni familiari, nel ’34, se non erro, all’Istituto di Previdenza Sociale una proposta di ampliamento della qualifica di “capo di famiglia”, attribuita alla donna lavoratrice. Proposta che fu accettata, e che era documentata su moltissimi casi, collezionati dalle assistenti sociali e dalle sue dipendenti. Essi dimostravano la necessità di estendere tale qualifica ad alcune categorie dimenticate dal decreto istitutivo, tra le quali, ad esempio, le mogli dei detenuti. Oltre al ramo assicurativo la consulenza si estese al campo amministrativo, civile e militare, tributario e para-giuridico. L’assistente divenne una sorta di vademecum vivente ad uso degli operai. Ma la tecnica giunse anche allora, naturalmente, al contatto personale, all’approfondimento del caso, e sboccò nella visita domiciliare. Adottò dunque i mezzi di una opportuna diagnosi solale. Nelle mani dell’assistente il documento sì animò molte volte. servì da testimonio vivo, benché in apparenza arido e quasi afferrabile, di una storia umana, significativa, che reclamava sostegno e comprensione.
Oltre al lavoro descritto le assistenti, soprattutto nei grandi complessi di lavorazioni delicate o pericolose, fiancheggiarono efficacemente il medico nell’azione di profilassi medico-sociale, in fabbrica ed a domicilio. Sempre l’assistenza rappresentò nei confronti della direzione, in maniera più o meno efficace, i bisogni degli operai. Nel contatto, le assistenti portarono liberamente la loro personalità, a volte la più profonda. Pur non disponendo di una guida teorizzante tipo americano odierno, esse però riuscirono, quasi sempre, è stabilire i capisaldi del case-work. Ognuna, comunque, apportò sul lavoro il contributo della sua cultura, di frequente universitaria, che, al contatto della realtà umana divenne viva e palpitante. Molte ditte adottarono l’attività completa, per sé, di una esistente sociale. Tal ché alcune assistenti si trovarono a dirigere l’organizzazione assistenziale dello stabilimento e cioè il nido di fabbrica, il dopolavoro, le colonie estive, l’organizzazione ella giornata della Madre e del Fanciullo.
L’Assistenza di Fabbrica aveva una vita feconda ed intensa, fin quando fu travolta nella catastrofe del’43. Se il servizio burocratico dell’Assistenza Sociale di Fabbrica fu dimesso, esso però sopravvisse nell’umile, ininterrotta prestazione delle singole assistenti sociali. Le quali continuarono le loro laboriose visite di fabbrica, incuranti della tempesta che infuriava ovunque, rifacendo ogni giorno serene, ed apportatrici di serenità, la loro strada di stabilimento, anche quand’essa fu battuta dai bombardamenti. E qualcuna di loro terminò in virtù eroica di vittima della guerra, la propria carriera sociale. Le trovai ancora al loro posto, quando l’Onarmo ne assunse molte al proprio lavoro, utilizzandone l’opera preziosa. Esse non avevano abbandonato le maestranze, e le maestranze non avevano abbandonato loro; le consideravano al di sopra ed al di fuori della lotta e della fazione di parte, nella zona sicura dell’amicizia umana. L’Onarmo aggiunse la tecnica del loro servizio sociale la proprio umanesimo sociale. Ora, con la loro collaborazione, l’Onarmo svolge gran parte del servizio sociale nell’industria italiana. Questo il consuntivo del servizio sociale di fabbrica nei miei ricordi. Riassumendo mi pare che finora, in Italia, il servizio sociale, con le sue tecniche, abbia atteso ad adattare la persona umana alle circostanze di lavoro e della vita nelle quali si trova. Occorre ora svolgere la seconda parte del lavoro, più ampia della prima, e nella quale il servizio sociale non può certo fare da sé, a soltanto agire come parte di un assai più vasta azione sociale. L’adattamento cioè del lavoro all’uomo. Ma di questo, potremo forse, in sede adatta, di nuovo parlare (Delmati V., Ciò che ricordo, “Quaderni d’informazione per assistenti sociali”, maggio-agosto, 1951, pp. 31-36).
Nel 1947 l’Italia aderisce all’International Conferenze of Social Work in seguito alla costituzione del Comitato italiano di servizio sociale (Torru V., A Roma la X conferenza internazionale di servizio sociale, ”Assistenza oggi”, 6, 1959, pp. 79-82, p.79).
Sta scritto del «diritto di asilo non come diritto dello straniero ma come un dovere dello Stato verso altri Stati» (Assemblea Costituente – Atti Parlamentari – Discussioni, 1947, vol. III, p. 2744).
Si inizia a parlare di «assistenza sociale» nell’Assemblea Costituente a partire dal 16 aprile 1947 in occasione della discussione sui rapporti economici, in particolare si legge di un emendamento sull’art. 38 (all’epoca 34) di Enrico Medi (DC) «lo Stato promuove e favorisce l’assistenza e la previdenza» (Assemblea Costituente – Atti Parlamentari – Discussioni dal 16.04.47 al 29.05.47, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma, 1947, vol. IV, p. 3834); si legge di un emendamento per disabili «i cittadini inabili al lavoro […] hanno diritto alla rieducazione e all’immissione al lavoro» (Mario Merighi, PSI, 3697); si legge di una pianificazione sociale da pp. 3778 a 3790; tutta la seduta del 10.05.47 è dedicata all’art. 38 in particolare si legge della distinzione tra «diritto al mantenimento» e «diritto all’assistenza sociale» dove il primo è garantito dalla famiglia, mentre il secondo dallo Stato (3833); sta scritto che il testo licenziato dalla commissione indica «ogni cittadino inabile al lavoro» invece durante le discussioni era sorto «ogni cittadino» (3834); non si parla quasi mai di operatori sociali eccetto in riferimento agli enti privati «tutti i professionisti sentono il bisogno di godere della fiducia dei propri assistiti, come del pari gli enti e gli assicurati sentono il bisogno di scegliere i professionisti in base al merito» (Beniamino De Maria, DC, 3828), si intende invece la disciplina quasi sempre alla stregua di solidarietà sociale tra cittadini, in tale cornice si dipinge la figura del operatore sociale, non ancora inquadrato legalmente, perchè considerato un soggetto del diritto privato.
Secondo Ferdinando Terranova «l’art. 38 è così tormentoso, carico di compromessi che l’interpretazione della norma finisce coll’essere ancorata alle volontà politiche delle maggioranze» (Terranova F., Il potere assistenziale, Roma, Ed. riuniti, 1975, p. 117); secondo l’autore il legislatore ha espresso il medesimo concetto con due «dizioni diverse» cioè l’art. 38 dove si legge “assistenza” e l’art. 117 dove si legge “beneficenza” (idem); «le leggi che il fascismo ha posto in essere sono conservate intatte nell’ordinamento giuridico post-fascista» (p. 100).
La presidente ANAS Rosetta Stasi durante il primo convengo nazionale a Roma nel 1950 disse: «i principi fondamentali di servizio sociale sono già espressi agli artt. 2 e 3 Cost. e una disciplina giuridica della professione si impone in quanto […] ogni attività è prevista e contemplata da un’espressa norma di legge» (Vaccaro C., 1951, Per una maggiore valorizzazione dell’assistente sociale, ”Quaderni di formazione degli assistenti sociali”, mag-ago, pp. 115-117, 116).
Giorgio Mastino Del Rio, commissario all’ENPI, scrive: «Più sovente accade che il servizio sociale debba operare nella sfera morale, sotto forme di conforto diretto a ridare fiducia nella vita a chi può averla perduta ed a superare avversità in cui il fattore umano prevale, mentre il lavoro sociale presenta caratteri di mera complementarietà, anche se conserva integri quelli di solidarietà nazionale. (…) quanti sono attualmente gli assistenti o lavoratori sociali in Italia? All’incirca 1100 dei quali circa 500 usciti dalla scuola di Gregorio al Celio dal 1928 al 1943, oltre 350 diplomati dalle diverse scuole nel quinquennio 1946-50 e 250 e forse più i non diplomati» (Mastino Del Rio G., Il lavoro sociale nella realtà italiana, Quaderni di informazione per assistenti sociali, 7-8, 1951, p. 177, pp. 173-180).
«Si è costituito a Napoli presso la Mostra d’Oltremare, il Centro studi emigrazione italiana con lo scopo di indagare sulle possibilità emigratorie italiane in relazione alle richiese di mano d’opera di paesi esteri» (Il centro studi emigrazione italiana, ”Assistenza oggi”, 4, 1953, p. 90).
«Il 19 settembre alcuni enti di Genova (Provincia, Università degli studi, Associazione industriali, Camera di commercio, Onarmo, Ucid) si sono riuniti in comitato per promuovere l’istituzione di una scuola di servizio sociale. Il presidente della provincia ed il vice presidente della camera di commercio sono stati eletti rispettivamente presidente e vice presidente del comitato, che giunge da consiglio di amministrazione della scuola. La scuola si prefigge lo scopo di formare personale specializzato per il servizio sociale particolarmente addestrato sul piano scientifico tecnico e professionale e la sua istituzione in Genova è considerata particolarmente felice in quanto la regione offre largo campo di azione alle nuove discipline sociali ed assistenziali. I corsi che avranno una durata di tre anni ed una impostazione teorico pratica saranno svolti sotto la guida di docenti scelti tra professori universitari, funzionari di enti assistenziali ed esperti di provata competenza. […] La segreteria della scuola ha sede presso il centro studi della camera di commercio di Genova» (Nuova scuola di servizio sociale, ”Assistenza oggi”, 5, 1953, p. 110).
Si leggono di alcuni dati sulle condizioni sociali in Somalia (Cao-Pinna M., Documentazioni, ”Assistenza Oggi”, 1, 1955, pp. 66-69).
Sta scritto di un D.L. 02.07.54 n. 619 ”Lotta contro il tugurio” che traendo spunto dall’inchiesta parlamentare sulla miseria, si propone la costruzione di 3 milioni di appartamenti in 3 anni. È il preannuncio di quella politica, cd. del cemento selvaggio, che seppellirà i quartieri periferici delle città italiane trasformandole in pericolosi focolai di problemi e disagi (Rassegna legislativa, ”Assistenza d’Oggi”, 1, 1955).
Sta scritto di un ”servizio sociale in risaia” dove le assistenti sociali partecipano all’organizzazione del lavoro (Rassegna della stampa, ”Assistenza Oggi”, 4, 1955, p. 92).
Sta scritto di un primo congresso nazionale di sociologia a Perugia dall’8 al 15 settembre 1959 (Un contributo agli studi sociali in Italia, ”Assistenza oggi”, 1958, p. 78).
Nel 1961 c’erano 125 assistenti sociali assunte dalle imprese, 81 dalla confederazione generale industria italiana e confederazione fascista lavoratori italiani, 37 da enti vari di cui 38 dall’Istituto assistenza sociale di fabbrica, 16 dal SAFS, 26 dal ASFG, 90 dall’IRI, 148 dal Onarmo e 62 dall’Ucid (Marinato Luigi, L’assistente sociale, Firenze, Vallecchi, 1964, pp. 43-44).
«L’ambiguità della professione si manifesta anche quando alcuni assistenti sociali impegnati politicamente vogliono fare la rivoluzione strumentalizzando gli utenti senza impegnarsi a coinvolgere nel processo di giuste rivendicazioni, le forze democratiche e sindacali che possono concretamente sostenere e difendere i diritti di chi è emarginato» (Getrevi M.T., Problemi e prospettive del servizio sociale, Trento, Scuola superiore di servizio sociale, 1973, p. 6, si riferisce ai fatti dell’Istituto Cavazza a Genova dove nel 1971 gli assistenti sociali furono caricati dalla polizia con al seguito gli utenti privi della vista).
«L’attività della professione non può catalogarsi tra quelle cosiddette libere o liberali, del medico, dell’avvocato, dell’ingegnere, dell’economista e del commercialista, ma del funzionario dello stato o meglio del servitore dello stato e quindi della società stessa come portatore e realizzatore dei compiti dello stato» (Pasquariello G., L’assistente sociale, Roma, Arti grafiche Tris, 1972, p. 14).
«Con il progredire della sistemazione e dei compiti, tener presente anche il criterio della qualificazione professionale o meglio della specializzazione, attribuendo pur nella zona specifiche attività distinguendo i vari settori (agricolo, industriale, commerciale, ricreativo, culturale, etc.)» (Pasquariello G., L’assistente sociale, Roma, Arti grafiche Tris, 1972, p. 16).
«Ma è tempo che ci domandiamo come definire l’assistente sociale. Inanzi tutto osserviamo che si è scelto il sostantivo ”assistente” invece che ”consigliere” o ”consultore” o ”consulente”. La ragione è che l’assistente sociale non si limita solo a consigliare ma opera e coopera insieme al soggetto assistito si singolo che come gruppo. Ecco perchè l’assistente è anche denominato operatore sociale o lavoratore sociale e la sua attività si richiama ad un servizio. […] L’appellativo si giustifica da una parte che è posto dalla società (lo Stato) e dall’altra che persegue fini sociali» (Pasquariello G., L’assistente sociale, Roma, Arti grafiche Tris, 1972, p. 17-18).
Sta scritto di una «specializzazione come avviene per gli stessi dirigenti d’azienda […] correndo il paradossale rischio per gli stessi dirigenti di fabbrica» (Marinatto L., L’assistente sociale, Firenze, Vallecchi, 1964, p. 49); «la presenza dell’assistente sociale in quei settori richiede una specializzazione. Per ora l’assistente sociale non ha una qualifica statale riconosciuta. Abbiamo già visto però che l’assistente sociale lavora in fabbrica negli ospedali nei quartieri polari […] tutto ciò sta a dimostrare che una specializzazione sia pure fondata sul expertise è stata raggiunta anche se le scuole non offrono corsi supplementari (Marinatto L., L’assistente sociale, Firenze, Vallecchi, 1964, p. 77).
L’assistente sociale «può specializzarsi nel settore medico-psicopedagogico (per l’infanzia irregolare nel carattere e nella condotta), nel settore del lavoro e dell’emigrazione (per gli operai occupati, i disoccupati, gli emigranti, etc.), nel settore ospedaliero (per i degenti in sanatori, centri traumatologici e di rieducazione professionale) nel settore dell’organizzazione comunitaria (centri sociali, educazione degli adulti, etc.) e nel settore delle ricerche sociologiche» (s.v. Assistente sociale, Dizionario delle professioni, Roma, Libreria dello Stato, 1966, p. 42).
«Per centro sociale si intende un’organizzazione che mediante collaborazione di valore per i quali sorge, si sforza di risolvere i problemi propri della popolazione di un quartiere, mettendo a sua libera disposizione, in un locale appropriato, un’insieme di servizi e di realizzazioni collettive di carattere educativo, sociale e sanitario animati da un assistente sociale responsabile dell’andamento generale del centro» (Carmen Perini, I nostri centri sociali, Incontriamoci, 5, 1959, 6-8, p. 6).
«Monsignor Baldelli istituisce i centri sociali – oggi circa 3000 – per la promozione comunitaria delle popolazioni, affidati ad assistenti sociali, medici, maestri, assistenti sanitarie ed alla collaborazione dei cittadini» (V.D., Il suo lavoro sociale, “Incontriamoci”, 1959, p. 4).
La rivista “Problemi minorili” riporta dei casi e delle sentenze di giurisprudenza penale e civile sui minori.
Approvata a Milano il 27 marzo 1976 la ”Carta dei diritti del bambino ricoverato in ospedale”, dove tra l’altro sta scritto «del diritto dei genitori di partecipare alla gestione del reparto pediatrico» (Carta dei diritti del bambino ricoverato in ospedale, “Problemi minorili”, 3-4-5-6, pp. 199-200).
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