Le radici cristiane dell’Unione Europea

La maggior parte degli studiosi considera la “philosophia Christi” il nucleo essenziale degli scritti pedagogici di Erasmo da Rotterdam secondo cui la vita cristiana è un “andare verso Cristo”, una fare proprio di una filosofia spirituale, purificando di volta in volta la prassi religiosa tramite il Vangelo e la preghiera verso una fede più intima e quindi più autentica. Nel 1503 a Tournehem in Francia conobbe una coppia di sposi, un ubriaco e sua moglie che gli chiese di scrivere un libro che aiutasse il marito a cambiare vita. Il “Manuale del cavaliere cristiano” nacque con l’idea di un compendio di regole di condotta cristiana per indurre chiunque a percorrere la retta via ma in realtà si tratta di un opuscolo con cui Erasmo intendeva purificare la teologia dalle corruzioni delle opere religiose superflue. Le armi del soldato cristiano sono la fede e la ragione che si compendiano a vicenda. La filosofia non è una speculazione fine a sé stessa ma uno stile di vita fondato sull’impegno e l’abnegazione. Ne uscì un trattato che servì poi da premessa per la Riforma protestante. Scrive Erasmo:

“è cosa turpe per gli avvocati e per i medici aver reso ognuno la propria arte appositamente difficilissima, al fine di ricavare un guadagno più redditizio e una gloria maggiore presso i profani; di gran lunga più vergognoso però fu aver fatto ciò nella filosofia di Cristo”.

Il testo è diviso in due parti: la prima analizza il ruolo e la natura umana, la seconda discute i modi e i tempi per vivere una vita cristiana. Le conclusioni rimandano ai rimedi per vincere le passioni che affliggono l’uomo: sesso, soldi, successo. Vi ritroviamo tutti i temi cari ad Erasmo: il conflitto tra apparenza e sostanza, la restaurazione della vera fede liberata dalle incrostazioni del passato, la critica al psittacismo liturgico, etc. Perché allora Erasmo utilizza il termine “filosofia” e non “teologia”? Secondo Erasmo, anticipando Lutero, le opere non servono a salvarsi intendendo tale termine con le opere devozionali (messe di suffragio, culto dei santi, commercio delle reliquie, pellegrinaggi, etc). Gli ordini monastici hanno una colpa in tutto questo anche se Erasmo, da buon agostiniano, non intendeva negare del tutto le pratiche religiose ma solo depurarle dal loro formalismo. E neppure voleva denigrare le passioni umane ma solo denunciarle quando erano in contrasto con gli interessi sociali. Tipico caso della scolastica che pur non coinvolgeva direttamente il sentimento umano ma si illudeva di normalizzare il messaggio evangelico con la fredda logica aristotelica divenendo già dalla metà del XV secolo del tutto inadeguato per comprendere i mutamenti sociali. Forse è anche questo il motivo per cui Erasmo la chiama “filosofia di Cristo”, per polemizzare con la filosofia medievale. In realtà Erasmo tradisce l’espressione dai Padri della Chiesa in cui esprime una forma di sapienza piuttosto che una filosofia in senso stretto. Il testo si snoda secondo le linee di un trattato di psicologia analizzando i vari aspetti del comportamento umano incline a scambiare le passioni per virtù. Le sue critiche non passarono inosservate e alcuni monaci lo accusarono di eresia indicando alcuni passi dell’Enchiridion degni di censura ma anche i giudici più accaniti non poterono trovare nulla di valido per farlo condannare. Restaurare la vera fede implicava anche ritornare alle vere fonti delle Sacre Scritture e cioè il greco antico con cui erano stati scritti i Vangeli. Così facendo il messaggio cristiano non sarebbe più stato solo ad appannaggio dei monaci e dei teologi ma sarebbe stato affidato al popolo intero. Il Concilio di Trento invece stabilì il Canone sulla traduzione latina di san Girolamo realizzata nel IV secolo condannando la filologia all’eresia. In ciò Erasmo fu debitore di Lorenzo Valla a cui si deve la revisione della Vulgata e la smentita sulla Donazione di Costantino. Un altro maestro Erasmo lo ritrovò in Tommaso Moro da cui riceve l’idea di apertura ad una visione conciliatrice delle culture europee e delle religioni. Di fronte alla minaccia turca Erasmo fu l’unico a levare voci di pace e di dissenso contro i fanatici delle crociate:

“Ci potrebbe essere una ragione massimamente giusta nel battere i Turchi se potessero scorgere in noi il risplendere che Cristo ci ha insegnato e ha espresso; se si accorgessero che noi non agognano ai loro imperi, non abbiamo sete del loro oro, non aspiriamo ai loro possedimenti, ma non cerchiamo assolutamente nient’altro che non sia la loro salvezza e la gloria di Cristo”

La Chiesa dell’epoca era in piena decadenza religiosa. Certamente il Papa e i cardinali conducevano una vita dissoluta tra agi e ricchezze ben lontani dalla povertà evangelica ma la critica più feroce Erasmo la rivolge ai monaci accusati di assecondare il mercato delle reliquie e di favorire la vendita delle indulgenze. Nessuna “Regola” ha maggior efficacia del messaggio cristiano. La condizione monastica è solo uno dei tanti stili di vita offerto ai credenti. Questa visione verticale (Chiesa, Stato e servitù della gleba) contrasta decisamente con la prospettiva “a cerchi concentrici” erasmiana in cui la Chiesa è divisa in base a tre livelli: il primo cerchio è costituito dal clero (vescovi, cardinali e papi), il secondo dai principi (re, governatori, baroni) e infine l’ultimo cerchio è costituito dal popolo. È probabile che qui Erasmo tradisce la ripartizione platonica del cosmo e dell’origine dell’uomo. Platone infatti postulava nei suoi dialoghi una gerarchia di tre livelli: noetica (intellegibile), patetica (sensibile) e pneumatica (spirituale). Secondo Erasmo non tutti i cristiani possono definirsi credenti ma solo coloro che vivono il messaggio evangelico. Secondo alcuni Erasmo può essere considerato il “padre ispiratore” della Riforma protestante anche se Lutero aveva un pensiero sensibilmente diverso da lui. Erasmo recepisce positivamente il problema del libero arbitrio mentre Lutero lo nega del tutto paventando la predestinazione. Erasmo era un pacifista e aborriva la guerra mentre Lutero è un fanatico e odiava apertamente gli ebrei. Erasmo pensava ad una conciliazione tra fede e ragione mentre Lutero fece di tutto per scinderle aderendo ad un cieco e cinico fideismo.

Paradossalmente però anche il concetto di fondamentalismo è nato in ambito cristiano ed è subentrato quando Martin Lutero ha tentato di separare fede e ragione. Il “ricatto” moderno consiste nel far credere che fondamentalismo e razionalismo siano le due uniche alternative possibili senza considerare che c’è posto per una sana laicità dove la fede non nega la ragione ma ci convive nella prospettiva di una sana e feconda collaborazione. Secondo Franco Cardini lo spauracchio turco alla fine del ‘400 divenne uno dei principali fattori alla base dell’identità europea continuamente alimentata dai progetti di crociata, dalla diffusione degli opuscoli propagandistici, dalla circolazione dei pronostici astrologici su una possibile “islamizzazione del mondo”. Per oltre due secoli fino ai primi del ‘700 gli Asburgo acquistarono prestigio e legittimità dall’essere un baluardo contro i turchi ottomani e la Riforma protestante vi contribuì ulteriormente accelerando il processo di laicizzazione delle istituzioni politiche e sancendo una cesura definitiva tra Oriente e Occidente.

Massimiliano di Bethune, Duca di Sully, propose l’idea di un Cristianissimo Consiglio d’Europa, un progetto politico di una Repubblica Cristiana, composta da 15 paesi. Il Sully, già ministro di Enrico IV, iniziò a scrivere il testo già nel 1611 per poi inserirlo in un secondo momento nell’ “Oeconomies royales”. Enrico IV di Borbone aveva bisogno di ricostruire moralmente e materialmente la Francia dopo le guerre di religione che l’avevano dilaniata perciò il “Grand Dessein” (Grande progetto) doveva servire per celebrare le gesta del sovrano francese indicandolo come il principale punto di riferimento per la nuova politica europea. In realtà dietro le motivazioni ireniche vi era un intento ben più recondito: eliminare gli imperi centrali (Impero Austro-Ungarico e Impero Ottomano) con il concorso dell’Inghilterra. Il duca di Sully era cristiano ma di confessione calvinista e non è un caso che il calvinismo in Svizzera sebbene abbia favorito la protezione di numerosi perseguitati politici e dissidenti per le loro idee religiose, non abbia fatto nulla per difendere Michele Serveto che fu condannato al rogo.

Nel 1661 fu pubblicata un’opera molto simile a quella del Sully per mano di Hardouin de Perefixe che era stato precettore del Re di Francia Luigi XIV ed esponente eminente del clero francese. Questa edizione non si distingue solamente per i numerosi refusi ed errori ma sopratutto per l’istituto dei consigli arbitrali della presunta confederazione di stati europei che ricalca grossomodo la corte arbitrale permanente di Emeric Crucè (Nouveau Cynee ou Discours d’Estat representant les occasions et moyens d’establir une paix generale et la libertè de commerce pour tout le monde, 1623), un monaco francese che ispirandosi al celebre personaggio storico “Cinea”, consigliere di Pirro che combatté contro i romani, intendeva creare un’assemblea di sovrani con il compito di intervenire nelle controversie internazionali. Rispetto al Duca di Sully manca la giustificazione del principio della “guerra giusta”: se infatti il consorzio di più paesi può difendere i propri interessi, anche religiosi, verso i nemici della fede cristiana, allora può anche comminare sanzioni, di natura violenta, contro gli stati membri che non si allineano alle disposizioni stabilite. Per evitare questo rischio Emeric Crucè propose di attribuire la presidenza dell’assemblea ad una figura di garanzia ed al di sopra della parti come ad esempio il Papa o, in sua assenza, il Grand Muftì.

Oltre a Hardouin de Perefixe, il “Grande progetto” di Sully aveva ispirato William Penn, dissidente quacchero, che in “Discorso intorno alla pace presente e futura dell’Europa” (Essay towards the present and future peace of Europe) propose la costituzione di una Dieta europea o degli Stati Generali di circa 90 deputati con voto segreto e divieto di mandato imperativo. Il saggio si apre con due motti eloquenti: “Beati pacifici” che ricalca il discorso di Gesù sulla montagna nel Vangelo secondo Matteo (Mt 4,9) e “Cedant arma togae”, citando Cicerone, sulla necessità di trovare un equilibrio tra il diritto e l’arbitrio. Vi sono poi numerose citazioni e rimandi ad altri autori tra cui Thomas Hobbes e di John Locke. A suo avviso la pace è minacciata da tre eterni vizi umani: il principio di autoconservazione, il principio di insoddisfazione e il principio di conquista. Il rischio di legittimare l’azione di guerra, secondo il Penn, sarebbe impedito da una Corte Suprema formata dai rappresentanti di tutte le nazioni a prescindere dalle differenze religiose, politiche e culturali.

Fu però grazie all’opera di Saint-Pierre che il “Grande progetto” divenne famoso in tutto il mondo. In “Progetto per una pace perpetua in Europa” (“Projet pour rendre la paix perpetuelle entre les souverains chretiens, pour maintenir toujours le commerce libre entre les nations”, 1713) l’abate Charles Irenee Castel de Saint-Pierre prevedeva la creazione di un’istituzione sovranazionale organizzata sulla base di un congresso arbitrale di rappresentanti per risolvere le controversie internazionali. E ancora, dalla critica di Saint-Pierre deriva il “Progetto per una pace perpetua” (“Extrait du projet de paix perpetuelle de Monsieur l’Abbè de Saint-Pierre”, 1756) di Jean Jacques Rousseau e il saggio sulla pace perpetua (“De la paix perpetuelle par le docteur Goodheart”) di Voltaire, ripreso nel 1710 da John Bellers e nel 1814 da Claude-Henry de Saint-Simon.

La visione di Rousseau non si limitava a organizzare un’alleanza fra le monarchie europee ma optava per una confederazione che avrebbe consentito di far convergere l’unità di azione lasciando libero arbitrio e autonomia di ciascuno. Occorre aggiungere che le valutazioni del filosofo svizzero giungevano relativamente tardi rispetto alle sue principali opere (Emile e Contratto sociale) e quindi riflettevano un pensiero politico decisamente ridimensionato rispetto al progetto iniziale. Nella prima versione del Contratto sociale Rousseau invita alla formazione di nuove associazioni che possano compensare l’impossibilità di una piena sovranità dei grandi Stati nazionali oltre a generare negli uomini i “nuovi lumi della ragione” al fine di promuovere la pace e a non considerare più gli stranieri come nemici.

Quali differenze tra Saint-Pierre e Rousseau? Saint-Pierre insisteva sull’alleanza tra gli Stati che avrebbe assicurato loro la difesa dagli attacchi esterni sia dalle rivolte interne mentre Rousseau invece vede una confederazione a vantaggio prevalentemente dei cittadini con un ruolo limitato del monarca a puro esecutore. Saint-Pierre inoltre aveva previsto di escludere dall’alleanza tutti gli Stati che non si fossero proclamati cristiani mentre Rousseau lascia intravedere la possibilità di una Repubblica fondata sulla società civile considerando la sua naturale diffidenza verso la monarchia nella quale prevale il conflitto d’interessi. Vi è infine una implicita disperazione in Saint-Pierre che non dice nulla sui mezzi per realizzare l’alleanza mentre Rousseau intendeva intervenire con un’educazione “secondo natura” cioè tesa a risvegliare le coscienze annebbiate dei figli dei ricchi borghesi e dei nobili ed elevarli ai principi di eguaglianza e di giustizia.

Al termine di questa carrellata di filosofi cristiani non possiamo non citare Immanuel Kant che nel 1795 compose l’opuscolo “Per la pace perpetua”. Secondo il filosofo tedesco il fatto che gli stati nazionali possano disporre di un esercito permanente, a difesa dei propri confini, è già un atto di guerra. Il dovere del governo non è quello di esportare la violenza ma la cultura e la civiltà. In linea di massima Kant si schiera contro la possibilità che un paese possa intervenire nelle questioni interne di un altro a meno che non vi siano motivi di ordine umanitario. Kant però non giunge al punto di eliminare del tutto la legittima difesa ma vuole estende tale diritto a tutta la comunità. Riprendendo l’esempio del popolo ebraico, recupera il concetto di “anfizionia” che inizialmente indicava un patto religioso tra tribù nomadi che, forse per ragioni strategiche, si univano a quelle sedentarie con le quali stipulavano un’alleanza politica e militare. La motivazione alla base dell’anfizionia è di natura finanziaria di modo che una più ampia adesione delle tribù nomadi avrebbe garantito una maggiore quantità di denaro da destinare al santuario di una determinata divinità o al collegio dei sacerdoti.

Conclusioni

Ancor prima della Riforma si scontrano in Europa delle differenti visioni che condizionano lo spazio politico tra i vari paesi ma non riescono a garantire quel legame e quella unità pur nella diversità di vedute. Per tali motivi Re Giorgio Podiebrad di Boemia, dopo aver adottato la confessione hussita nel 1462, presentò ai sovrani europei la proposta di un’istituzione superiore di Stati attraverso la quale risolvere pacificamente i conflitti. La pace di Westfalia ha indotto gli Stati a mettersi al di sopra degli altri e riconoscere il primato del principe. La generazione di Gesù e dei primi cristiani riteneva che la soluzione dovesse venire da fuori dal mondo (giudizio universale) mentre per Kant tutto avviene all’interno del mondo (uso della ragione). In mezzo a queste visioni si pone il pensiero di Rousseau che offre due soluzioni: una di tipo personale (l’educazione come mezzo di livellamento sociale) ed una collettiva (una confederazione di Stati che consente l’unità europea). Rousseau cita Saint-Pierre secondo cui non è possibile trovare un’autorità che possa garantire la pace, in quanto prima o poi questa stessa autorità tenderebbe a perseguire interessi personali.

C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? La risposta è che il diritto e la sua obbligatorietà sono inscindibili solo nella misura in cui la comunità ha il potere di imporre il rispetto del ruolo egualitario. Ma siccome la guerra nasce tra entità che non riconoscono un organismo sovraordinato, anche la capacità di riconoscere il diritto risulta inefficace. Ed è a questo punto che subentra Erasmo che tira fuori il tema della pace sollecitato forse dal suo amico Tommaso Moro a cui dedicò l’opuscolo “Moro” che richiamava per assonanza il termine greco “moria” (pazzia). Quali sono i rischi per i quali la massa “infiammata” dalle religioni riesce a coinvolge il resto del mondo nell’incendio? Secondo Erasmo gli scolastici hanno ceduto per primi di fronte a queste lusinghe perché si sono limitati a ciò che offre la fredda logica aristotelica e non all’esperienza della vita reale. Il problema pertanto non sta nella conoscenza ma nella capacità relazionale, perciò Lutero rifiuta ogni dialogo con la Chiesa cattolica. La risposta di Erasmo sembra spostare la propria esperienza all’interno del dialogo tra le religioni.

Se da una parte Rousseau parla di forza e diritto attribuendo il monopolio della forza all’autorità legittima d’altra parte non vuole perdere il confronto tra sicurezza sociale e perdita del potere di rappresentanza. Tra forza e diritto c’è un nesso di violenza nel senso di una coercizione che vincola gli Stati all’esecuzione degli atti adottati. Per risolvere il problema della pace occorre la trasmissione del potere attraverso una comunità più vasta il che pone alcune questioni di estrema attualità: qual’è il rapporto tra autorità centrale e autorità di ogni singolo paese? Secondo Rousseau c’è una delega emotiva ma non effettiva in quanto ogni Stato si considera un’entità assoluta facendo in modo che le masse rinuncino a qualsiasi tipo di aspirazione di pace in nome di questa delega, perciò il diritto consuetudinario avrebbe vincolato anche agli Stati che non le avrebbero stipulate.

Come possiamo liberare l’umanità dalla fatalità della guerra? Il tema della politica viene sradicato dalla religione. Secondo Penn la difficoltà di riconoscere le istanze nazionali ne rende difficile il controllo, perciò l’istinto di autoconservazione ne scatena l’aggressività. Il futuro non si garantisce sfidando la realtà ma attraverso le relazioni diplomatiche. Kant sembra più concentrato a redimere le questioni politiche dei popoli piuttosto che sopprimere la guerra e cita la Bibbia che considera un’utopia (u-topos = non luogo) perché l’apparente uguaglianza predicata si configura poi come diseguaglianza verso i nemici infedeli che devono essere convertiti o assimilati. Se la guerra è un prodotto della tensione distruttiva tra religioni, la soluzione consiste nel ricorrere ad un’entità terza con un ruolo di garanzia. Il futuro perciò implica il creare dei legami nuovi tra gli Stati il che significa agire per l’unità europea attraverso sentimenti di solidarietà. La pace così concepita non è una virtù che cambia le relazioni umane ma è un modo per responsabilizzare le persone attraverso l’adozione di soluzioni organizzative efficaci. Le radici cristiane sono un fatto oggettivo della storia europea ma la loro gestione richiede un passo in più della sola fede. Ciò che cambia è la qualità della pace.

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